Le Sezioni Unite Penali hanno fornito importanti chiarimenti sulla continuità normativa tra millantato credito e traffico di influenze illecite

La vicenda sottesa e la questione giuridica

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La sentenza in esame riguardava, in particolare, il caso in cui un detenuto era stato indotto a promettere denaro ad altro detenuto, con la complicità di un agente della polizia penitenziaria in servizio nello stesso istituto, al fine di evitare un imminente trasferimento presso altro carcere, in realtà mai disposto.

La questione di diritto dibattuta era la seguente: "Se sussista continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all'art. 346, comma secondo, cod. pen. - abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. s) della legge 9 gennaio 2019, n. 3 - e il reato di traffico di influenze illecite dì cui all'art. 346-bis cod. pen., come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. t) della citata legge n. 3 del 2019".

Sul punto, richiamando le argomentazioni di cui alla sentenza, si rappresenta che l'esito della successione di leggi penali è stato, per un primo indirizzo giurisprudenziale, quello della piena continuità normativa tra la fattispecie prevista dal formalmente abrogato art. 346 c.p. e la fattispecie di cui all'art. 346-bis c.p., come novellata dalla legge n. 3 del 2019, con la conseguenza che il reato di traffico di influenze illecite ha "inglobato" anche la descrizione delle condotte in precedenza sanzionate dal reato di millantato credito.

Contesto normativo e giurisprudenziale

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Il reato di millantato credito, previsto dall'art. 346, secondo comma, del codice penale, abrogato dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3 puniva "Chiunque, millantando credito presso un pubblico ufficiale, o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato - con - la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da trecentonove euro a duemilasessantacinque euro.".

Con la riforma del 2019, è stato introdotto l'art. 346-bis c.p., che punisce il traffico di influenze illecite, ovvero chiunque, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o un pubblico impiegato, si fa dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione illecita.

Questa riforma ha sollevato numerosi interrogativi circa la possibile continuità normativa tra le due fattispecie.

Il punto della Cassazione

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Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 19357 del 2024 (sotto allegata), hanno stabilito che non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito e quello di traffico di influenze illecite.

In altre parole, le condotte che in passato integravano il reato di millantato credito non possono automaticamente essere ricondotte al nuovo reato di traffico di influenze illecite.

La Corte ha sottolineato che, sebbene entrambi i reati riguardino condotte di mediazione illecita, essi presentano differenze sostanziali. Il millantato credito si basa su un falso vanto di credito, mentre il traffico di influenze illecite presuppone l'esistenza reale di relazioni con il pubblico ufficiale o impiegato.

Pertanto, le condotte di millantato credito non possono essere automaticamente ricondotte al traffico di influenze illecite, in quanto mancano gli elementi costitutivi richiesti dal nuovo reato.

Così, con la sentenza in parola le Sezioni Unite Penali hanno affermato che: «non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all'art. 346, comma secondo, cod. pen. - abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. s), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 - e il reato di traffico di influenze illecite di cui all'art. 346-bis cod. pen., come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. t), della citata legge, e che le condotte, già integranti gli estremi dell'abolito reato di cui all'art. 346, comma secondo, cod. pen., potevano, e tuttora possono, configurare gli estremi del reato di truffa (in passato astrattamente concorrente con quello di millantato credito corruttivo), purché siano formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della relativa diversa fattispecie incriminatrice».

La Corte, dunque, ha avuto modo di precisare che, in alcuni casi, le condotte di millantato credito potrebbero configurare il reato di truffa, qualora siano presenti gli elementi costitutivi di quest'ultimo, come l'inganno e il conseguente danno patrimoniale.

La truffa, disciplinata dall'art. 640 c.p., richiede infatti che l'agente, con artifizi o raggiri, induca taluno in errore procurandosi un ingiusto profitto con altrui danno.

Implicazioni pratiche e conclusioni

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La sentenza ha chiarito, dunque, che le condotte precedentemente integranti gli estremi del reato di millantato credito possono configurare gli estremi del reato di truffa, a condizione che siano formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della relativa diversa fattispecie incriminatrice.

In conclusione, la sentenza delle Sezioni Unite n. 19357 del 2024 rappresenta un importante punto di riferimento per la giurisprudenza italiana, chiarendo la mancanza di continuità normativa tra il reato di millantato credito e quello di traffico di influenze illecite.

Tale pronuncia ha implicazioni significative per la qualificazione giuridica delle condotte poste in essere prima della riforma del 2019, stabilendo che tali condotte possono essere perseguite come truffa solo se tutti gli elementi costitutivi di quest'ultimo reato sono stati contestati e accertati.

La sentenza impugnata è stata annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, confermando così l'importanza di una corretta qualificazione giuridica delle condotte alla luce delle intervenute modifiche normative.

La sentenza, infatti, contribuisce a delineare i confini tra i due reati, evitando sovrapposizioni e garantendo una maggiore certezza del diritto.


Avv. Francesco Pace

Studio Legale Cataldi sede di Roma

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Scarica pdf Cass. SS.UU. n. 19357/2024

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