Condannato per estorsione chi prefigura la rottura della relazione sentimentale in caso di mancato versamento di denaro

La storia

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Un uomo chiede continuamente soldi alla propria compagna, con insistenti minacce di ripercussioni di varia natura, tra le quali anche quella di lasciarla qualora interrompa i versamenti di denaro.

La donna si reca dalla Polizia e denuncia l'uomo allegando anche gli screenshot dei loro messaggi. L'uomo viene condannato per il reato di estorsione sia dal GUP sia dalla Corte di Appello di riferimento. Ricorre quindi in Cassazione.

La tesi difensiva

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I legali dell'imputato contestano l'utilizzo dei messaggi WhatsApp e di vari social come fonte di prova in quanto acquisiti senza un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria. Sostengono anche che la coppia era solita avere un linguaggio verbale caratterizzato da una "forte violenza consensuale", tale da dover far ritenere le dazioni assolutamente spontanee, ovvero la conseguenza di richieste di prestito con l'impegno alla restituzione, escludendo così che la parte offesa potesse considerarsi oggetto di ricatto piuttosto che soggetto vulnerabile o in totale sudditanza psicologica.

La minaccia estorsiva, stando ai legali, non poteva inoltre ravvisarsi nella prospettazione della rottura sentimentale, priva dei connotati del ricatto affettivo, a fronte, peraltro, dell'affermato intento della donna di allontanarsi dall'imputato.

Estorsione sentimentale

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Secondo i Giudici della seconda sezione penale della Corte di Cassazione, che hanno emesso la sentenza numero 12633/2024 (sotto allegata), la contestazione circa l'utilizzo della messaggistica come fonte di prova non è meritevole di accoglimento.

Infatti, non vi è stata un'acquisizione del contenuto dei messaggi telefonici scambiati tra le parti ad opera della polizia giudiziaria, bensì una produzione degli stessi da parte della persona offesa. I messaggi conservati nella memoria del telefono hanno natura di documenti ex articolo 234 c.p.p., sicché la loro acquisizione è legittima mediante mera riproduzione fotografica, non potendosi applicare né la disciplina delle intercettazioni né quella relativa all'acquisizione di corrispondenza, non trovandosi in presenza di un flusso di comunicazioni in corso, bensì della semplice documentazione ex post di tali flussi (sul punto - vale a dire circa il fatto che foto, filmati, screenshot e simili, siano documenti - la Suprema Corte si è già espressa recentissimamente con la sentenza 10378/2024. Leggi in merito "I dati Gps e i filmati di videosorveglianza sono prova documentale").

Con riferimento al contenuto della messaggistica, esso evidenzia la condizione di assoggettamento e sudditanza psicologica che il reiterato comportamento dell'imputato ha ingenerato nella persona offesa. Di nessun pregio è l'argomentazione per la quale i due avessero concordato, nell'ambito del loro ménage, un'interlocuzione dai toni spinti, che nulla ha a che vedere con le pesanti offese, gli insulti, le minacce di morte, il disprezzo e la minaccia di interrompere la relazione in caso di mancato versamento delle ingenti somme richieste.

Infatti, i versamenti sono stati chiesti con toni aggressivi e minacciosi, larvati e subdoli, incutendo timore e coartando la volontà della vittima, tanto da non essere mai stati una libera scelta di quest'ultima, "con la conseguenza che anche l'intimazione della rottura di una relazione sentimentale ben può assumere valenza minacciosa allorché, lungi dal rappresentare la manifestazione di una propria libera scelta, costituisca espressione di ricatto". Con la palese ulteriore circostanza, emersa nel corso dei procedimenti, che le dazioni sono state effettuate per soddisfare l'esigenza della persona offesa di salvaguardare la propria incolumità.

Motivi per cui il ricorso è stato annullato e la sentenza di condanna confermata.

Andrea Pedicone

Consulente investigativo ed in materia di protezione dei dati personali

Auditor/Lead Auditor Qualificato UNI CEI EN ISO/IEC 27001:2017

Sistemi di Gestione per la Sicurezza delle Informazioni

Scarica pdf Cass. n. 12633/2024

Foto: 123rf.com
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