L'art. 35 del d.p.r. 602/1973, l'intervento della Suprema Corte di Cassazione e il ritorno ad un infausto passato

L'art. 35 Dpr n. 602/1973

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L'imperatore, con proprio editto, istituì l'art. 35 del d.p.r. 602/1973, con il quale diede attuazione al principio dividi et impera. Nei primi anni della sua vigenza l'esattore imperiale con il suo agire diede vita ad accesi scontri tra sostituto d'imposta e sostituito: mentre il primo sovente non adempiva i propri obblighi, confidando nel dovere del secondo, l'Agenzia delle Entrate nell'arena concedeva al sostituto sovrana clemenza e aizzava i leoni della riscossione contro il sostituito, che così s'immolava due volte.

All'alba del 2019 d.C. I Supremi Giudici decisero di porre fine a questa iniquità, punendo il sostituto e graziando il sostituito. Ciononostante, sorto il sole sul 2021, all'orizzonte si delineò inaspettatamente il ritorno ad un infausto passato.

Principi generali sulla sostituzione dell'acconto d'imposta

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La tesi centrale in materia propone che l'obbligo fiscale debba essere regolato dal regime di solidarietà civile. Tale concetto è sostenuto da coloro che ritengono che la normativa civile sulle obbligazioni abbia un'ampia portata o che tale disciplina possa essere estesa al settore fiscale mediante l'uso dell'analogia.

Tuttavia, la regolamentazione civile evidenzia chiaramente la natura privatistica dell'obbligazione. Se l'amministrazione fosse autorizzata a diversificare il rapporto obbligatorio, ciò violerebbe il principio di imparzialità amministrativa sancito dall'art. 97 della Costituzione.

Pertanto, qualora si opti per l'applicazione diretta della disciplina civile, è necessario eliminare quelle disposizioni che conferiscono autonomia alla fase di definizione del rapporto tra i vari co-obbligati. Questo si traduce, a livello processuale, nel carattere facoltativo del litisconsorzio tra i numerosi co-obbligati.

Anche adottando l'ottica dell'analogia, le obbligazioni pubbliche non possono essere assimilate a quelle private per le medesime ragioni.

La soluzione che s'impone è la necessità di una definizione uniforme del rapporto obbligatorio d'imposta per tutti i co-obbligati, coinvolgendoli in ogni momento e fase. Questo non compromette l'essenza del vincolo solidaristico, che continua a mantenere tutta la sua efficacia nella realizzazione concreta della pretesa fiscale.

Infine, se si accetta che la disciplina civile non possa essere trasferita integralmente nel settore fiscale, non dovrebbero esserci difficoltà ad ammettere che l'art. 1306 del Codice civile non è invocabile per negare l'efficacia riflessa nei confronti del co-obbligato dipendente dell'accertamento definitivo. In tali casi, il pregiudizio per il co-obbligato solidale dipendente è giustificato dal particolare legame esistente a livello sostanziale tra diverse fattispecie.

La solidarietà passiva si verifica quando più debitori sono obbligati per la stessa prestazione, in modo tale che ciascuno può essere tenuto a eseguire l'intera prestazione e l'adempimento di una libera gli altri.

In generale, si può distinguere tra solidarietà passiva paritetica e dipendente. La prima si verifica quando più soggetti sono obbligati alla stessa prestazione in base allo stesso titolo; la seconda si verifica quando, pur mantenendo l'identità della prestazione, la co-obbligazione che ne costituisce l'oggetto si giustifica sostanzialmente in virtù di titoli differenziati, collegandosi quindi a situazioni ontologicamente distinte, ma collegate.

Entrambe le situazioni si riscontrano nel diritto tributario: il vincolo di solidarietà tra le parti dell'atto soggetto a imposta di registro è paritetico; invece, quello che esiste tra il contribuente e il responsabile dell'imposta, nonché, con le dovute precisazioni fatte in precedenza, quello tra sostituto e sostituito di imposta, è dipendente.

È importante sottolineare fin da ora la peculiarità per cui il legislatore tributario si preoccupa quasi costantemente di stabilire esplicitamente la solidarietà tra i soggetti co-obbligati. Questo comportamento ha una doppia spiegazione, una generale e l'altra particolare.

Da un lato, infatti, non bisogna dimenticare che la regola stabilita dall'art. 1188 c.c. del 1865 sanciva il principio diametralmente opposto a quello attualmente consacrato dall'art. 1294 c.c., cioè che la solidarietà operava solo in presenza di una esplicita previsione di legge.

Dall'altro lato, la previsione espressa dalle norme tributarie serve in alcuni casi a stabilire una disciplina diversa rispetto a quella civilistica.

È necessario spendere qualche parola sul problema se il modulo della solidarietà, di cui abbiamo finora trattato con specifico riferimento alla categoria delle obbligazioni tributarie che coinvolgono più soggetti, operi anche per i numerosi obblighi e doveri formali che si collegano strumentalmente all'attuazione del rapporto obbligatorio di imposta.

Sembra che il problema debba essere risolto negativamente sia per motivi di ordine letterale (gli artt. 1292 ss. c.c. si riferiscono costantemente e solo alle sole obbligazioni); sia per motivi di ordine ontologico, poiché con riguardo all'adempimento degli obblighi e doveri suddetti non si riscontrano gli elementi che caratterizzano la solidarietà (come la possibilità di successivi regressi interni).

D'altra parte, sebbene alcune norme attribuiscano all'adempimento di uno degli obbligati effetti liberatori nei confronti degli altri, ciò può essere facilmente spiegato in termini di fungibilità soggettiva di tali obblighi.

Una volta stabilito definitivamente che il soggetto passivo dell'imposta è e rimane il sostituito, non vi sono più ostacoli a riconoscere i punti di contatto tra la sostituzione fiscale e la delegazione, poiché entrambi gli istituti si basano sull'adempimento dell'obbligazione e non sulla sua attribuzione soggettiva.

Tuttavia, esistono alcune differenze: nel caso della sostituzione, l'incarico del sostituto di adempiere l'obbligazione del sostituito non deriva da un accordo negoziale tra questi soggetti in termini di mandato, ma è imposto dalla legge; allo stesso modo, l'obbligazione autonoma di cui il sostituto diventa titolare nei confronti delle finanze deriva sempre dalla legge; infine, l'effettuazione concreta di tale ritenuta comporta, ancora per effetto della legge, la liberazione del debitore originale, cioè del sostituito, indipendentemente dal fatto che il sostituto adempia o meno la propria obbligazione versando l'importo corrispondente.

Riassumendo, si può quindi affermare che il sostituto non è altro che un incaricato, per legge, dell'adempimento parziale o totale (a seconda che la ritenuta sia a titolo di acconto o di imposta) della prestazione fiscale che grava sul sostituito per conto di quest'ultimo.

Tuttavia, ciò non impedisce che il sostituto sia titolare in proprio di un'obbligazione nei confronti dell'amministrazione finanziaria, che si presenta con un carattere di autonomia rispetto a quella dell'imposta, pur avendo lo stesso oggetto.

Questa autonomia, tuttavia, non può distruggere il legame funzionale e strumentale che unisce le due obbligazioni e che si manifesta secondo lo schema del vincolo di pregiudizialità/dipendenza.

Ne consegue, quindi, che se la ritenuta non viene eseguita, manca la condizione alla quale è collegato l'effetto liberatorio del sostituito; così di fronte all'amministrazione finanziaria, entrambi i soggetti risultano essere obbligati.

In questo caso, non ci possono essere dubbi sul fatto che l'amministrazione non può pretendere l'adempimento di entrambe le obbligazioni; questa soluzione trova un riscontro puntuale nella delegazione di pagamento e ha oggi, per quanto ci riguarda, l'approvazione della giurisprudenza.

Pertanto, si può coerentemente sostenere l'inesattezza della definizione legislativa contenuta nell'art. 64 del d.p.r. 600/73, soprattutto nella parte in cui essa cerca di attribuire soggettivamente l'obbligazione fiscale al sostituto, anziché al sostituito, e al posto di quest'ultimo; e anche laddove trascura di evidenziare che lo strumento costante per mantenere integro l'equilibrio economico tra sostituto e sostituito è rappresentato dalla ritenuta operabile in via preventiva (attraverso la quale si realizza il cosiddetto rapporto di provvista), e non da una facoltà di rivalsa concepita in termini generici e quindi senza garanzia di successo.

Per tentare una ricostruzione più soddisfacente, dobbiamo partire da un'osservazione già fatta: le ipotesi di ritenuta alla fonte, che costituiscono la sostituzione tributaria, si collocano tutte nel campo delle imposte sui redditi. Il denominatore comune in queste circostanze è l'esistenza di un rapporto di debito/credito tra il sostituto e il sostituito: più precisamente, il primo soggetto (il sostituto), autorizzato e spesso obbligato a effettuare la ritenuta, deve corrispondere un'entità che costituisce reddito e quindi presupposto del tributo per il secondo soggetto (il sostituito); pertanto, questa ritenuta si risolve nel trattenere una parte del dovuto e quindi nel ridurre le somme corrispondenti di un importo equivalente.

Ribadito e chiarito quanto sopra, sembra opportuno procedere all'individuazione delle situazioni giuridiche che riguardano costantemente il sostituto. In questo contesto, vengono in considerazione sia gli obblighi contabili sia quelli relativi alla presentazione di una dichiarazione specifica; obblighi chiaramente finalizzati a facilitare l'accertamento del tributo. Da un lato, infatti, il sostituto, oltre a possedere una struttura organizzativa che gli consente di far fronte a tali obblighi, è solitamente titolare di una pluralità potenzialmente indefinita di quei rapporti obbligatori con terzi/reddituari a cui di solito si collega l'istituto in esame (si pensi alle ritenute del datore di lavoro sulla massa dei propri dipendenti). D'altra parte, il sostituto, non essendo il proprietario del reddito soggetto alla tassazione, ha meno interesse a nascondere all'amministrazione finanziaria l'effettiva realizzazione dell'evento tassabile. Un secondo gruppo di situazioni giuridiche soggettive riguarda la concreta soddisfazione della pretesa fiscale e coinvolge, oltre al rapporto tra sostituto e amministrazione, anche quello tra sostituto e sostituito. In particolare, si tratta di:

a. il diritto del sostituto di trattenere una parte della somma dovuta al sostituito;

b. l'obbligo del sostituto di versare all'amministrazione finanziaria una somma pari all'importo delle ritenute che è autorizzato a effettuare[1].

Anche sotto il profilo effettuale, sembra possibile fare riferimento allo schema della delegazione di cui agli artt. 1268 ss. c.c. Quest'ultima, caratterizzata dalla finalità solutoria, implica l'esistenza di un rapporto di mandato tra delegante e delegato.

Quando si tratta di ritenute alla fonte a titolo di acconto, il meccanismo funziona così: a. il sostituto, al momento del pagamento di una somma che costituisce reddito per il sostituito, effettua la ritenuta obbligatoria per legge e versa l'importo all'ente impositore nei termini e secondo le modalità stabilite;

b. il sostituito deve registrare questo reddito nelle proprie scritture contabili e includerlo nella dichiarazione dei redditi annuale;

c. quando il sostituito calcola l'imposta dovuta sulla base della propria dichiarazione, deve considerare anche i redditi soggetti a ritenuta, sottraendo l'importo delle ritenute dall'imposta dovuta. Questo può portare a un debito residuo, a un credito o a nessuno dei due, a seconda che l'importo totale delle ritenute sia inferiore, superiore o pari all'imposta risultante dall'autoliquidazione.

Se, per qualsiasi motivo, il sostituto non effettua la ritenuta, il sostituito non può sottrarre l'importo nella dichiarazione annuale e deve quindi pagare integralmente l'imposta sui propri redditi.

Questa sequenza dimostra che il sostituito non può essere considerato completamente estraneo al rapporto impositivo[2].

Se il sostituto d'imposta non versa le ritenute d'acconto effettuate, l'Agenzia delle Entrate non può rivalersi sul sostituito durante la riscossione. La responsabilità solidale del sostituito d'imposta, prevista dall'articolo 35 del D.P.R., n. 602/1973, esiste solo se la ritenuta non è stata effettuata. Questo principio è stato stabilito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 10378 del 12 aprile 2019, che ha risolto una questione controversa sulla sostituzione a titolo di acconto.

La vicenda è iniziata con un controllo formale ex articolo 36-ter del D.p.r. n. 600/1973, in cui un contribuente ha ricevuto una cartella di pagamento per ritenute d'acconto effettuate, ma non versate dal sostituto d'imposta. Il contribuente ha contestato l'atto, sostenendo che la responsabilità solidale per il pagamento dell'imposta esiste solo se le ritenute non sono state effettuate, come confermato dai giudici in entrambi i gradi di giudizio. L'Ufficio ha fatto ricorso per Cassazione, lamentando l'erroneità della pronuncia di secondo grado.

Il contrasto giurisprudenziale ha portato la sezione tributaria della Suprema Corte a devolvere la questione alle Sezioni Unite. Sono stati analizzati due principali orientamenti:

1. Il primo sostiene che il sostituto che il sostituito d'imposta siano entrambi obbligati a pagare le ritenute non versate, basandosi sull'articolo 1294 del codice civile.

2. Il secondo, opposto al primo, sostiene che la responsabilità solidale del sostituito non scatti se il sostituto ha effettuato la ritenuta, ma non l'ha versata.

Le Sezioni Unite hanno optato per una soluzione in linea con l'orientamento minoritario favorevole al sostituito. Hanno stabilito che il soggetto passivo d'imposta rimane il sostituito, mentre l'obbligo di versamento è a carico del sostituto. Questa interpretazione è coerente con l'articolo 35 del D.p.r. n. 602/1973, che prevede la responsabilità solidale solo se le ritenute non sono state effettuate.

Ciononostante, all'orizzonte sembra delinearsi un ritorno al passato. Infatti, benché la sentenza sia stata emessa a Sezioni Unite non sono mancate deroghe nella prassi da parte dell'Agenzia delle Entrate.

La giurisprudenza formatasi prima del 12 aprile 2019

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Ecco una panoramica:

Cassazione sentenza n. 14033 del 16 giugno 2006

La sentenza n. 14033/2006 della S.C., Sezione V Civile Tributaria, tratta del mancato pagamento della ritenuta d'acconto all'Erario da parte del sostituto d'imposta. In tale situazione, anche il sostituito è tenuto al pagamento del tributo. Se il sostituito ha detratto indebitamente dall'imposta la somma corrispondente alla ritenuta non versata dal sostituto, l'ufficio può legittimamente recuperarla a tassazione.

Un contribuente ha contestato una cartella esattoriale davanti alla Commissione tributaria provinciale, opponendosi al pagamento di una somma relativa alla ritenuta d'acconto che aveva detratto nella dichiarazione dei redditi, ma che non era stata versata dal Comune come sostituto d'imposta. La Commissione ha respinto il ricorso, sostenendo che senza una certificazione del Comune che attestasse il versamento della ritenuta, il contribuente non poteva detrarre la somma dall'imposta.

Anche l'appello del contribuente è stato respinto dalla Commissione tributaria regionale, che ha affermato che l'azione accertatrice dell'Amministrazione finanziaria nei confronti del contribuente non è preclusa, se non è dimostrabile che il sostituto d'imposta abbia effettivamente versato la somma all'Erario.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del contribuente, dichiarando che in caso di mancato versamento della ritenuta d'acconto all'Erario da parte del sostituto d'imposta, anche il sostituito è tenuto al pagamento del tributo. Pertanto, se il sostituito ha detratto indebitamente la somma nella propria dichiarazione dei redditi, l'ufficio può legittimamente recuperarla a tassazione.

La Corte ha ribadito che, senza una certificazione che dimostri il versamento della ritenuta da parte del sostituto d'imposta, l'ufficio mantiene l'azione diretta nei confronti del contribuente sostituito e può esercitare i poteri di controllo e accertamento sulla dichiarazione dei redditi presentata dal sostituito, recuperando a tassazione le ritenute indebitamente detratte.

La sentenza ha importanti implicazioni in materia di disciplina dei rapporti tra sostituito e sostituto, che si ritiene di evidenziare brevemente al fine di meglio chiarire il ruolo che in questo rapporto è ricoperto dall'Agenzia delle Entrate.

Non è superfluo esporre analiticamente i principi che sono stati dedotti dallo studio della sentenza già menzionata:

1. Responsabilità del sostituito: in caso di mancato versamento della ritenuta d'acconto da parte del sostituto d'imposta, il sostituito è comunque responsabile per il pagamento del tributo. Questo significa che i contribuenti devono essere consapevoli della loro responsabilità anche se il sostituto non ha adempiuto ai propri obblighi.

2. Detrazione indebita: Se il sostituito ha detratto indebitamente la ritenuta d'acconto nella propria dichiarazione dei redditi, l'ufficio delle imposte può legittimamente recuperare la somma a tassazione. Questo implica che i contribuenti devono assicurarsi che le ritenute siano effettivamente versate all'Erario prima di detrarle.

3. Certificazione del sostituto: è fondamentale la certificazione da parte del sostituto d'imposta che attesti il versamento della ritenuta, in assenza il sostituito non può detrarre la somma dall'imposta. Questo mette in evidenza la necessità per i sostituti d'imposta di fornire la documentazione adeguata.

4. Azione diretta dell'ufficio: l'ufficio delle imposte mantiene l'azione diretta nei confronti del contribuente sostituito in assenza di certificazione del versamento della ritenuta. Questo rafforza il potere di controllo e accertamento dell'Amministrazione finanziaria.

5. Diritto di regresso: il sostituito può esercitare il diritto di regresso nei confronti del sostituto che non ha versato la ritenuta all'Erario. Questo offre una via legale per il sostituito di recuperare le somme pagate in eccesso.

Queste implicazioni pratiche evidenziano l'importanza di una corretta gestione delle ritenute d'acconto e della documentazione fiscale sia per i sostituti che per i sostituiti.

Cassazione, Sezione 6 civile Ordinanza 14 maggio 2015, n. 9933

La controversia è avviata da un contribuente contro l'Agenzia delle Entrate, circa l'impugnazione di una cartella di pagamento per ritenute non effettuate sull'indennità di fine rapporto. La Commissione Tributaria Regionale (CTR) ha respinto l'appello dell'Agenzia delle Entrate contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Varese, che aveva accolto il ricorso del contribuente, ritenendo non applicabili i presupposti del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 35.

Il ricorso dell'Agenzia delle Entrate si basa su un unico motivo a sua volta. Il contribuente ha presentato controricorso.

L'Agenzia delle Entrate sostiene che vi sia stata una violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 35, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La CTR ha ritenuto che la responsabilità del sostituito per somme iscritte a ruolo sussista solo se vi è sia la mancata effettuazione della ritenuta e il mancato versamento della stessa.

La censura è fondata secondo i principi affermati dalla Corte di Cassazione, che stabiliscono che il sostituito è obbligato solidalmente al pagamento dell'imposta, indipendentemente dal fatto che la ritenuta sia prevista a titolo di imposta o di acconto. Il sostituito è soggetto all'accertamento e a tutti i conseguenti oneri, con diritto di regresso verso il sostituto che non ha versato la ritenuta all'erario.

Di conseguenza, la sentenza impugnata viene annullata e il caso viene rinviato, anche per le spese, ad altra sezione della CTR della Lombardia.

Non è inutile esporre analiticamente i principi che sono stati dedotti dallo studio della sentenza che precede:

1. Controversia: La controversia è stata avviata dal contribuente contro l'Agenzia delle Entrate riguardo l'impugnazione di una cartella di pagamento per ritenute non effettuate;

2. Decisione della CTR: La Commissione Tributaria Regionale di Milano ha rigettato l'appello dell'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Varese, che aveva accolto il ricorso del contribuente;

3. Motivo del ricorso: L'Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso sostenendo la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 35, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4. Responsabilità del sostituito: La CTR ha ritenuto che la responsabilità del sostituito per somme iscritte a ruolo sussista solo se vi è sia la mancata effettuazione della ritenuta e il mancato versamento della stessa;

5. Principi della Corte di Cassazione: La Corte di Cassazione ha affermato che il sostituito è obbligato solidalmente al pagamento dell'imposta, indipendentemente dal fatto che la ritenuta sia prevista a titolo di imposta o di acconto. Il sostituito è soggetto all'accertamento e a tutti i conseguenti oneri, con diritto di regresso verso il sostituto che non ha versato la ritenuta all'erario.

6. Esito: La sentenza impugnata viene annullata con rinvio.

Dall'esame delle sentenze che precedono si evidenzia che queste avevano sostanzialmente abbracciato la tesi della solidarietà passiva, disciplinata dal codice civile, ignorando di fatto le implicazioni amministrativistiche della solidarietà propria del diritto tributario. Il problema è stato risolto, come già anticipato, dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 10378/2019.

Le sentenze innanzi esposte hanno messo in luce un farraginoso sistema di riparto degli adempimenti tra sostituito e sostituto che spesso il secondo in una posizione non di solo vantaggio, ma addirittura di abuso vero è proprio nei confronti del sostituito che ha subito la ritenuta d'acconto, ma non ha mai ricevuto la prova del versamento delle ritenute, che spesso non sono state fatte. A Napoli si direbbe del sostituito "cornuto e mazziato".

La sentenza n. 10378/2019: spartiacque tra passato e futuro

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L'Agenzia delle Entrate non può rivalersi sul sostituito durante la riscossione se il sostituto d'imposta non versa le ritenute d'acconto operate. La responsabilità solidale del sostituito d'imposta, come previsto dall'articolo 35 del Dpr n. 602/1973, sussiste solo se la ritenuta non è stata effettuata. Questo principio è stato stabilito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 10378 del 12 aprile 2019, che ha risolto la questione della sostituzione a titolo di acconto.

Le Sezioni Unite sono intervenute a seguito di un controllo formale ex articolo 36-ter del Dpr n. 600/1973, effettuato su un contribuente a cui era stata notificata una cartella di pagamento per ritenute d'acconto, operate, ma non versate dal sostituto d'imposta. Il contribuente ha contestato l'atto, sostenendo che, secondo l'articolo 35 del Dpr n. 602/1973, la solidarietà del sostituito d'imposta si applica solo se le ritenute non sono state operate. I giudici hanno confermato questa posizione in entrambi i gradi di giudizio. L'Ufficio ha quindi presentato ricorso per Cassazione, contestando la decisione di secondo grado che escludeva la responsabilità del contribuente per il recupero delle ritenute non versate, in violazione dell'articolo 35 del Dpr citato.

Persistendo il contrasto giurisprudenziale sulla sostituzione a titolo di acconto, la controversia è stata deferita alle Sezioni Unite con ordinanza interlocutoria n. 31742 del 7 dicembre 2018. Nell'ordinanza, i giudici hanno analizzato i due principali orientamenti giurisprudenziali:

a) La prima opinione, prevalente, sostiene che sia il sostituto che il sostituito d'imposta siano entrambi tenuti a pagare l'importo delle ritenute d'acconto non versate. Questo orientamento si basa sull'articolo 64, comma 1, del Dpr 600/1973, che definisce il sostituto d'imposta come obbligato al pagamento delle imposte in luogo d'altri, e sull'articolo 1294 del codice civile, che prevede la "solidarietà tra condebitori". Pertanto, il sostituito può scomputare le ritenute solo se queste sono state versate, altrimenti rimane solidalmente responsabile.

b) Il secondo orientamento, opposto al primo, sostiene che la solidarietà del sostituito non si applica se il sostituto ha operato la ritenuta, ma non l'ha versata. L'articolo 35 del Dpr 602/1973 prevede la responsabilità solidale del sostituito solo se il sostituto non ha effettuato né versato le ritenute. Se le ritenute sono state operate e il percipiente ha ricevuto le somme al netto delle ritenute, l'erario può rivalersi solo sul sostituto, per evitare una duplicazione d'imposta. Inoltre, l'articolo 22 del Tuir subordina lo scomputo delle ritenute d'acconto alla loro effettiva operazione, e la normativa speciale sulle ritenute d'acconto prevale su quella generale dell'articolo 1294 del codice civile.

Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 10378, ritenendo validi i presupposti per una revisione definitiva dell'orientamento maggioritario, hanno optato per una soluzione più conforme al dato normativo e all'orientamento minoritario favorevole al soggetto sostituito.

Riguardo all'obbligo del sostituito, insieme al sostituto, di pagare la ritenuta d'acconto trattenuta, ma non versata, il massimo Collegio ha inizialmente notato che questa situazione è stata spesso interpretata erroneamente come una solidarietà tra sostituto e sostituito. Questo si basava sul presupposto che l'obbligazione del versamento, in via solidale, al pagamento, in qualità di condebitore operava ai sensi dell'articolo 1294 del codice civile.

Secondo le Sezioni Unite, questa soluzione non è accettabile, principalmente perché, nel caso di sostituzione secondo l'articolo 64 del Dpr citato, il soggetto passivo d'imposta rimane il sostituito, mentre l'obbligo relativo è posto solo a carico del sostituto. Pertanto, l'obbligo di versare la ritenuta rappresenta un impegno indipendente che la legge impone "a carico del sostituto" attraverso gli articoli 23 e seguenti del Dpr n. 600 citato, e che trova la sua giustificazione nell'obbligo di rivalsa stabilito dall'articolo 64, comma 1, del Dpr 600 citato.

Questa interpretazione, secondo le Sezioni Unite, è coerente con l'articolo 35 del Dpr n. 602/1973, che prevede la sussistenza del vincolo solidale solo nel caso in cui le ritenute non siano state operate affatto.

La Suprema Corte, non a caso sottolinea che il legislatore ha previsto, all'articolo 22 del Tuir, il diritto del sostituito di detrarre le ritenute effettuate dal sostituto. Sarebbe stato contraddittorio da parte del legislatore riconoscere il diritto alla detrazione e, allo stesso tempo, rendere il sostituito solidalmente responsabile per la riscossione delle somme detratte.

La Suprema Corte ha preliminarmente osservato come questa situazione sia stata spesso interpretata erroneamente come esistenza di solidarietà tra sostituto e sostituito, con riferimento specifico all'obbligo del sostituito, in solido con il sostituto, di corrispondere la ritenuta d'acconto operata, ma non versata Questo si basava sul presupposto che l'obbligazione del versamento dell'acconto fosse unica per entrambi i soggetti, e che anche il sostituito fosse tenuto, in via solidale, al pagamento, in qualità di condebitore ai sensi dell'articolo 1294 del codice civile[3].

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha ritenuto coerente questa interpretazione con l'articolo 35 del Dpr n. 602/1973, che prevede la sussistenza del vincolo solidale solo nel caso in cui le ritenute non siano state operate affatto.

Prospettive future della sostituzione d'imposta: Cassazione n. 17475/2021

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Preliminarmente, si ritiene opportuno fare una considerazione che aiuterà a comprendere l'avvio di un'inversione di orientamento della Corte di Cassazione rispetto alla sentenza n. 10378 del 12 aprile 2019, emessa a Sezioni Unite, che è apparsa in una prima fase come la soluzione definitiva dei contrasti giurisprudenziali sulla responsabilità del sostituto e del sostituito.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14138 del 7 giugno 2017, ha stabilito che per detrarre le ritenute d'acconto sui redditi di lavoro autonomo non è necessaria la certificazione, poiché la trattenuta può essere dimostrata anche con altri mezzi. La norma che regola la detrazione delle ritenute d'acconto richiede solo che esse siano state effettivamente effettuate. Questo fatto storico può essere provato non solo con la certificazione di chi ha operato la ritenuta, ma anche con mezzi equivalenti da parte di chi ha subito la ritenuta.

La Corte ha sottolineato, inoltre, che l'obbligo di allegare il certificato del sostituto d'imposta alla dichiarazione dei redditi è stato eliminato. Questa modifica normativa ha ridotto l'importanza dell'adempimento formale, concentrandosi sulla sostanza della prova e sul rapporto tra sostituito, sostituto e fisco.

In precedenza, sia l'amministrazione finanziaria che alcune sentenze della stessa Corte avevano ammesso la legittimità delle prove atipiche, fornite con altri mezzi e assimilabili alla certificazione del sostituto, poiché il mancato assolvimento di una formalità non può esporre il contribuente a pregiudizi difensivi o duplicazione delle imposte. Sulla base di questa breve considerazione soffermeremo la nostra attenzione.

I giudici di primo grado avevano rigettato il ricorso, sottolineando che il contribuente non aveva fornito prove documentali adeguate a dimostrare di aver subito le ritenute. Hanno considerato insufficiente la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà presentata dal contribuente.

In appello, il contribuente ha chiesto alla Commissione Tributaria Regionale di ordinare all'Agenzia delle Entrate di produrre i documenti già consegnati nella fase precedente al giudizio.

I giudici di appello, con ordinanza, hanno disposto il deposito da parte dell'Agenzia delle Entrate della documentazione che il contribuente affermava di aver consegnato all'Ufficio per dimostrare le ritenute subite, ma hanno comunque rigettato l'impugnazione.

In ogni caso, i giudici hanno osservato che il contribuente non aveva fornito la documentazione attestante, importo per importo, di aver subito le ritenute (copia delle fatture e prova del pagamento al netto della ritenuta).

Il contribuente ha quindi presentato ricorso per Cassazione, censurando, tra l'altro, il fatto che, pur avendo fornito all'Amministrazione copiosa documentazione, documenti decisivi ai fini della causa, questa l'aveva inspiegabilmente smarrita.

Secondo la Suprema Corte, le censure erano infondate. I giudici di legittimità hanno evidenziato che, anche prima che venisse soppresso l'obbligo di allegare alla dichiarazione dei redditi il certificato del sostituto d'imposta attestante le ritenute operate, era stato affermato che l'inosservanza di tale obbligo non toglie comunque al contribuente il diritto di provare la reale entità della base imponibile, evitando la duplicazione di un'imposizione già scontata alla fonte.

In ogni caso, la Corte rileva che il contribuente può contestare in giudizio il recupero, producendo al giudice tributario la documentazione relativa alle ritenute subite, anche se chi ha operato la ritenuta non voglia consegnargli l'attestato da esibire al fisco.

La Cassazione ha rilevato che l'Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 68/E del 19 marzo 2009, ha riconosciuto che, laddove il contribuente non abbia ricevuto la certificazione delle ritenute effettivamente subite, questi è comunque legittimato allo scomputo delle stesse, a condizione che sia in grado di documentare l'effettivo assoggettamento a ritenuta tramite esibizione congiunta della fattura e della relativa documentazione.

La norma sul controllo formale delle dichiarazioni deve essere integrata secondo i principi generali della prova, potendo gli uffici finanziari apprezzare anche prove diverse dal certificato.

Nel caso in giudizio, la Cassazione ha evidenziato che la Commissione Tributaria Regionale non aveva escluso la possibilità per il contribuente di avvalersi di una prova equipollente, ma aveva ritenuto di dover verificare la validità ai fini probatori della documentazione che il contribuente asseriva di aver consegnato all'Agenzia delle Entrate, rilevando però che la stessa non era adeguata e sufficiente a comprovare gli importi dei compensi effettivamente percepiti.

Le censure rivolte alla sentenza impugnata erano dunque infondate, poiché i giudici di appello non si erano discostati dai principi già indicati.

La sentenza impugnata non si poneva in contrasto con la pronuncia a Sezioni Unite n. 10378 del 12 aprile 2019, che ha stabilito che, nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme per le quali ha operato le ritenute d'acconto, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, a condizione che le ritenute siano state operate.

La Cassazione ha osservato che non era stata dimostrata l'avvenuta consegna, da parte del contribuente all'Ufficio finanziario, di tutte le fatture relative al periodo oggetto di contestazione, ritenute necessarie per comprovare gli importi effettivamente percepiti al netto della ritenuta.

Il fatto che il sostituto d'imposta sia definito come colui che, per legge, è obbligato a pagare le imposte al posto di altri, non esclude che anche il sostituito possa essere obbligato a pagare l'imposta se la ritenuta non è stata effettivamente operata o provata.

In tali casi, anche il sostituito è soggetto al potere di accertamento e a tutti i conseguenti oneri, mantenendo il diritto di regresso verso il sostituto che, dopo aver eseguito la ritenuta, non l'abbia versata all'Erario, esponendolo così all'azione del fisco.

Il sostituto, quale debitore tassabile al posto dell'obbligato principale, è tenuto a adempiere a tutti gli obblighi sostanziali del soggetto passivo e a subire le conseguenze dell'attività dell'Amministrazione Finanziaria, che dovrebbero avere come destinatario il debitore principale, se non operasse la prevista sostituzione.

Ecco i dettagli chiave della Sentenza n. 17475 del 17 giugno 2021:

1. Contesto: La sentenza riguarda un caso di ritenute d'acconto su redditi di lavoro autonomo, specificamente un notaio che aveva impugnato una cartella esattoriale emessa a seguito di un controllo formale della dichiarazione dei redditi per l'anno 2005;

2. Ricorso del contribuente: Il contribuente sosteneva che i sostituti d'imposta non avevano trasmesso le certificazioni attestanti il versamento delle ritenute;

3. Decisione di primo grado: I giudici di primo grado avevano respinto il ricorso, poiché il contribuente non aveva fornito documentazione adeguata a dimostrare di aver subito le ritenute. La sentenza ribadisce che è il contribuente a dover fornire prove sufficienti per dimostrare di aver subito le ritenute d'acconto. Questo significa che i professionisti devono essere molto attenti a conservare e presentare tutta la documentazione necessaria. Anche se i sostituti d'imposta (ad esempio, i clienti del notaio) non trasmettono le certificazioni delle ritenute, la responsabilità di dimostrare il pagamento delle imposte rimane comunque sul contribuente;

4. Appello: In appello, il contribuente aveva chiesto alla Commissione Tributaria Regionale di ordinare all'Agenzia delle Entrate di produrre i documenti consegnati in precedenza. Tuttavia, i giudici di appello avevano rigettato l'impugnazione, rilevando che la documentazione presentata dall'Ufficio era insufficiente e che il contribuente non aveva fornito prove adeguate a dimostrare le ritenute subite;

5. Conclusione: La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di appello, sottolineando l'importanza della documentazione adeguata a dimostrare le ritenute subite. Questa decisione può essere utilizzata come precedente in casi simili, influenzando future controversie fiscali e le decisioni delle commissioni tributarie, come è avvenuto con l'ordinanza n. 14283/2024 della Cassazione.

Prospettive future sostituzione d'imposta: Cassazione n. 14283/2024

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L'ordinanza n. 14283 del 2024 sembra ripercorrere il contenuto della sentenza n. 17475 del 17 giugno 2021, statuendo che il sostituito d'imposta è obbligato in solido con il sostituto per il versamento dei tributi oggetto di accertamento, con la conseguenza che il mancato adempimento dell'obbligazione posta a carico del sostituto di versamento della ritenuta, in uno con la mancata effettuazione della medesima, giustifica l'attribuzione al soggetto passivo d'imposta, ossia al sostituito, dell'obbligo solidale di provvedere al suo pagamento, con conseguente esposizione dello stesso al potere di accertamento dell'Amministrazione finanziaria e a tutti i conseguenti oneri.

L'ordinanza della Corte di Cassazione oggetto di studio ha diverse implicazioni importanti:

1. Responsabilità solidale: Stabilisce che il sostituito (il contribuente) è responsabile in solido con il sostituto d'imposta (il datore di lavoro o l'ente che effettua le ritenute) per il pagamento dei tributi non versati. Questo significa che l'Agenzia delle Entrate può richiedere il pagamento sia al sostituto che al sostituito.

2. Maggiore attenzione ai versamenti: I contribuenti dovranno prestare maggiore attenzione ai versamenti effettuati dai loro sostituti d'imposta, poiché potrebbero essere chiamati a rispondere in caso di inadempienza.

3. Rafforzamento del controllo fiscale: L'ordinanza potrebbe incentivare un controllo più rigoroso da parte dei contribuenti sui propri sostituti d'imposta, per assicurarsi che le ritenute siano correttamente versate.

4. Precedente giuridico: Questa decisione insieme alla n 17475 del 17 giugno 2021 potrebbe creare un precedente che influenzerà future controversie simili, rafforzando la posizione dell'Agenzia delle Entrate nei confronti dei contribuenti.

Conclusioni

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L'assenza nel nostro ordinamento giuridico di una specifica e distinta disciplina della solidarietà tributaria rispetto a quella civilistica, come si è avuto modo di evidenziare, crea una serie di problematiche interpretative; la solidarietà del Codice Civile è disciplinata in modo analitico ed esaustivo, mentre quella tributaria non tiene in considerazione né gli interessi costituzionali, né quelli amministrativi. La lettura della disciplina fiscale ha subito continue modifiche nel corso di vari decenni, anche come conseguenza naturale dell'assenza nel nostro ordinamento di una definizione del concetto di "tributo" (frutto di annose interpretazioni). Si è avuto modo di constatare che per molti anni il rapporto tra sostituto e sostituito è stato disciplinato sulla base dei principi della solidarietà civilistica, che si è rivelata, solo con la sentenza del 2019, incompatibile con i principi contenuti nell'art. 35 del D.P.R. 602/1973. Purtroppo, a pochi anni di distanza dalla pubblicazione della sentenza del 2019 sono tornati a fare capolino nella interpretazione dei rapporti tra sostituto e sostituito, i vecchi e inadeguati principi della solidarietà civilistica, che riappaiono nella sentenza del 2021 e del 2024. Bisogna augurarsi che resista al soffiar dei venti la sentenza del 2019, evitando che il professionista diventi l'emblema del "cornuto e mazziato" che non addice, di certo, a uno stato di diritto.

Alla luce di queste considerazioni è obbligatorio chiedersi quale sia l'utilità, quanto meno nel mondo delle attività professionali, di scindere la posizione di sostituto e sostituito. Il sostituito è chiamato ad anticipare le somme sui compensi incassati, per affidarli al sostituto, al fine di consentire a quest'ultimo di versare le ritenute che dovranno essere portate in detrazione dall'imposta dovuta dal sostituito.

È da ritenere che sarebbe utile una modifica normativa sulla cui base il sostituto versi direttamente le ritenute con modello F24 entro trenta giorni dall'incasso della propria parcella. La riforma non creerebbe diminuzioni neppure temporanee di gettito e si eviterebbe il rischio che l'Erario non riscuotesse. Invero, allo stato si apre un conflitto tra sostituto e sostituito: il sostituito subisce la ritenuta, ma il sostituto spesso non versa il dovuto; il controllo del sostituito si rivela farraginoso per il fisco, con la conseguenza che l'Agenzia delle Entrate di norma si accanisce, ai sensi del 36ter D.P.R. 602/1973, sul sostituto, che spesso, dal canto suo, è costretto ad adire il giudice tributario per tutelarsi dall'Agenzia delle Entrate e al giudice ordinario per esercitare il suo diritto di rivalsa nei confronti del sostituito.


[1] S. CIVITELLI, Concetti sul diritto tributario e sull'iva: l'istituto della sostituzione d'imposta

[2] G. MARZO e C. GALLO, Ritenute operate e non versate: il sostituito non risponde in solido, NT+ (2019)

[3] G. MARZO e C. GALLO, Ritenute operate e non versate: il sostituito non risponde in solido, da NT+ (2019)


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