- Il controllo della prestazione
- Il controllo occulto
- L'elemento essenziale
- L'inutilizzabilità delle prove
- Conclusioni
Il controllo della prestazione
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Il datore di lavoro ha il diritto di verificare l'esatto adempimento degli obblighi gravanti sul lavoratore, vale a dire l'esatta esecuzione delle mansioni a lui attribuite, il rispetto delle regole e delle prescrizioni, ed altro, purché i nominativi dei soggetti incaricati di tali controlli, e le loro specifiche attività, siano anticipatamente comunicate ai lavoratori, così vietando ogni forma di controllo occulto sulla qualità/quantità della prestazione lavorativa (cfr. Statuto dei lavoratori). Tale diritto del lavoratore, ed obbligo del datore di lavoro, si estende anche agli strumenti di lavoro quali computer, telefoni, veicoli, ecc., giacché le odierne tecnologie consentono di monitorare il lavoratore e la sua prestazione anche tramite tali mezzi (cfr. Garante Privacy, Registro dei provvedimenti 296/2012). Il datore ha pertanto l'obbligo di comunicare preventivamente, possibilmente attraverso un disciplinare tecnico interno, la possibilità che egli verifichi il corretto utilizzo del computer aziendale, del telefono di servizio, dell'auto in uso al dipendente, ecc. (cfr. Linee guida del Garante per posta elettronica e internet - doc web Garante Privacy 1387978).
Il controllo occulto
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Questa attività è consentita esclusivamente quando la sua finalità è di accertare la coincidenza della prestazione lavorativa con comportamenti illeciti, estranei quindi alle mansioni lavorative e, pertanto, con il solo intento di tutelare il patrimonio aziendale. Il datore di lavoro deve in ogni caso assicurare un corretto bilanciamento delle esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore.
L'elemento essenziale
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Il legislatore ha quindi previsto che il controllo occulto è possibile solo in presenza del fondato sospetto circa la commissione di un illecito, e sempre che riguardi i dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto. È pertanto necessario un giustificato dubbio del datore di lavoro, il quale avrà l'onere di allegare prima, e di provare poi, le specifiche circostanze che l'hanno indotto ad attivare le verifiche (cfr. Cassazione 18168/2023). Tale forma di attività è quindi motivata, valida, ed utilizzabile solo successivamente all'individuazione di indizi che la giustifichino, poiché è considerata lecita esclusivamente la raccolta di informazioni effettuata dopo il nascere dei sospetti. Il datore non è pertanto autorizzato ad eseguire controlli in modalità esplorativa, e può raccogliere informazioni solo in seguito all'insorgere di un indizio, sicché sono utilizzabili unicamente le notizie successive al legittimo controllo (Tribunale Roma, sezione lavoro, provvedimento del 14 febbraio 2024 relativo al giudizio R.G. 7571/2023).
L'inutilizzabilità delle prove
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I dati personali raccolti e trattati, ovvero le informazioni e prove reperite in violazione della norma, sono inutilizzabili ai sensi dell'articolo 11, comma 2, d. lgs. 196/2003, così come sostituito dall'articolo 2-decies del d. lgs. 101/2018. La loro inutilizzabilità potrà quindi avere conseguenze sull'esito del provvedimento sanzionatorio inflitto al lavoratore. Infatti, "sul piano processuale tale norma preclude non solo alle parti di avvalersi dei predetti dati come mezzo di prova, ma pure al giudice di fondare il proprio convincimento su fatti dimostrati dal dato acquisito in modo non rispettoso delle regole dettate dal legislatore e dai codici deontologici" (cfr. Cassazione 28378/2023). Trova pertanto applicazione l'articolo 11 d. lgs. n. 196/2003 nella sua formulazione originaria ed assoluta, giacché deve ritenersi che il legislatore abbia inteso imporne un'accezione rilevante sia in sede processuale sia in sede extraprocessuale. Scrivono infatti i giudici che "la tesi, pur sostenuta da parte della dottrina, secondo cui la disciplina del trattamento dei dati sarebbe irrilevante nell'ambito del processo civile, che resterebbe soggetto alle regole sue proprie, non può essere condivisa. La sua conseguenza, infatti, sarebbe l'utilizzabilità di quei dati sia dalle parti per adempiere i propri oneri probatori, sia dal giudice per la sua decisione. Ma in tal modo si finirebbe per porre l'ordinamento in contraddizione con sé stesso, poiché da un lato qualificherebbe quel trattamento dei dati come illecito, dall'altro permetterebbe la produzione di quei dati in un giudizio civile, ossia una diffusione altrimenti vietata, ed inoltre consentirebbe alla parte di trarre in tal modo vantaggio da un'attività illecita (con pericolosi effetti incentivanti di tale illecito), ciò che è contrario ai principi generali, fra i quali quello del "giusto processo" ex art. 111 Cost.". Pertanto, l'articolo 11 d. lgs. n. 196 cit., nella sua formulazione originaria, va inteso nel senso assoluto di cui si è detto (cfr. Cassazione 28378/2023).
Conclusioni
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Il datore di lavoro può quindi controllare la quantità e la qualità della prestazione lavorativa, purché i soggetti a ciò deputati siano noti ai dipendenti. Può altresì verificare, anche in modo occulto, che il lavoratore non commetta illeciti in danno del patrimonio aziendale. In tal caso, sono utilizzabili esclusivamente le prove acquisite successivamente all'insorgere di un fondato sospetto od indizio che abbia giustificato l'avvio dell'attività occulta.
Andrea Pedicone
Consulente investigativo ed in materia di protezione dei dati personali
Auditor/Lead Auditor Qualificato UNI CEI EN ISO/IEC 27001:2017
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