La Corte di Cassazione ha delineato nuovi e più stringenti parametri relativi all'uso dei captatori informatici

La vicenda sottesa e la questione giuridica

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Il caso in esame riguardava il ricorso presentato da un indagato contro l'ordinanza del Tribunale di Catanzaro di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere che aveva accolto l'appello del P.M. La penale responsabilità dell'indagato, accusato di detenzione di marijuana, derivava da intercettazioni effettuate mediante captatore informatico in un altro procedimento per tentato omicidio.

Contesto normativo e giurisprudenziale

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Il captatore informatico è uno strumento di sorveglianza che si installa su dispositivi elettronici per monitorare e registrare le comunicazioni e le attività dell'utente senza il suo consenso, meglio noto come "trojan" - "malware".

Data la loro capacità di raccogliere una vasta gamma di informazioni personali, l'uso di tali dispositivi è soggetto a severe restrizioni legali, mirate a bilanciare le esigenze di sicurezza con il rispetto della privacy individuale.

La sentenza in esame (n. 25401 depositata il 28 giugno 2024, sotto allegata), si è concentrata in particolare sulla possibilità di utilizzare le informazioni raccolte tramite captatori informatici per indagare e procedere su reati diversi da quelli che hanno motivato l'autorizzazione iniziale delle intercettazioni.

Sul punto, la Corte di cassazione, con la sentenza in parola, ha introdotto una distinzione chiave tra le intercettazioni di comunicazioni tra presenti e quelle non in presenza.

Mentre le prime possono essere utilizzate esclusivamente per i reati sono state espressamente autorizzate, le seconde possono essere impiegate per indagare ulteriori reati, purché rientrino fra le più gravi categorie delineate dall'art. 266, comma 2-bis, del Codice di Procedura Penale.

Tale distinzione è cruciale per comprendere i limiti entro cui l'autorità giudiziaria può estendere l'uso delle informazioni raccolte, salvaguardando al contempo i diritti degli individui. La decisione enfatizza la necessità di un'attenta valutazione caso per caso, evitando un'applicazione indiscriminata dei dati ottenuti tramite tecnologie del tutto invasive.

Il punto della Cassazione

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La quarta sezione penale della Cassazione ha precisato, dunque, che i risultati delle intercettazioni effettuate con captatori informatici possono essere utilizzati per l'accertamento dei delitti indicati dall'art. 266, comma 2-bis, del Codice di Procedura Penale, anche se tali delitti non erano fra quelli indicati e per cui originariamente era stata concessa l'autorizzazione.

Di seguito, il principio di diritto delineato: "in tema di utilizzazione dei risultati di intercettazioni effettuate con captatore informatico per delitti diversi da quelli per cui è stato emesso il decreto autorizzativo, ha affermato che il disposto dell'art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen., nella parte in cui limita l'utilizzazione all'accertamento dei delitti indicati all'art. 266, comma 2-bis, cod. proc. pen., è riferito esclusivamente alla captazione di conversazioni intercorse tra presenti, mentre per quelle che non si svolgono tra presenti opera la clausola di salvezza contenuta nell'"incipit" del medesimo art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen., che rinvia alle condizioni previste nel comma 1 di tale disposizione".

Implicazioni pratiche e conclusioni

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La sentenza impone agli operatori del diritto e agli organi di polizia di adottare un approccio più mirato nell'uso dei captatori informatici. È essenziale, infatti, che ogni operazione di intercettazione sia strettamente correlata agli obiettivi dell'indagine autorizzata ed alle specifiche disposizioni legali, con particolare attenzione alla protezione dei dati personali e al rispetto delle garanzie procedurali.

Inoltre, la decisione solleva questioni importanti riguardo alla formazione dei professionisti del diritto e delle forze dell'ordine, i quali devono essere adeguatamente preparati per gestire le complessità tecnologiche e legali legate all'uso dei captatori informatici.

La decisione mira a rafforzare la tutela della privacy imitando le possibilità di utilizzo estensivo dei dati raccolti tramite tecnologie invasive, così ponendo un freno all'utilizzo indiscriminato dei trojan in ambito giuridico.

In conclusione, la sentenza n. 25401/2024 della Corte di cassazione segna un passo importante nella definizione dei confini legali per l'uso dei captatori informatici in Italia. Essa non solo chiarisce le condizioni sotto cui tali strumenti possono essere utilizzati, ma riafferma anche l'importanza della tutela della privacy come principio fondamentale del nostro sistema giuridico.

Questo equilibrio tra sicurezza e privacy continuerà ad essere un tema centrale nel dibattito giuridico, soprattutto alla luce dell'evoluzione tecnologica e delle sue implicazioni per i diritti umani.


Avv. Francesco Pace

Studio Legale Cataldi sede di Roma

studiolegalecataldiroma@gmail.com

Scarica pdf Cass. n. 25401/2024

Foto: 123rf.com
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