- La vicenda sottesa e la questione giuridica
- Contesto normativo e giurisprudenziale
- Il punto della Cassazione
- Implicazioni pratiche e conclusioni
La vicenda sottesa e la questione giuridica
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La sentenza in esame riguardava, in particolare, il caso di un imputato condannato in primo grado per aver proferito durante un'udienza di un processo civile, in presenza di più persone, la parola "pezzente" nei confronti della controparte, assente, poi costituita parte civile nel processo penale. Il Tribunale di Gela aveva, dunque, condannato l'imputato per diffamazione, ritenendo che il termine utilizzato fosse offensivo e lesivo della reputazione della parte offesa. Tuttavia, la Corte di cassazione ha ribaltato questa decisione, annullando la condanna senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
Contesto normativo e giurisprudenziale
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Il reato di diffamazione, previsto dall'art. 595 del codice penale, punisce "chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, e' punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire diecimila".
Il reato di diffamazione sanziona dunque chi, comunicando con più persone, offende volontariamente la reputazione di un soggetto assente.
Per configurare tale reato, sono essenziali i seguenti requisiti: l'offesa alla reputazione di un'altra persona, l'impossibilità per la vittima di percepire direttamente l'offesa e la presenza di almeno due persone.
In primo luogo, va chiarito che per "reputazione" si intende la stima che gli altri hanno della sfera morale di una persona nell'ambiente in cui vive. Questa stima è protetta dalla legge come interesse del soggetto alla sua conservazione e al rispetto da parte degli altri membri della società.
La condotta tipica del delitto di diffamazione consiste, quindi, nell'atto di comunicare, con qualsiasi mezzo o modalità, ad almeno due persone, un'offesa alla reputazione di un terzo.
È sufficiente che nella condotta dell'agente sussista il dolo generico, in quanto la norma in esame non prevede la necessità di un fine specifico, ma unicamente la consapevolezza e la volontà di arrecare un'offesa e di comunicarla a due o più persone.
Il punto della Cassazione
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La Cassazione, con la sentenza n. 25026 del 2024 (sotto allegata) ha sottolineato che, nel caso di specie, il termine "pezzente" è stato pronunciato nel corso di un'udienza di una controversia civile "in occasione di un non meglio precisato riferimento ad una denuncia per truffa", d'impeto e non in un contesto denigratorio continuativo. L'uso isolato e occasionale del termine non possiede, infatti, la carica offensiva necessaria per configurare il reato di diffamazione.
La Corte ha valutato, dunque, che la parola "pezzente", sebbene possa essere considerata offensiva in alcuni contesti, nel caso specifico non ha compromesso la reputazione della parte offesa nell'ambiente sociale in cui vive.
La valutazione della carica offensiva di un termine, dunque, deve essere contestualizzata e non può prescindere dalle circostanze specifiche in cui esso viene utilizzato.
La sentenza richiama implicitamente il principio della libertà di espressione, sancito dall'art. 21 della Costituzione Italiana riconoscendo che, sebbene la libertà di espressione non sia assoluta e debba essere bilanciata con il diritto alla reputazione, nel caso di specie l'esternazione non ha raggiunto il livello di offensività richiesta per la configurazione del reato di diffamazione.
Implicazioni pratiche e conclusioni
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La sentenza n. 25026 del 2024 della Cassazione offre importanti spunti di riflessione per la giurisprudenza futura e per la pratica forense.
La decisione ribadisce l'importanza di valutare il contesto in cui un termine offensivo viene utilizzato. Non ogni espressione potenzialmente offensiva costituisce diffamazione; è necessario considerare le circostanze specifiche, il contesto e l'intenzione dell'autore.
La sentenza evidenzia, altresì, la necessità di bilanciare il diritto alla libertà di espressione con il diritto alla reputazione. Questo bilanciamento deve essere effettuato caso per caso, tenendo conto della gravità dell'offesa e, si ripete, del contesto in cui viene proferita.
La decisione della Cassazione potrebbe costituire un precedente importante per future controversie in materia di diffamazione, soprattutto in contesti giudiziari.
In conclusione, la sentenza n. 25026 della S.C. rappresenta un'importante pronuncia in materia di diffamazione, offrendo chiarimenti sui limiti della libertà di espressione e sulla necessità di un'attenta valutazione delle espressioni offensive e del contesto di riferimento. La decisione sottolinea l'importanza di bilanciare i diritti costituzionali e di considerare le circostanze specifiche di ogni caso, contribuendo così a una giurisprudenza più equilibrata e attenta ai diritti delle parti coinvolte.
Avv. Francesco Pace
Studio Legale Cataldi sede di Roma
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Scarica pdf Cass. n. 25026/2024
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