I recenti provvedimenti, dichiarati temporaneamente non efficaci e le abolizioni arbitrarie del contraddittorio obbligatorio non fanno che alimentare l'idea che il legislatore crei intenzionalmente una normativa incomprensibile

Atti esclusi dal contraddittorio obbligatorio

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I decreti delegati, che sono atti legislativi con piena forza di legge, sono equiparati alle leggi ordinarie sia in termini di rango che di controllo costituzionale (come stabilito dalla sentenza n. 37/1957). Questi decreti, di solito di carattere generale, sono considerati alla pari con le leggi formali, anche, quando si tratta di rispettare eventuali riserve di legge (sentenza n. 39/1971).

I decreti delegati, avendo la stessa forza delle leggi, apportano modifiche al sistema legislativo vigente, un tratto distintivo delle leggi e/o degli atti che a queste sono equiparati (sentenza n. 61/1963). Non possono essere considerati come mere misure di attuazione della legge delegante o paragonati ai regolamenti. Di conseguenza, in caso di eventuali irregolarità nel processo di formazione, devono essere garantiti sia la tutela costituzionale prevista per le leggi emanate dal potere legislativo sia la possibilità di un intervento della Corte con effetto erga omnes (sentenza n. 3/1957).

La sentenza n. 226/1976 ha precisato che i decreti legislativi delegati sono subordinati alle leggi di delega che, stabilendo l'oggetto, il tempo, i principi e i criteri direttivi, ne costituiscono la base. La pratica parlamentare ha dimostrato alcune incertezze nell'uso dei termini "delega" o "autorizzazione" nelle relative leggi di conferimento, e anche casi di leggi formalmente delegate che sono caratterizzate dalla mancanza o dall'ambiguità dei principi guida.[1] Nonostante il nome e l'attribuzione formale della forza di legge ai decreti correlati, queste leggi permetterebbero in realtà al Governo solo il coordinamento delle disposizioni già esistenti.

I decreti legislativi delegati sono adottati non da un singolo Ministro, sia pure di concerto con un altro Ministro, ma dal Governo (nella sua concreta accezione di organo unitario), previa deliberazione collegiale del Consiglio dei Ministri; e sono emanati, quali decreti aventi valore di legge, non dal singolo Ministro competente per materia, ma dal Presidente della Repubblica (sentenza n. 61/1963).[2]

La necessità che la delega legislativa sia accompagnata dalla predeterminazione parlamentare del limite temporale, dell'oggetto e dei principi e criteri direttivi si coniuga con un sistema di controlli in cui figurano, in primo luogo, le Camere, di fronte alle quali il Governo è politicamente responsabile per il corretto uso del suo potere normativo primario, nonché il Presidente della Repubblica in sede di emanazione dei decreti delegati e la Corte costituzionale, ove ritualmente investita di questioni riguardanti il rispetto dei limiti stabiliti dal legislatore delegante.

La necessaria premessa evidenza che il potere Esecutivo ha per l'ennesima volta violato i principi della delega contenuti nella legge 9 agosto 2023 n. 111 che all'art. 4 comma 1 lettera f) prevede "una generale applicazione del principio del contraddittorio a pena di nullità". Abbiamo, già evidenziato in un altro scritto che il D.lgs. n. 219/2024 che ha modificato la legge 212/2000 ha declassato il vizio di illegittimità della carenza di contraddittorio obbligatorio da vizio di nullità a vizio di annullabilità.

L' eccesso di potere dell'Esecutivo non si ferma, soltanto alla natura del vizio appena citato, ma si spinge ben oltre, perché nella delega n. 111/2023 all'art 4 comma 1 lettera f) è prevista "una generale applicazione del principio del contradditorio", mentre la lettura del Decreto Legislativo 219/2023 introduce una pluralità di categorie giuridiche, ideate o adattate per la circostanza ai quali non si applicherebbe il principio del contraddittorio, che, inoltre, sono dilatate in modo esponenziale con l'emanazione del Decreto Ministeriale, trasformandosi in un lungo elenco di atti.

Sul doveroso rispetto dei principi enunciati nella delega esiste una copiosa giurisprudenza.[3]Tra le tante si cita a titolo esemplificativo una statuizione sull'ipotesi del silenzio della legge delega che consente a converso soluzioni pacifiche nell'ipotesi in cui il delegante si è espressamente pronunciato (sentenza n. 141/1993 redattore Ferri)[4]

Il legislatore non riesce o non vuole rispettare quanto scritto nella rubrica dell'art. 2 comma 1 della legge 212/2000 che testualmente impone "Chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie" né tanto meno il correlato art. 5 la cui rubrica ha come titolo "Informazioni del contribuente", finendo con l'esprimersi in modo confuso; pertanto prima di entrare nel merito dei singoli atti per i quali a dire del Governo non sarebbe necessario il contradditorio saremo costretti ancora una volta a scomodare i dizionari della lingua italiana per comprendere il senso dell'espressione contenuta nella legge 111/2023 all'art 4 comma f) "generale applicazione del principio del contraddittorio".

Si legge nel vocabolario Treccani: La parola generale concerne il genere. Quindi, nell'uso ci si riferisce a tutto un insieme di fatti senza scendere cioè a particolari.

Il Governo, non curante della parola generale inserisce nel Decreto Legislativo 219/2023 delle fumose categorie, cui si è fatto cenno, per le quali non sussisterebbe il contraddittorio obbligatorio. Infatti, si legge nell'art. 6 - bis comma 2 dello Statuto del contribuente, introdotto dal citato 219/2023, quanto segue: Non sussiste il diritto al contraddittorio ai sensi del presente articolo per gli atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, nonché per i casi motivati di fondato pericolo per la riscossione.

Ci soffermeremo sulla casistica del decreto legislativo che con molta fantasia ha elaborato pseudo categorie giuridiche sottraendole all'obbligo del contraddittorio, evidenziando, in particolare, gli atti per i quali l'insussistenza del diritto al contraddittorio rappresenta un vulnus grave alla trasparenza amministrativa.

Atti automatizzati e sostanzialmente automatizzati art. 41-bis Dpr 600/73

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Si legge nel decreto ministeriale in riferimento agli atti automatizzati e sostanzialmente automatizzati che sono esclusi dall'obbligo del contraddittorio di cui all'art. 6 - bis della legge 27 luglio 2000 n. 212 gli atti dell'articolo 1 riprodotti in nota.[5]

Tenendo conto delle considerazioni già espresse riguardo all'eccesso di potere dell'Esecutivo nell'esercizio della delega, concentreremo la nostra attenzione sui casi più comuni nella vita quotidiana. La questione più critica riguarda senza dubbio gli atti dell'art. 1 lettera b), secondo cui sono esclusi dal contraddittorio gli accertamenti parziali previsti dagli articoli 41-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 54, quinto comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e gli atti di recupero di cui all'articolo 38-bis D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. L'autore della norma ha agito in modo ingannevole o non ha letto attentamente la disposizione normativa che si è inteso escludere dal contraddittorio obbligatorio nel suo attuale contenuto e soprattutto nella sua evoluzione, che è fondamentale per comprendere l'assurdità della determinazione giuridica contenuta nel Decreto Ministeriale.

Articolo 41 bis - Accertamento parziale in base agli elementi segnalati dall'anagrafe tributaria. In vigore dal 19/09/1992 con effetto dal 01/01/1992 Modificato da: Decreto-legge del 19/09/1992 n. 384 Articolo 11:

1. Senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall'articolo 43, gli uffici delle imposte, qualora, dalle segnalazioni effettuate al Centro informativo delle imposte dirette, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell'anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l'esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, compresi i redditi da partecipazioni in società, associazioni ed imprese di cui all'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, o l'esistenza di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti, possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibili. Non si applica la disposizione dell'articolo 44.

La lettura della disposizione, su riprodotta, originariamente vigente, forse, non avrebbe superato la censura di violazione della legge delega, ma poteva forse salvarsi dal rischio di essere considerato uno sproposito giuridico. I casi in cui l'Ufficio poteva emettere un atto ai sensi del 41- bis erano rigorosamente circoscritti a pochi che si fondavano su "elementi che consentivano di stabilire l'esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato" e non trovavano fondamento nelle attività istruttorie di cui all'articolo 32, primo comma, numeri da 1) a 4).

Atti automatizzati e sostanzialmente automatizzati art. 54 Dpr 633/72

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Analoghe considerazioni possono essere fatte anche per l'IVA che nella sua versione più datata recitava nella parte di nostro interesse:

"senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall'articolo 57, l'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto, qualora dalle segnalazioni effettuate dal Centro informativo delle tasse e delle imposte indirette sugli affari, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell'anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l'esistenza di corrispettivi in tutto o in parte non dichiarati o di detrazioni in tutto o in parte non spettanti, può limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, l'imposta o la maggiore imposta dovuta o il minor credito spettante".

Principi similari a quelli esposti in sede di 41 - bis trovano analoga applicazione alle rettifiche parziali di cui all'art. 54 che non trovavano fondamento nelle attività istruttorie di cui all'articolo 32, primo comma, numeri da 1) a 4).

La disciplina, oggi vigente, non consente di sottrare gli art. 41 - bis del DPR 73/600 e 54 del DPR 633/73 al principio del contraddittorio obbligatorio, perché l'ambito di applicazione della normativa è divenuto così esteso dal costituire la regola dell'attività di controllo degli Uffici che ormai da decenni emettono avvisi di accertamento con la formula a ciclostile "il presente atto è emesso ai sensi dell'art. 41 - bis del DPR 600/73 e dell'art. 54 del DPR 600/73", perseguendo due scopi:

a) ridurre i tempi di lavorazione al fine di conseguire più agevolmente gli obiettivi economici che costituiscono un introito dell'Erario e un accessorio finanziario non indifferente di chi dirige le articolazioni dell'Agenzia delle Entrate;

b) eludere prima il vecchio disposto normativo che vietava di emettere più di un avviso di accertamento ai sensi dell'art. 43 del DPR 600/73 e oggi il divieto dell'art. 9- bis dello Statuto del Contribuente.

Le considerazioni fin qui esposte trovano una lapalissiana conferma nell'art. 41/bis che per la parte d'interesse si riporta di seguito nel testo vigente:

Articolo 41 bis - Accertamento parziale in base agli elementi segnalati dall'anagrafe tributaria.

In vigore dal 01/01/2011 Modificato da: Legge del 13/12/2010 n. 220 Articolo 1

"1. Senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall'articolo 43, i competenti uffici dell'Agenzia delle entrate, qualora dalle attività istruttorie di cui all'articolo 32, primo comma, numeri da 1) a 4) (il grassetto è mio), nonché dalle segnalazioni effettuati dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell'anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l'esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, compresi i redditi da partecipazioni in società, associazioni ed imprese di cui all'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917…"

Il Decreto Ministeriale ha escluso dal contraddittorio obbligatorio di fatto, sia per le Imposte Dirette che per l'IVA[6], le attività istruttorie menzionate nell'articolo 32, primo comma, punti da 1) a 4). Queste includono i verbali della Guardia di Finanza o degli Uffici dell'Agenzia delle Entrate. Di conseguenza, sembra di poter dire che il contraddittorio è stato sopraffatto da un fardello che, probabilmente, non gli permetterà di decollare.

Atti automatizzati e sostanzialmente automatizzati art. 38 bis Dpr 600/73

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Inoltre, l'analisi del Decreto Ministeriale rivela ulteriori dettagli interessanti. L'articolo 1, lettera b), specifica che sono esclusi dal contraddittorio obbligatorio, anche, gli atti di recupero menzionati nell'articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973, n. 600, predisposti unicamente sulla base dell'incrocio di dati.

L'operazione è stata classificata dal Decreto Ministeriale come un atto automatizzato o sostanzialmente automatizzato, il cui contenuto sembra essere basato sul principio della casualità, escludendo alcuni elementi e includendone altri, per evitare il contraddittorio obbligatorio. Questa osservazione deriva non solo dal contesto normativo generale, ma soprattutto dall'interpretazione dell'art. 1, lett. a), del d.lgs. 12.2.2024, n. 13. Questo prevede che a partire dal 30.4.2024 "il recupero dei crediti indebitamente compensati non derivante da un precedente accertamento" può essere definito con l'adesione del contribuente (art. 1, comma 1, del d.lgs. 19.6.1997, n. 218). La contraddizione logico-giuridica del Decreto Ministeriale è evidente. In pratica, il recupero dei crediti indebitamente compensati è così "semplice", per usare il termine del legislatore, così "automatico", che non richiede il contraddittorio, o è un'attività delicata che richiede un confronto con la parte per definire il contesto attraverso l'istituto dell'accertamento per adesione" Ricordiamo che l'invito al contraddittorio e la richiesta di adesione procedono su binari paralleli, anche se purtroppo non si incontrano mai; quindi, l'Ufficio deve informare il contribuente della possibilità di attivare il contraddittorio o l'istanza di accertamento per adesione. Proprio quel contraddittorio che il Decreto Ministeriale oggi esclude.

L'Agenzia delle Entrate ha escluso per anni la possibilità di definire in adesione l'atto di recupero del credito d'imposta, disconoscendone, sostanzialmente, la natura di atto impositivo in contrasto con gli orientamenti giurisprudenziali più recenti.

La Corte riformulando gli avvisi di recupero come atti fiscali, ha permesso così di definirli in adesione. Questo è stato confermato anche dalle sentenze della Cass. n. 8429/2017 e n. 16761/2017.

La sentenza n. 8429/2017, in particolare, ha sottolineato l'importanza della natura fiscale dell'avviso di recupero. Di conseguenza, il contribuente a cui è stato notificato tale avviso ha il diritto di presentare una richiesta di accertamento con adesione prima di procedere all'impugnazione canonica, come previsto dall'art. 6 del D. Lgs. n. 218 del 1997.[7] Queste ulteriori considerazioni non consentono di comprendere la precisazione contenuta nell'art. 1 comma 1 del d.lgs. 19.6.1997, n. 218, che prevede il recupero dei crediti indebitamente compensati solo se non dipendono da un precedente accertamento.

Atti automatizzati e sostanzialmente automatizzati decadenza agevolazioni fiscali

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La situazione diviene ancora più allarmante, allorché scorrendo il testo del Decreto Ministeriale ci si imbatte tra gli atti esclusi dal contraddittorio obbligatorio negli avvisi di liquidazione per decadenza delle agevolazioni fiscali, ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastale. Sarebbe stato sufficiente effettuare una breve ricerca giurisprudenziale, per comprendere che nella decadenza delle agevolazioni fiscali c'è poco di atto automatico o semiautomatico.

La giurisprudenza[8] intervenendo in tema di agevolazioni fiscali per la "prima casa" ha statuito che la "nullità per difetto di motivazione dell'avviso di liquidazione ed irrogazione di sanzioni per le imposte di registro, ipotecaria e catastale (in ordine alla permuta), con il quale l'Agenzia delle Entrate aveva revocato le agevolazioni fiscali per l'acquisto della prima casa, dal momento che la motivazione dell'atto faceva testuale riferimento a "controlli d'ufficio effettuati", le cui risultanze non erano state allegate, né erano precedentemente note ai contribuenti, né erano state riprodotte nell'avviso stesso".

La questione riguardava i contribuenti che avevano ricevuto due notifiche di liquidazione. L'Agenzia delle Entrate aveva inizialmente revocato l'agevolazione per la prima casa a causa del carattere "lusso" della proprietà acquistata, e successivamente aveva revocato anche le agevolazioni relative al mutuo legato alla proprietà.

La Corte di Cassazione accoglieva le lamentele dei ricorrenti. In particolare, per i giudici di legittimità, «la classificazione di una proprietà come "di lusso", che comporta la perdita delle agevolazioni fiscali, richiede che l'atto con cui l'amministrazione provvede sia motivato in modo da esplicitare in maniera comprensibile le specifiche giustificazioni».

In materia di forza maggiore si è pronunciata la giurisprudenza[9] che ha riconosciuto l'immanenza del principio di forza maggiore anche nell'ordinamento tributario, e dunque l'applicabilità anche a favore del contribuente, costituendo, un principio di portata generale nel nostro ordinamento, quello di non addebitare responsabilità quando gli eventi dipendano da cause esterne, sopravvenute, imprevedibili e inevitabili, malgrado l'adozione di tutte le precauzioni del caso.

Si rappresenta un'altra situazione giuridica che dovrebbe fare ulteriore chiarezza sulle ragioni delle nostre critiche all'elenco degli atti sottratti al contraddittorio obbligatorio. L'agevolazione per la piccola proprietà contadina è una delle agevolazioni fiscali più utilizzate nel nostro ordinamento, superata solo dall'agevolazione per l'acquisto della prima casa. Questa agevolazione ha lo scopo di ridurre le imposte indirette per l'acquisto di terreni agricoli da parte di coltivatori diretti o di imprenditori agricoli professionali.

La legge prevede la decadenza dall'agevolazione, con il conseguente recupero delle imposte e le relative sanzioni, se l'acquirente cede volontariamente i terreni, a qualsiasi titolo, oppure cessa di coltivarli o di condurli direttamente prima che siano trascorsi cinque anni dall'acquisto.

Non comportano mai decadenza dalle agevolazioni la successione a causa di morte e l'espropriazione per pubblica utilità. Prima che siano trascorsi cinque anni, è però concessa la facoltà di trasferire o affittare il terreno a favore del coniuge, di parenti entro il terzo grado o di affini entro il secondo grado che esercitino l'attività di imprenditore agricolo, a condizione che si mantenga la destinazione agricola del fondo.

L'Agenzia delle Entrate ha precisato che non comporta la decadenza dalle agevolazioni neanche l'affitto del fondo a favore di una società agricola costituita tra l'acquirente, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado, a patto che il concedente continui a coltivare direttamente il fondo acquistato con le agevolazioni. In tutti i casi appena rappresentati è evidente il concreto rischio che la parte lamenti la lesione del diritto al contraddittorio ed eccepisca innanzi alla Corte di Giustizia Tributaria, quanto meno, l'annullabilità dell'atto o addirittura la nullità attenendosi al disposto della legge delega.

Assenza di una vera correlazione tra contraddittorio obbligatorio e istanza di adesione

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Purtroppo, la situazione peggiora se si esaminano le interrelazioni tra il contradditorio obbligatorio e l'accertamento per adesione. Le comunicazioni che hanno a oggetto lo schema dell'atto per il contraddittorio preventivo recano sia l'invito a formulare osservazioni sia l'invito a presentare l'istanza per la definizione dell'accertamento con adesione, in luogo delle osservazioni. Come abbiamo anticipato non risponde ai principi di trasparenza dell'azione amministrativa creare canali non comunicanti. Sarebbe stato doveroso prevedere un termine per il contradditorio che doveva chiudersi con una presa di posizione formale dell'Ufficio, per aprire successivamente sulla base delle osservazioni del contribuente e la risposta dell'Ufficio la strada dell'accertamento per adesione. Invece, il legislatore non ha avuto il coraggio di porre l'Amministrazione Finanziaria e il Contribuente sostanzialmente sullo stesso piano, costringendolo a cercare la soluzione alla controversia innanzi alle Corti di Giustizia Tributaria. È un assurdo logico che il contribuente sia stato posto nell'alternativa di produrre sulla base dello schema d'atto le osservazioni o l'istanza di accertamento per adesione nel termine ridotto di 30 giorni. La norma sembra quasi un avvertimento al contribuente: è improbabile che ti sarà data ragione in sede di adesione dati da fare senza tergiversare per l'istanza di accertamento per adesione.

Nel caso di atti senza contraddittorio obbligatorio resta in vigore la vecchia disciplina: il contribuente può presentare istanza nel termine per ricorrere e definire il contesto nei successivi 90 giorni senza dovere anticipare la strategia difensiva che si intende percorrere se si ha "l'astuzia" di aspettare l'esito del contradditorio senza presentare istanza di accertamento per adesione. Se lo scopo era creare un clima di collaborazione e fiducia con il contribuente il risultato non è stato conseguito e forse si è incentivata la furbizia.

Nonostante non ci sia, apparentemente, una stretta correlazione tra il contradditorio e l'adesione al processo verbale di constatazione riteniamo opportuno soffermarci su alcuni aspetti di questo istituto che è stato accolto con entusiasmo, ma usando però una terminologia che è un invito alla riflessione non solo sui rischi ai quali è esposta la trasparenza dell'azione amministrativa, ma anche ai presidi anticorruzione. Il Decreto sull'accertamento tributario e concordato preventivo riporta l'istituzione dell'adesione al pvc, permettendo di diminuire le penalità e dilazionare i pagamenti dovuti. Questa normativa può agevolare[10], la risoluzione delle controversie, se accompagnata da controlli equilibrati. Le espressioni usate misurate ed effettivamente equilibrate farebbero pensare a un istituto frutto di molta saggezza, purtroppo l'istituto si presta a possibili abusi che probabilmente furono una concausa della sua abolizione. L'istituto dell'adesione al processo verbale mise in luce ottimi risultati, ma emerse sul territorio nazionale una percentuale di adesione ai processi verbali così elevata, talvolta vicino al 100% che impose per un verso una riflessione critica sulla bontà professionale dei verificatori che redigevano i processi verbali di constatazione e per altro una stridente contradizione che voleva che gli accertamenti di norma non venissero emessi dallo stesso soggetto che effettuava la verifica e redigeva il processo verbale di constatazione. Nella nuova versione l'adesione al processo verbale di constatazione sembra eliminare alla radice un suo vizio strutturale: la necessità di aderire al processo verbale in toto comprensivo anche di eventuali errori. La nuova versione prevede la possibilità di aderire al processo verbale al netto di "errori manifesti". La modifica può apparire non solo opportuna, ma anche necessaria, ma si creano delicati problemi di trasparenza dei verbalizzanti che sembrano sottovalutati. Innanzitutto, dal punto di vista formale si pone il problema di opportunità che l'errore materiale deve essere rimosso dallo stesso organo verbalizzante dal punto di vista sostanziale e che cosa si intende per errore manifesto. I verbalizzanti contestano un maggiore ricavo ed omettono di riconoscere il relativo costo. Siamo in presenza di un errore evidente, oppure di un errore che richiede una stima, un apprezzamento per il riconoscimento dell'errore evidente" Sono evidenti gli errori di fatto o anche gli errori di diritto" In presenza di fattispecie controversa. Sono queste le ragioni che inducono a ritenere troppo caotico e meno garantista, anche in senso lato il nuovo meccanismo. Una stretta correlazione tra contraddittorio e accertamento in adesione appare la soluzione più garantista in tutti i sensi.

Conclusioni

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Il sommario esame del contraddittorio che si conclude con il presente scritto che fa seguito a Contraddittorio obbligatorio: ennesimo caos normativo non solo conferma i dubbi sulla bontà della riforma, ma li rafforza in modo preoccupante. I decreti legislativi non brillano per chiarezza terminologica. Emergono di frequente all'interno del medesimo articolo, del medesimo decreto e nell'arduo compito di coordinare i contenuti dei diversi decreti legislativi. Il contraddittorio obbligatorio si è annacquato. I casi da noi esaminati sono, forse, i più frequenti ma non di certo gli unici. Un esame approfondito di tutti i casi di esclusione dal contraddittorio effettuato alla luce della più recente giurisprudenza potrebbe fare emergere ulteriori rischi di illegittimità per gli interessi dell'Erario. Si verificheranno senz'altro numerosi casi in cui una fattispecie apparentemente lineare si rileverà motivo di ricorso, perché è ragionevole presumere che la giurisprudenza abbraccerà la sostanza anziché la forma in materia di contraddittorio. Un rilievo comprovato di un ricavo non contabilizzato in un processo verbale potrebbe sembrare pacificamente fuori dall'obbligo del contradditorio, ma se il ricavo non contabilizzato imporrebbe il riconoscimento di un costo di cui non c'è traccia nel processo verbale il contribuente sarebbe legittimato a chiedere l'illegittimità dell'atto per il mancato riconoscimento del costo, non essendo stato posto nella condizione di rappresentarlo. L'atto non sfuggirebbe alla censura di illegittimità, perché è stato inserito in un elenco di atti sottratti al contraddittorio.

I provvedimenti normativi entrano in vigore senza tenere conto del complessivo assetto normativo. Per sanare le contraddizioni si violano i principi dello Statuto del contribuente ribaditi e rafforzati poche ore prima. Il rapporto tra legge delega e decreti legislativi si pone ormai in palese contrasto se non con la lettera della Costituzione con i suoi principi fondamentali; il potere esecutivo che predispone lo schema di legge delega e la maggioranza parlamentare che lo approva in termini sovente sibillini, aprendo lunghi e articolati contenziosi innanzi alla Corte Costituzionale.


[1] Corte costituzionale Sentenza 13 - 28 luglio 2004 n. 280

[2] Corte Costituzionale sentenza n. 1 del 1963.

[3] Corte Costituzionale - Servizio Studi - La delega della funzione legislativa nella giurisprudenza costituzionale a cura Di Riccardo Nevola, Danilo Bianco ottobre 2018.

[4] Quanto più i principi e i criteri direttivi impartiti dal legislatore delegante sono analitici e dettagliati, tanto più ridotti risultano i margini di discrezionalità lasciati al legislatore delegato. Per valutare se il legislatore delegato abbia ecceduto tali, più o meno ampi, margini di discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega, cioè le ragioni e le finalità che, tenendo anche conto del complesso dei criteri direttivi impartiti, hanno ispirato il legislatore delegante, e verificare se la norma delegata sia ad esse rispondente. Nel silenzio della legge delega su uno specifico aspetto, deve ritenersi legittima la disposizione delegata che costituisce un coerente sviluppo e completamento della scelta espressa dal legislatore delegante e delle ragioni a essa sottese.

[5] Articolo 1

a) i ruoli e le cartelle di pagamento, gli atti di cui agli articoli 50, comma 2, 77 e 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ogni altro atto emesso dall'Agenzia delle entrate-Riscossione ai fini del recupero delle somme ad essa affidate;

b) gli accertamenti parziali di cui agli articoli 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e 54, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e gli atti di recupero di cui all'articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, predisposti esclusivamente sulla base dell'incrocio di dati;

c) gli atti di intimazione autonomi di cui all'articolo 29 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nonché gli atti di intimazione emessi per decadenza dalla rateazione;

[6] Art.1 comma 5 - Senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall'articolo 57, i competenti uffici dell'Agenzia delle entrate, qualora dalle attività istruttorie di cui all'articolo 51, secondo comma, numeri da 1) a 4), nonché' dalle segnalazioni effettuati dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell'anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l'esistenza di corrispettivi o di imposta in tutto o in parte non dichiarati…

[7] Alberto Renda, Avvocato Cassazionista, Dottore di ricerca in diritto tributario delle Società, Docente a contratto di Diritto tributario Università di Teramo, Associato CAT Abruzzo

[8] Corte di Cassazione con la sentenza n. 4040 depositata il 18 febbraio 2020

[9] Suprema Corte di Cassazione SS.UU. con la sentenza n. 8094 del 23 aprile 2020

[10]Alessandro De Stefano - Avvocato e Professore di diritto tributario presso l'Università Europea di Roma pubblicato su Quotidiano Plus del 6 febbraio 2024.


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