Abuso permessi legge 104
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La sentenza trae origine dal licenziamento per giusta causa intimato da un istituto bancario ad un proprio dipendente, al quale è stato contestato l'abuso dei permessi di cui alla legge 104. L'istituto di credito, infatti, ha incaricato un'agenzia investigativa di verificare il corretto utilizzo del permesso di cui sopra. All'esito dell'attività di controllo, gli investigatori hanno riferito che il dipendente aveva trasferito la beneficiaria dell'assistenza presso la propria abitazione, per poi assentarsi dalla stessa al fine di eseguire attività non sempre connesse al permesso di specie.
Contro il licenziamento, e le sentenze del Tribunale e della Corte di Appello, il dipendente è ricorso per Cassazione sostenendo la correttezza del proprio comportamento.
La tesi difensiva
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Il lavoratore ha contestato il suo obbligo di assistere la madre per l'intera giornata o quanto meno per un periodo coincidente con l'orario lavorativo, senza che fossero ritenute come "assistenza" attività funzionali svolte nell'interesse del disabile. Secondo il ricorrente la relazione investigativa non sarebbe sufficiente a dimostrare la sua violazione del dettame normativo, giacché essa avrebbe trascurato di considerare che le attività che avevano allontanato il lavoratore dal suo domicilio erano collegate all'assistenza della madre. Ciò ridimensionerebbe le assenze, facendole diventare irrilevanti, dando così continuità al nesso causale assistenza-attività svolte.
Licenziamento confermato
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I Giudici della Suprema Corte, esaminando il ricorso, hanno ribadito quanto ormai stabilito da consolidata giurisprudenza e, con l'ordinanza numero 11999 del 3 maggio 2024 (sotto allegata), confermato il licenziamento.
Innanzitutto grava sul lavoratore la prova di aver eseguito la prestazione in luogo diverso da quello della residenza della persona protetta (Cassazione, 02/11/2023, n. 30462). In secondo luogo, va rilevato che il permesso ex art. 33 legge 104/92 è riconosciuto al lavoratore in ragione dell'assistenza al disabile. È rispetto ad essa che l'assenza dal lavoro deve porsi in relazione causale diretta, senza che il dato testuale e la "ratio" della norma ne consentano l'utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per l'assistenza. Ne consegue che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse, integra l'abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell'Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari (Cass. n. 17698/2016). È vero che l'assistenza che legittima il beneficio in favore del lavoratore non può intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, ma essa deve comunque garantire al familiare disabile un intervento assistenziale di carattere permanente, continuativo e globale.
Pertanto, ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto, ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell'ente assicurativo (Cass. 19/7/2019 n. 19580). Le assenze dal domicilio devono pertanto essere assolutamente funzionali alla cura dell'invalida.
Andrea Pedicone
Consulente investigativo ed in materia di protezione dei dati personali
Auditor/Lead Auditor Qualificato UNI CEI EN ISO/IEC 27001:2017
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Scarica pdf Cass. n. 11999/2024