La questione concerneva una norma contenuta nel decreto-legge n. 2 del 2023, che autorizza il Governo, in caso di sequestro di impianti necessari ad assicurare la continuità produttiva di stabilimenti di interesse strategico nazionale, ad adottare "misure di bilanciamento" che consentano di salvaguardare la salute e l'ambiente senza sacrificare gli interessi economici nazionale e la salvaguardia dell'occupazione. Secondo il Gip di Siracusa che aveva disposto il sequestro degli impianti di depurazione, questo schema normativo non garantirebbe adeguata tutela alla vita, alla salute umana e all'ambiente, vincolandolo ad autorizzare la prosecuzione dell'attività anche quando, a suo giudizio, le misure adottate risultino insufficienti rispetto alle esigenze di tutela di questi interessi.
La Corte costituzionale ha anzitutto osservato che una lettura attenta della normativa sottoposta al suo esame conferma che, una volta che siano state adottate le misure in questione, il giudice che ha disposto il sequestro è tenuto ad autorizzare la prosecuzione dell'attività degli impianti, senza poter rimettere in discussione le scelte del Governo. Nel vagliare la legittimità costituzionale di questo meccanismo, la Corte ha ricordato che la recente riforma costituzionale del 2022 ha attribuito espresso e autonomo rilievo, nel nuovo testo dell'art. 9, alla tutela dell'ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni. Inoltre, la riforma ha esplicitamente chiarito che la tutela della salute e dell'ambiente costituisce un limite alla stessa libertà di iniziativa economica.
Tenendo conto di queste indicazioni del legislatore costituzionale, da un lato la Corte ha ritenuto non incompatibile con la Costituzione la previsione della possibilità per il Governo di dettare direttamente, in una situazione di crisi e in via provvisoria, misure conformi alla legislazione vigente, che consentano di assicurare continuità produttiva a uno stabilimento di interesse strategico nazionale, contenendo il più possibile i rischi per l'ambiente, la salute e la sicurezza dei lavoratori. Dall'altro lato, queste misure - la cui effettiva osservanza dovrà essere costantemente monitorata dalle autorità competenti - dovranno comunque "tendere a realizzare un rapido risanamento della situazione di compromissione ambientale o di potenziale pregiudizio alla salute determinato dall'attività delle aziende sequestrate", e non invece "a consentirne indefinitamente la prosecuzione attraverso un semplice abbassamento del livello di tutela di tali beni".
In applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittima la mancata previsione, nella norma esaminata, di un termine massimo di 36 mesi di operatività delle misure in questione. Entro questo termine, occorrerà in ogni caso assicurare il completo superamento delle criticità riscontrate in sede di sequestro e ripristinare gli ordinari meccanismi autorizzatori previsti dalla legislazione vigente.
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