Il principio del favor rei è stato improvvisamente e inaspettatamente messo in discussione dal legislatore con la recente riforma delle sanzioni tributarie, vietando gli effetti retroattivi dell'istituto

Il favor rei e la gallina dalle uova d'oro

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Una volta in un regno (non) molto lontano, un imprenditore di successo, che aveva costruito un impero commerciale. Un giorno ricevette una notifica dall'agenzia dell'entrate, la quale affermava che dovesse pagare una somma enorme a causa di alcune irregolarità nelle sue dichiarazioni fiscali.

L'imprenditore era sconvolto. non aveva idea di come avrebbe potuto pagare una somma così grande. Corse così dal suo avvocato, il quale lo rassicurò, dicendogli che tanto avrebbe beneficiato del favor rei e il dovuto si sarebbe ridotto significativamente. Eppure, così non fu. dopo un lungo processo, il giudice decise contro l'imprenditore. A nulla valse l'appello del fedele avvocato, la sanzione originale fu mantenuta e i beni dell'imprenditore confiscati.

Nel frattempo, all'Agenzia delle entrate, si respirava aria di trionfo, ridendo e festeggiando per la ricca vittoria ottenuta. La gioia, però, fu di breve durata, perché presto realizzarono di aver ucciso la gallina dalle uova d'oro.

Principi generali del favor rei

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Il principio del favor rei è stato improvvisamente e inaspettatamente messo in discussione dal legislatore con la recente riforma delle sanzioni tributarie, vietando gli effetti retroattivi dell'istituto. Il principio del favor rei è un concetto fondamentale nel diritto, che sostiene che in caso di dubbio o incertezza, la decisione dovrebbe essere presa a favore del responsabile. Questo principio si basa sul concetto di retroattività della legge norma più favorevole al responsabile, ma soprattutto ad un principio di civiltà giuridica. Non ha alcun senso punire un soggetto per un fatto che non costituisce più illecito nella logica del legislatore e dell'opinione pubblica o punirlo con una sanzione più grave rispetto a quella che si è introdotta nel nostro ordinamento.

Nel contesto del diritto dell'Unione Europea[1], il principio del favor rei ha assunto un ruolo significativo. Esso stabilisce che nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge successiva, non è più considerato una violazione punibile. Questo principio si applica in presenza di qualsiasi modifica in melius della disciplina sanzionatoria, salvo espressa indicazione contraria del legislatore[2].

La Corte di Cassazione ha riconosciuto l'applicabilità del principio del favor rei anche in ambito tributario, stabilendo che al soggetto trasgressore si applica sempre la sanzione più favorevole, ancorché emanata successivamente alla commissione del fatto che integra la violazione. Tuttavia, l'ambito di operatività del principio del favor rei non è precisamente definito nella giurisprudenza di Cassazione, che in alcuni casi non ne ha tenuto conto anche in presenza di innovazioni della normativa sostanziale del tributo.

In conclusione, il principio del favor rei rappresenta un importante baluardo per la protezione dei diritti degli individui nel contesto del diritto dell'Unione Europea. In un paese a cultura democratica non si possono mettere in discussione i diritti fondamentali. Per nulla al mondo, si può anteporre il bilancio dello stato ai diritti degli individui se non si vuole tornare a quella forma di autoritarismo, monarchie assolute, che portarono a tanti conflitti, per elevare gli individui dal rango di sudditi al rango di cittadini.

Per comprendere bene dal punto di vista giuridico e sociologico il problema del favor rei, non possiamo prescindere dal contesto in cui è collocata l'Italia, essendo un pericoloso paradosso che la classe politica italiana indistintamente si lamenti di dovere introdurre norme non condivise per ottemperare a disposizioni comunitarie, violandone contestualmente altre di carattere cogente stabilite dai trattati comunitari a tutela dei diritti dei cittadini.

Principi comunitari in materia di favor rei

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A) L'Italia ha ceduto all'Unione Europea, secondo l'articolo 11 della Costituzione, l'autorità di creare leggi nelle aree coperte dai Trattati. La Corte di Giustizia sostiene che il diritto dell'UE e le leggi nazionali formano un sistema unico, in cui le leggi dell'UE hanno la precedenza sulle leggi nazionali, che non dovrebbero essere applicate. Tuttavia, per la Corte Costituzionale, i sistemi sono separati ma coordinati; le leggi dell'UE rimangono estranee al sistema delle fonti interne, ma il giudice nazionale, agendo come giudice dell'UE, deve applicare le leggi dell'UE[3] e non applicare la legge interna[4].

B) Le fondamenta del diritto dell'UE sono stabilite dal Trattato sull'Unione Europea (TUE), dal Trattato sul Funzionamento dell'UE (TFUE) e dalla "Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea" (conosciuta come Carta di Nizza). L'articolo 6 del TUE stabilisce che l'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella "Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea", che ha lo stesso valore legale dei trattati. Prevede inoltre che l'Unione aderisca alla CEDU (Carta Europea dei Diritti dell'Uomo) e che i diritti fondamentali, garantiti dalla CEDU e derivanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione come principi generali.

C) Il diritto europeo "derivato" è costituito dagli atti normativi emessi dagli organi dell'Unione (regolamenti, direttive, decisioni, sentenze). Si aggiunge la soft law: raccomandazioni e pareri. I regolamenti entrano immediatamente in vigore in tutti gli Stati dell'Unione, rendendo non più applicabili le leggi nazionali. Gli Stati non devono e non possono emanare leggi per recepire i regolamenti nell'ordinamento interno, e neppure leggi riproduttive (perché ciò nasconderebbe l'origine delle leggi dall'UE); gli Stati possono emanare leggi di attuazione dei regolamenti, ma solo quando lo prevede la stessa normativa europea.

D) Le direttive vincolano gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere, mentre è lasciata alla discrezionalità dei singoli Stati l'adozione degli strumenti e dei mezzi per raggiungerlo. Tuttavia, se gli Stati non adottano leggi di recepimento, viene riconosciuto alle direttive l'effetto diretto, quando contengono disposizioni precise e incondizionate, la cui applicazione non richiede l'emanazione di ulteriori disposizioni (self executing). Una volta scaduto il termine entro cui gli Stati devono attuare le direttive, le disposizioni precise e incondizionate acquisiscono "efficacia diretta" nell'ordinamento dello Stato inadempiente. L'effetto diretto implica che i singoli acquisiscono diritti che i giudici nazionali devono tutelare, e gli Stati non possono opporsi, invocando leggi nazionali contrarie al diritto comunitario e possono essere applicate senza bisogno di leggi di recepimento.

E) Le decisioni sono atti dell'UE che riguardano casi specifici; sono simili ai provvedimenti amministrativi, hanno effetto diretto e sono obbligatori per i destinatari in esse indicati. Interessano in modo particolare il diritto fiscale le decisioni della Commissione, che ordinano agli Stati di revocare dei benefici fiscali, in quanto aiuti di Stato non compatibili con il TFUE. Anche le sentenze della Corte di giustizia hanno "effetto diretto" negli ordinamenti degli Stati membri. Le raccomandazioni e i pareri (c.d. soft law), invece, non sono vincolanti.

Le convenzioni internazionali e la CEDU [5]

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A) Nel diritto internazionale pubblico ci sono norme fiscali che derivano da convenzioni la cui ratifica, secondo l'articolo 80 della Costituzione, deve essere autorizzata con legge. A seguito della legge che autorizza la ratifica, e ne ordina l'esecuzione, le norme delle convenzioni diventano leggi interne. Secondo l'articolo 117, comma 1, della Costituzione, il legislatore deve rispettare i "vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Le leggi che non rispettano gli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali, tra cui la CEDU[6], non sono disapplicabili (come accade per le leggi nazionali non compatibili con il diritto dell'UE), ma incostituzionali, per violazione dell'articolo 117 della Costituzione: le norme internazionali rilevano come norme interposte.

B) Le convenzioni internazionali in materia fiscale riguardano principalmente la doppia imposizione dei redditi, dei patrimoni e delle successioni; riguardano, inoltre, i dazi. Le convenzioni internazionali in materia fiscale prevedono, inoltre, la collaborazione tra autorità fiscali di Stati diversi, la lotta all'evasione e all'elusione fiscale internazionale, ecc. Di regola, le norme delle convenzioni, in quanto norme speciali, prevalgono sulle norme interne: ad esempio, se una convenzione tra l'Italia e un altro Stato prevede che determinati redditi prodotti in Italia da un soggetto residente nell'altro Stato non sono tassabili in Italia, quei redditi non possono essere tassati in Italia, anche se, di regola, i redditi dei non residenti prodotti in Italia sono soggetti alle nostre imposte sul reddito. Tuttavia, nei casi in cui la norma interna è più favorevole di quella del trattato, si applica la norma interna.

B) L'articolo 11, comma 1, delle "preleggi" stabilisce che la legge non ha effetto retroattivo e si applica solo al futuro. La regola generale è quindi la non retroattività. Tuttavia, questa è una regola stabilita da una legge ordinaria, che può essere derogata da altre leggi ordinarie.

D) Una volta individuato il momento in cui inizia l'efficacia di una legge, può sorgere il dubbio su quale sia il trattamento giuridico di fatti o situazioni che si verificano in parte sotto l'effetto di una legge, in parte sotto l'effetto della legge successiva. Ogni legge regola i fatti che si verificano dopo la sua entrata in vigore (e prima della cessazione della sua efficacia). Possono esserci situazioni o eventi che iniziano ma non si concludono sotto l'effetto di una legge, e che non sono regolati né da tale legge, né da quella successiva (non dalla prima, perché incompleti; non dalla seconda, perché già in corso). Nel caso in ispecie sarebbe giusto e doveroso che il giudice tributario condanni l'Agenzia delle Entrate, senza timori riverenziali, al pagamento delle spese di giudizio significativamente per avere coltivato una controversia che l'ha visto soccombente e per la quale aveva preteso le sanzioni in misura non proporzionale, come dimostrato dal fatto che dette sanzioni sono state abolite a far data dal 1° settembre 2024. Inoltre, sarebbe doverosa la condanna per lite temeraria, avendo con l'irretroattività della norma più favorevole violato ben quattro disposizioni normative dui si dirà a breve.

E) Le norme procedurali e processuali sono, di regola, norme ad applicazione immediata, cioè norme che si applicano anche ai procedimenti e ai processi in corso di svolgimento al momento dell'entrata in vigore delle nuove norme, anche se il procedimento o processo riguarda fatti accaduti in precedenza.

F) In caso di overruling - cioè in caso di mutamento giurisprudenziale di un orientamento consolidato - occorre distinguere tra interpretazione di norme sostanziali e di norme processuali. La nuova interpretazione di norme sostanziali vale anche per i fatti pregressi; invece, la nuova interpretazione di norme processuali non può avere effetto su atti compiuti in precedenza, per il principio secondo cui le regole del processo non possono cambiare durante il suo svolgimento (ad esempio, predeterminazione delle regole processuali).

G) Le leggi cessano di essere efficaci quando sono abrogate, quando sono dichiarate incostituzionali, e - in caso di "leggi temporanee" - quando scade il termine previsto. L'abrogazione di una legge può avvenire in tre modi: "per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore" (art. 15 delle "preleggi"). Con l'abrogazione, l'efficacia della legge abrogata cessa ex nunc: essa continua a regolare i fatti avvenuti nell'arco temporale che va dalla sua entrata in vigore (o dal diverso momento in cui inizia la sua efficacia) alla data della sua abrogazione. Una legge tributaria abrogata continua ad essere applicabile ai fatti avvenuti prima dell'abrogazione, e continuano ad essere dovuti i tributi sorti in relazione a presupposti d'imposta avvenuti sotto il suo vigore. Invece, la dichiarazione di incostituzionalità di una legge ne fa cessare l'efficacia ex tunc; dopo la pronuncia della Corte costituzionale, la legge giudicata illegittima è da considerare come mai esistita; tutti gli effetti della legge dichiarata incostituzionale sono da considerare come mai venuti ad esistenza. I tributi riscossi in base a norme dichiarate incostituzionali devono essere rimborsati, se il rimborso non sia impedito, ad esempio, dal fatto che è trascorso il termine per richiederlo o da un provvedimento divenuto definitivo. Infine, le norme nazionali (legislative o regolamentari), pur rimanendo formalmente vigenti, cessano di essere applicabili quando la materia è regolata da norme dell'UE direttamente applicabili o dotate di "effetto diretto".

H) Come abbiamo già notato, per le disposizioni dello Statuto non vale quanto disposto dall'art. 15 delle "preleggi", nella parte in cui prevede l'abrogazione "per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti"; inoltre, l'art. 15 è derogato anche in tema di abrogazione espressa, perché le norme dello Statuto non possono essere abrogate da leggi speciali, ma solo da leggi generali.

I) Le leggi tributarie non possono essere abrogate con referendum (art. 75 Cost.). La giurisprudenza costituzionale adotta in proposito una nozione di tributo particolarmente ampia, comprensiva dei contributi previdenziali; inoltre, tra le leggi tributarie sottratte al referendum, sono comprese non solo le leggi sostanziali (quelle che istituiscono e regolano un tributo), ma anche quelle strumentali (come le norme sulle ritenute e sulla riscossione).

Irretroattività del favor rei

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Il quadro normativo appena accennato è stato sconvolto da una riforma che lede principi fondamentali, tra l'altro, introdotti formalmente di recente basti leggere l'incipit dello Statuto del Contribuente dopo la modifica ove si legge: "Le disposizioni della presente legge, in attuazione delle norme della Costituzione, dei principi dell'ordinamento dell'Unione europea e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario, criteri di interpretazione della legislazione tributaria e si applicano a tutti i soggetti del rapporto tributario. Le medesime disposizioni possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali.

Chiunque legga il disposto che precede prende atto che il legislatore è riuscito in un miracolo: violare con una sola disposizione addirittura ben quattro disposizioni: lo Statuto del Contribuente, la Costituzione, i Principi comunitari e la Convenzione Europea.

L'articolo 5 del progetto di decreto legislativo afferma che le disposizioni degli articoli 2, 3, comma 1, lettere a), b), c), d), e), h), i), l), m), n), e o) e 4, si applicheranno alle violazioni commesse dopo l'entrata in vigore del decreto. Le modifiche discusse finora non avranno quindi effetto sugli atti emessi, ma non ancora definitivi, in deroga al principio del favor rei dell'art. 3, comma 3, D.lgs. n. 472/1997.

Questa scelta si basa sull'idea, espressa anche nella Relazione illustrativa al progetto di decreto, che il principio di retroattività della legge più favorevole avrebbe copertura costituzionale solo per il diritto penale. Infatti, la deroga al favor rei non si applica all'art. 1, che interviene sul D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Questo è possibile grazie agli articoli 3 e 117, comma 1, della Costituzione, che danno valore costituzionale all'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) e all'art. 49, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

Non è ovviamente questo il luogo per approfondire la questione dell'estendibilità o meno del principio della necessaria applicazione della lex mitior alle sanzioni tributarie. Queste, come è noto, non possono essere qualificate come non penali nell'ambito della CEDU, a causa della classificazione effettuata dal singolo legislatore nazionale. L'indagine sul carattere di una sanzione deve essere condotta secondo i tre criteri Engel, tenendo conto del suo carattere punitivo, delle finalità di deterrenza e dell'applicabilità alla generalità dei cittadini.

Resta comunque, anche a prescindere dalla costituzionalità, dubbia la scelta fatta, che rende la deroga descritta discriminatoria e inopportuna. Non convincono affatto, in questa prospettiva, le osservazioni contenute nella Relazione illustrativa. Sarebbe quindi "irragionevole applicare anche al sistema precedente norme concepite esclusivamente in vista di un nuovo corso". Sembra a chi scrive, infatti, che le conclusioni che si traggono dall'argomentazione dell'estensore della relazione dovrebbero essere esattamente opposte a quelle a cui si è ritenuto di arrivare.

La tesi già indicata non regge poi al vaglio dell'obiettivo fondante dell'intervento riformatore, che è il "miglioramento" della proporzionalità tra penalità e gravità dell'illecito. Se si è ritenuto di diminuire la misura edittale delle misure sanzionatorie perché le stesse non erano in linea con quelle di altri Paesi europei allo scopo di dare adeguata attuazione all'anzidetto principio, perché mai tale finalità dovrebbe essere limitata alle condotte future, lasciando quindi consapevolmente in una situazione che non è in linea con il fondamentale principio coloro che l'illecito l'hanno già commesso"

In questa prospettiva, si pone un ulteriore problema, che è quello connesso al fatto che nella legge di delega non esiste alcun appiglio che consenta al delegato di adottare un'opzione di così grande momento. Come può attribuirsi a quest'ultimo, nel silenzio della delega, la facoltà di porre nel nulla uno dei principi che fondano l'ordinamento di settore, quello, come si è ricordato, cristallizzato nel già citato art. 3, comma 3, D.lgs. n. 472/1997"

Infine, non può non apparire evidente che il ripristino del principio di ultrattività delle norme sanzionatorie tributarie confligge, mettendone a rischio il conseguimento, con lo scopo ultimo dell'intera riforma fiscale, che è quello di riguadagnare la fiducia del contribuente. Quest'ultimo, persuaso della recuperata ragionevolezza delle leggi tributarie e del diverso atteggiamento dell'Amministrazione finanziaria nei suoi confronti, sarà più compliant, adempiendo spontaneamente in misura maggiore agli obblighi tributari rispetto a quanto oggi accade.

I commi 2 e 3 dell'art. 3 del D. Lgs. 472/1997 stabiliva le regole per le situazioni in cui cambia nel tempo il quadro normativo che definisce un illecito e una sanzione. Questo può accadere quando una norma sanzionatoria viene abrogata dopo la sua entrata in vigore, o quando viene modificata in modo favorevole o sfavorevole per chi ha commesso l'illecito. In questi casi, si può verificare un'abrogazione dell'illecito o una semplice modifica della sua sanzione.

La norma del decreto legislativo allinea il trattamento dell'illecito tributario amministrativo alla disciplina generale del reato, come previsto dall'articolo 2 del codice penale. Di conseguenza, si applicano i seguenti principi, in linea con il principio generale del favor rei: a) retroattività dell'abrogazione dell'illecito; b) retroattività della norma più favorevole; c) irretroattività della norma più sfavorevole.

Per quanto riguarda il principio a), il comma 2 prevede espressamente che ogni "diversa previsione di legge" è rispettata. Questo significa che le regole e i principi stabiliti da una normativa ordinaria possono essere derogati da un'altra normativa speciale. Inoltre, questa clausola può essere interpretata come un rafforzamento del principio generale secondo cui la norma che prevede l'illecito deve rimanere in vigore fino al momento del suo accertamento e dell'applicazione definitiva della sanzione.

Il problema principale si pone quando l'abolizione dell'illecito avviene dopo che la relativa sanzione è stata già inflitta con provvedimento definitivo. Se l'abolizione avviene prima della conclusione del procedimento relativo all'accertamento dell'illecito e all'applicazione della sanzione, l'organo competente ne prenderà atto e deciderà di non procedere all'applicazione della sanzione per l'abolizione intervenuta dell'illecito. Se invece il procedimento si è già concluso, si possono avere diverse soluzioni. La soluzione scelta dal legislatore delegato è la seguente: si estingue il debito relativo al pagamento della sanzione, ma non si restituiscono le somme eventualmente già versate. Quindi, la definitività del provvedimento di applicazione delle sanzioni non impedisce gli effetti dell'abolizione; l'unico ostacolo è dato dal fatto che non possono essere restituite le somme già versate in esecuzione del medesimo provvedimento.

Nei casi in cui, a seguito di una successione normativa, non si verifica l'abolizione dell'illecito e delle relative sanzioni, ma solo una modifica del trattamento sanzionatorio, il terzo comma dell'art. 3 prevede la retroattività della legge successiva a quella vigente al momento della commissione del fatto illecito se vi è stata una modifica del trattamento sanzionatorio - da applicarsi in concreto - in modo favorevole all'autore; mentre prevede l'irretroattività della legge successiva se essa è intervenuta modificando il trattamento sanzionatorio in modo sfavorevole - sempre in concreto - per l'autore dell'illecito. Questa disciplina, chiaramente orientata al principio generale del "favor rei", incontra tuttavia un limite preciso e tassativo costituito dalla definitività del provvedimento di irrogazione della sanzione.

Se quindi la legge vigente al momento della commissione dell'illecito viene successivamente modificata, attenuando e rendendo meno gravoso il trattamento sanzionatorio relativo a quell'illecito, non si potrà comunque tener conto di tale modifica "in melius" se nel frattempo (ossia prima dell'entrata in vigore della legge più favorevole) il provvedimento di irrogazione della sanzione è divenuto definitivo; e ciò a prescindere dal fatto che il debito relativo al pagamento della sanzione sia già stato, in tutto o in parte, adempiuto. Come si vede, la disciplina è ben diversa rispetto a quella dell'abolizione dell'illecito, prevista al precedente comma 2 dell'art.3.

Questo comporta l'importanza e l'essenzialità di verificare, nel caso di successione nel tempo di leggi che prevedono illeciti tributari, se si sia verificata una vera e propria abolizione dell'illecito o solo una modifica, a favore dell'autore, del relativo trattamento sanzionatorio.

Il Decreto Legislativo 14 giugno 2024, N. 87, che interviene sulle sanzioni fiscali, prevede l'applicazione di sanzioni più miti solo per le violazioni future, commesse dopo l'entrata in vigore del decreto a far data 1° settembre 2024. Questo approccio richiede un'analisi accurata del fondamento costituzionale del principio del favor rei, tenendo conto delle interpretazioni giurisprudenziali.

Sorprendentemente, il decreto delegato, pur cercando di adeguare le sanzioni fiscali al principio di proporzionalità - un'azione richiesta a livello dell'Unione europea e auspicata dalla Corte Costituzionale stessa - devia dal principio del favor rei. Limita l'applicazione delle sanzioni più miti solo alle violazioni commesse dopo l'entrata in vigore delle nuove norme, permettendo così la sopravvivenza delle sanzioni più severe (e sproporzionate, secondo la logica della modifica legislativa) per le stesse violazioni commesse in precedenza. Questo comporta una violazione evidente degli articoli 11 e 117 della Costituzione, dato che il principio del favor rei è un diritto fondamentale, esplicitamente codificato dall'art. 49, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. A questo principio non è stato data attuazione, benché presa in considerazione dalla legge delega, generando un vizio di legittimità nel decreto legislativo

Se si parte dal presupposto che il nuovo sistema sanzionatorio che la riforma ha inteso introdurre mira a garantire la sua adeguatezza al principio di proporzionalità sancito dall'art. 49, par. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, si può affermare con sicurezza che l'intento del legislatore è quello di allineare il sistema tributario ai principi espressi da fonti superiori del diritto di natura internazionale condivisa.

D'altra parte, questa operazione non è lasciata alla discrezione del legislatore di turno, ma è un'esigenza giuridicamente vincolante di dare attuazione concreta a un principio costituzionale specifico, ovvero quello previsto dall'art. 11 della Costituzione[7].

Se questo è il contesto in cui si colloca la ristrutturazione del sistema sanzionatorio fiscale, crediamo che l'inserimento di una deroga esplicita al principio del favor rei rappresenti una macchia su un'opera che, nel suo complesso, poteva essere lodevole.

Ciò che colpisce di più è la faciloneria dell'iniziativa, perché non sono state considerate le conseguenze giuridiche di una tale scelta.

Il primo problema è il più immediato, è l'eccesso di delega. Infatti, prevedere una deroga a un diritto fondamentale come il principio del favor rei in un decreto delegato, derogando al contenuto della legge delega, può essere facilmente indicato come una previsione che va ben oltre i criteri e le direttive stabilite dalla legge delega. Questa violazione della legge delega oltre a violare la Costituzione impedisce la "razionalizzazione dei sistemi sanzionatori amministrativi, per semplificarli e renderli più coerenti con i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, tra cui, in particolare, quelli di predeterminazione e proporzionalità alla gravità delle condotte".

Nel ricostruire il fondamento costituzionale del principio del favor rei, bisogna fare riferimento all'orientamento della Corte Costituzionale che ha evidenziato che il principio del favor rei ha un duplice fondamento.

Uno, di origine nazionale, da individuare nell'art. 3 della Costituzione (e non nell'art. 25 della Costituzione). Il principio di uguaglianza, infatti, impone, tra le altre cose, di equiparare, per quanto possibile, il trattamento sanzionatorio degli stessi fatti, indipendentemente dal fatto che siano stati commessi prima o dopo l'entrata in vigore della norma più favorevole.

· Un altro, di origine internazionale, che ha trovato ingresso nel nostro ordinamento attraverso l'art. 117, comma 1 della Costituzione, riconducibile all'art. 7 della CEDU nell'interpretazione che di questa norma ha fatto la giurisprudenza di Strasburgo, e chiaramente individuabile nell'art. 49, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, norma, questa, rilevante nel nostro ordinamento anche ai sensi dell'art. 11 della Costituzione.

In materia di favor rei per sanzioni amministrative, la Corte Costituzionale[8] ha adottato l'orientamento della Corte di Strasburgo, equiparando queste ultime alle sanzioni penali (considerandole quindi sostanzialmente penali) tutte le volte che esse hanno una natura e una funzione punitiva e non semplicemente riparativa. Secondo la Corte EDU, infatti, per qualificare una sanzione come penale occorre fare riferimento principalmente alla natura e alla gravità della sanzione, dove per natura si intende l'attitudine punitiva della stessa, e per gravità si intende il massimo edittale di una sanzione pecuniaria. E qui, il fatto stesso che le sanzioni fiscali siano sproporzionate e che ne sia stata mitigata la misura dal legislatore riformatore proprio in quest'ottica, mi sembra che la gravità delle sanzioni previste in precedenza sia praticamente evidente. "CEDU favor rei" sembra riferirsi al principio del "favor rei", che è un principio fondamentale nel diritto penale. Secondo questo principio, se la legge in vigore al momento della violazione e le leggi successive stabiliscono sanzioni diverse (o prevedono che la fattispecie non è più punibile), si applica la norma più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo

L'articolo 7 del CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo) è spesso citato in relazione a questo principio. Questo articolo introduce un principio fondamentale: "Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile" (favor rei).

Inoltre, la Corte costituzionale italiana ha segnato un nuovo orientamento per il quale la legge mitior, prevista dall'art. 2 c.p., si applica anche alle sanzioni amministrative [9]. Questo principio è stato esteso dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo fino a farvi ricomprendere anche la retroattività favorevole.

Con questi elementi e con quest'orientamento già espresso dalla Corte Costituzionale in materia, credo che si possa affermare l'incostituzionalità della previsione di deroga al favor rei, dato che, per la stessa Corte Costituzionale, la possibilità di derogare al principio del favor rei è suscettibile di esame di compatibilità costituzionale, considerando che, legittimamente, esso "può essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo […]. Con la conseguenza che l'esame di costituzionalità ex art. 3 Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma più favorevole al reo deve superare un esame positivo di ragionevolezza, non essendo sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente irragionevole" (Corte Cost., sentenza 393 del 2006).

In definitiva la norma finirebbe davanti alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia UE, ma potrebbe anche essere semplicemente essere disapplicata dal giudice nazionale una volta riscontrato il contrasto con il diritto sancito dall'art. 49, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

Le conseguenze giuridiche della irretroattività del favore rei

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Le conseguenze giuridiche delle scelte disinvolte del legislatore porterebbero in estrema sintesi alle seguenti conseguenze senz'altro dirompenti:

1. Eccesso di delega: Se la deroga al principio del favor rei è stata introdotta senza alcuna menzione nella legge delega, saremo in presenza di un eccesso di delega, che porterebbe a una sfida legale sulla validità del decreto delegato stesso.

2. Violazione dei diritti fondamentali: Il principio del favor rei è un diritto fondamentale, esplicitamente codificato nell'art. 49, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Una deroga a questo principio potrebbe essere vista come una violazione di questo diritto fondamentale, portando a possibili sfide legali.

3. Incostituzionalità: Se la deroga è in contrasto con gli articoli 11 e 117 della Costituzione, potrebbe essere dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale. Questo potrebbe portare all'annullamento della deroga e potenzialmente all'intera legge o decreto.

4. Disapplicazione da parte del giudice nazionale: Se un giudice nazionale rileva un contrasto tra la deroga e il diritto sancito dall'art. 49, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, potrebbe semplicemente disapplicare la norma nel caso specifico.

5. Ricorso alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea: Se la deroga fosse in contrasto con i diritti fondamentali dell'Unione europea, potrebbe essere portata davanti alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Questo potrebbe portare a una sentenza che obbliga lo Stato a modificare la legge o il decreto per renderlo conforme al diritto dell'Unione.

Queste sono solo alcune delle possibili conseguenze giuridiche. La situazione specifica potrebbe variare a seconda dei dettagli del caso e dell'interpretazione delle leggi e dei diritti applicabili.

Gli argomenti contro questa deroga al principio del favor rei nel contesto delle sanzioni tributarie possono essere vari.

Problemi di proporzionalità: L'applicazione di sanzioni più severe per le violazioni commesse in passato potrebbe essere vista come sproporzionata, soprattutto se le nuove sanzioni sono state introdotte per rispondere meglio al principio di proporzionalità.

Gli effetti pratici di questa deroga sui contribuenti potrebbero essere ulteriori e valutabili caso per caso.

1. Maggiori sanzioni per violazioni passate: I contribuenti che hanno commesso violazioni prima dell'entrata in vigore del decreto potrebbero dover affrontare sanzioni più severe rispetto a quelle previste dalle nuove norme. Questo potrebbe comportare un onere finanziario significativo.

2. Incertezza legale: La deroga potrebbe creare incertezza legale per i contribuenti. Se la deroga contestasse in tribunale, i contribuenti potrebbero dover attendere una decisione giudiziaria prima di sapere quali sanzioni dovranno affrontare.

3. Differenze nel trattamento delle violazioni: I contribuenti che hanno commesso violazioni simili potrebbero essere soggetti a sanzioni diverse a seconda del momento in cui la violazione è stata commessa. Questo potrebbe essere visto come ingiusto.

4. Possibili sfide legali: I contribuenti che ritengono di essere stati trattati ingiustamente a causa della deroga potrebbero decidere di impugnare le sanzioni in tribunale. Questo potrebbe comportare ulteriori costi legali e un uso significativo del tempo.

5. Impatto sulla conformità futura: La deroga potrebbe avere un impatto sulla volontà dei contribuenti di conformarsi alle leggi fiscali in futuro. Se i contribuenti ritengono che il sistema sia ingiusto, potrebbero essere meno propensi a rispettare le regole.

Questi sono solo alcuni possibili effetti.

Il principio di proporzionalità è un concetto fondamentale nel diritto tributario. Esso prescrive che ci debba essere una proporzione tra la gravità della violazione e la sanzione che l'ordinamento impone come risposta a tale comportamento. In altre parole, la risposta sanzionatoria deve essere graduata in base al tipo di danno causato all'ordinamento dalla violazione commessa.

Inoltre, il principio di proporzionalità implica che l'azione amministrativa deve essere necessaria per l'attuazione del tributo, non eccedente rispetto ai fini perseguiti e non limitare i diritti dei contribuenti oltre quanto strettamente necessario al raggiungimento del proprio obiettivo. Questo principio si applica anche alle misure di contrasto dell'elusione e dell'evasione fiscale e alle sanzioni tributarie.

La giurisprudenza europea ha riconosciuto che il principio di proporzionalità riveste un ruolo rilevante nel settore tributario, in quanto si tratta di un criterio essenziale per garantire che il perseguimento degli obiettivi di diritto interno produca il minor sacrificio possibile rispetto alle finalità europee.

Il principio di proporzionalità è un concetto fondamentale nel diritto dell'Unione Europea e viene applicato in vari settori, tra cui il diritto tributario. La sua interpretazione può variare tra i diversi paesi europei, ma ci sono alcuni temi comuni che emergono dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea.

1. Applicazione del principio: Il principio di proporzionalità viene utilizzato come parametro per verificare la legittimità di un atto di diritto derivato o di una sanzione comminata agli Stati membri o a persone fisiche e giuridiche comunitarie.

2. Proporzionalità e sanzioni: Il principio di proporzionalità richiede che ci sia un equilibrio tra la gravità della violazione e la severità della sanzione imposta. Questo principio è stato applicato in vari casi riguardanti le sanzioni tributarie.

3. Proporzionalità e diritti fondamentali: Il principio di proporzionalità è anche strettamente legato alla protezione dei diritti fondamentali. Ad esempio, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha stabilito che il principio di proporzionalità impone che le sanzioni non siano sproporzionate rispetto alla gravità della violazione commessa.

4. Proporzionalità e normativa nazionale: La Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha affermato che il principio di proporzionalità si impone agli Stati membri nell'attuazione del diritto dell'Unione, anche in assenza di armonizzazione della normativa dell'Unione nel settore delle sanzioni applicabili.

Questi sono solo alcuni esempi di come il principio di proporzionalità viene interpretato nel diritto tributario in Europa.

Il principio del favor rei è un diritto fondamentale, esplicitamente codificato dall'art. 49, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea

Il principio del "favor rei" è un concetto fondamentale nel diritto penale che sostiene che, in caso di dubbio o incertezza, la decisione dovrebbe essere presa a favore dell'imputato. Questo principio si estende anche alla "irretroattività del favor rei", che sostiene che se una legge successiva rende un certo comportamento non più punibile o meno severamente punito, questa legge dovrebbe essere applicata retroattivamente, a beneficio dell'imputato.

Questo articolo stabilisce che nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Inoltre, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest'ultima.

Nel contesto del diritto tributario, il principio del "favor rei" può avere un impatto significativo. Ad esempio, se un contribuente ha commesso una violazione fiscale e successivamente la legge cambia rendendo quella violazione meno severamente punita, allora la nuova legge dovrebbe essere applicata retroattivamente al caso di quel contribuente. Questo può avere un impatto significativo sulle sanzioni fiscali e può influenzare le decisioni dei contribuenti.

Tuttavia, l'applicazione del principio del "favor rei" nel diritto tributario può variare a seconda delle specifiche circostanze del caso e delle interpretazioni delle leggi e dei diritti applicabili. L'articolo 5 del decreto stabilisce che le disposizioni si applicano alle violazioni commesse dopo la data di entrata in vigore del decreto. Questo significa che le modifiche non avranno effetto sugli atti emessi ma non ancora definitivi.

Il testo poi discute il principio del "favor rei", che sostiene che se le leggi al momento della violazione e le leggi successive stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, a meno che la sanzione non sia diventata definitiva. Tuttavia, il decreto propone una deroga a questo principio.

La deroga si basa sull'idea che il principio di retroattività della legge più favorevole avrebbe copertura costituzionale solo per il diritto penale. Questo è supportato dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

Il testo solleva dubbi sulla costituzionalità di questa scelta, sostenendo che è discriminatoria e inopportuna. Inoltre, mette in discussione l'obiettivo dell'intervento riformatore, che è il "miglioramento" della proporzionalità tra penalità e gravità dell'illecito.

Conclusioni: difesa del contribuente a fronte dell'irretroattività del favor rei

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. L'irretroattività della disposizione del favor rei merita doverosamente di essere impugnata, come abbiamo già, indicato nel corso di questo scritto in ordine sparso per almeno due motivi:

1. Fondamentalmente per una questione etica, per ribadire che i contribuenti di questo Paese o addirittura della Comunità Europea non sono sudditi, ma cittadini ai quali sia pure nei limiti stabiliti dalla Costituzione appartiene la sovranità;

2. Per il ripristino della legalità gravemente lesa in materia di tutela dei diritti individuali anche in forma risarcitoria:

a. È stata violata la legge delega che prevedeva il favor rei di cui il governo in sede di redazione del decreto delegato ha deciso di fare scempio;

b. La Costituzione che ha fatto, in materia, sempre proprio il principio del favor rei sostenuto senza esitazione dalla Corte di Strasburgo;

c. Le sentenze della Corte di giustizia Europea che con giurisprudenza unanime hanno sempre difeso il principio del favor rei;

d. Il principio della Corte di Giustizia Europea può essere applicato senza necessita di sollevare il problema della legittimità costituzione, in forza del principio della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno;

e. L'obbligo della Corte di Giustizia Tributaria di condannare alle spese l'Agenzia delle Entrate per avere sostenuto l'assunto della irretroattività del favor rei in violazioni di norme interne e internazionali;

f. L'obbligo della Corte di Giustizia Tributaria a condannare l'Agenzia delle Entrate per lite temeraria, spianando la via all'azione risarcitoria innanzi il giudice ordinario.




[1] Ecco un elenco di alcune delle principali sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) che trattano il principio del favor rei nelle sanzioni tributarie:

1. Causa C-205/20: La Corte ha stabilito che le sanzioni sproporzionate, già ritenute di carattere penale, violano l'articolo 49 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE.

2. Causa C-482/18, Google: Questa sentenza ha affrontato la compatibilità comunitaria della normativa nazionale di repressione delle violazioni tributarie alla luce delle libertà fondamentali, verificando la proporzionalità delle sanzioni amministrative tributarie.

3. Causa C-189/02, Gdansk Rørindustri

4. Causa C-387/02, Berlusconi e altri

5. Causa C-420/06, Jager

Queste sentenze evidenziano come la CGUE abbia costantemente applicato il principio del favor rei per garantire che le sanzioni siano giuste e proporzionate, proteggendo così i diritti dei contribuenti.

(2) Sanzioni tributarie sproporzionate, il Giudice ha il potere di disapplicarle. La compatibilità europea degli ordinamenti sanzionatori nazionali alla luce del principio di proporzionalità : Sentenza Cassazione Civile n. 7301 del 16/03/2021

(3) La sentenza C-189/02 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) riguarda un caso di concorrenza che coinvolge diverse aziende nel settore delle tubazioni per il riscaldamento. La Corte ha affrontato vari aspetti legati alle sanzioni imposte dalla Commissione Europea per pratiche anticoncorrenziali.

Punti Chiave della Sentenza

1. Non Retroattività delle Linee Guida: La Corte ha stabilito che le linee guida della Commissione Europea sulla determinazione delle sanzioni non possono essere applicate retroattivamente. Questo significa che le aziende non possono essere sanzionate in base a regole che non erano in vigore al momento della violazione.

2. Legittime Aspettative: La sentenza ha riconosciuto il principio delle legittime aspettative, affermando che le aziende devono poter fare affidamento sulla stabilità delle norme vigenti al momento della loro condotta.

3. Proporzionalità delle Sanzioni: La Corte ha ribadito l'importanza del principio di proporzionalità, affermando che le sanzioni devono essere proporzionate alla gravità della violazione e non devono eccedere quanto necessario per raggiungere gli obiettivi di deterrenza e punizione.

(4) La sentenza C-205/20 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) riguarda l'applicazione del principio del favor rei in materia di sanzioni amministrative. La Corte ha stabilito che le norme più favorevoli devono essere applicate retroattivamente, anche nel caso delle sanzioni amministrative.

Punti Chiave della Sentenza

1. Effetto Diretto: La Corte ha confermato che le disposizioni del diritto dell'Unione Europea che prevedono sanzioni meno severe hanno effetto diretto e devono essere applicate dagli Stati membri anche retroattivamente

2. 3. Applicazione Retroattiva: La Corte ha sottolineato che, in caso di successione di norme nel tempo, deve essere applicata la legge più favorevole al contribuente, in linea con il principio del favor rei

(5) La sentenza Scoppola c. Italia (n. 2) della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) ha stabilito un importante principio riguardante l'applicazione retroattiva delle leggi penali più favorevoli, noto come favor rei. Sebbene il caso specifico riguardasse una condanna penale, i principi enunciati possono essere applicati anche alle sanzioni tributarie.

Punti Chiave della Sentenza

1. Retroattività delle Leggi Più Favorevoli: La Corte ha stabilito che, in base all'articolo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, le leggi penali più favorevoli devono essere applicate retroattivamente. Questo significa che se una nuova legge prevede una sanzione meno severa rispetto a quella in vigore al momento della violazione, deve essere applicata la sanzione più favorevole.

2. Proporzionalità delle Sanzioni: La sentenza ha ribadito l'importanza del principio di proporzionalità, affermando che le sanzioni devono essere proporzionate alla gravità della violazione e non devono eccedere quanto necessario per raggiungere gli obiettivi di deterrenza e punizione.

3. Tutela dei Diritti del Contribuente: Sebbene il caso riguardasse una condanna penale, i principi enunciati dalla Corte possono essere applicati anche alle sanzioni tributarie, garantendo che i diritti dei contribuenti siano tutelati e che le sanzioni siano giuste e proporzionate

[6] La sentenza Del Río Prada c. Spagna della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) ha stabilito un importante principio riguardante l'applicazione retroattiva delle leggi penali più favorevoli, noto come favor rei. Sebbene il caso specifico riguardasse una condanna penale, i principi enunciati possono essere applicati anche alle sanzioni tributarie.

Punti Chiave della Sentenza

1. Retroattività delle Leggi Più Favorevoli: La Corte ha stabilito che, in base all'articolo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, le leggi penali più favorevoli devono essere applicate retroattivamente. Questo significa che se una nuova legge prevede una sanzione meno severa rispetto a quella in vigore al momento della violazione, deve essere applicata la sanzione più favorevole.

2. Proporzionalità delle Sanzioni: La sentenza ha ribadito l'importanza del principio di proporzionalità, affermando che le sanzioni devono essere proporzionate alla gravità della violazione e non devono eccedere quanto necessario per raggiungere gli obiettivi di deterrenza e punizione

(7) La sentenza n. 171/2017 della Corte Costituzionale italiana ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Genova. La questione riguardava l'articolo 8, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, che limita il cumulo giuridico delle sanzioni alle sole violazioni di leggi in materia di previdenza e assistenza obbligatorie.

Punti Chiave della Sentenza

1. Inammissibilità della Questione: La Corte ha dichiarato inammissibile la questione perché non rilevante nel giudizio a quo. Il Tribunale di Genova aveva sollevato la questione in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, ma la Corte ha ritenuto che la questione non fosse pertinente al caso specifico.

2. Discrezionalità del Legislatore: La Corte ha sottolineato che la configurazione del trattamento sanzionatorio per il concorso tra plurime violazioni rientra nella discrezionalità del legislatore. Non esistono soluzioni costituzionalmente obbligate che impongano un'estensione del cumulo giuridico delle sanzioni ad altre violazioni amministrative.

[8]La sentenza n. 223/2012 della Corte Costituzionale italiana ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcune disposizioni del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, n. 122. Queste disposizioni riguardavano misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.

Punti Chiave della Sentenza

Proporzionalità delle Sanzioni: La Corte ha ribadito che le sanzioni devono essere proporzionate alla gravità dell'illecito commesso. Le norme che prevedevano sanzioni eccessive sono state dichiarate illegittime

[9] La sentenza n. 280/2005 della Corte Costituzionale italiana ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 25 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come modificato dal D.lgs. 27 aprile 2001, n. 193, nella parte in cui non prevede un termine di decadenza per la notifica della cartella di pagamento delle imposte liquidate ai sensi dell'articolo 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600

Punti Chiave della Sentenza

1. Diritto di Difesa: La Corte ha stabilito che l'assenza di un termine di decadenza per la notifica della cartella di pagamento viola il diritto di difesa del contribuente. Senza un termine certo, il contribuente potrebbe essere soggetto all'azione esecutiva del fisco per un periodo di tempo indefinito, il che è irragionevole e lesivo dei suoi diritti.

2. Principio di Proporzionalità: La sentenza ha sottolineato che le sanzioni devono essere proporzionate e che la mancanza di un termine di decadenza rende la disciplina irragionevole

3. Necessità di Intervento Legislativo: La Corte ha evidenziato la necessità di un intervento legislativo per fissare un termine di decadenza entro il quale il concessionario deve notificare la cartella di pagamento al contribuente

Questa sentenza è significativa perché rafforza la protezione dei diritti dei contribuenti, assicurando che le sanzioni siano giuste e proporzionate e che il contribuente non sia esposto indefinitamente all'azione esecutiva del fisco.


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