La Cassazione penale conferma l'inammissibilità dell'appello privo della dichiarazione di domicilio ex art. 581, comma 1-ter c.p.p.

Dichiarazione o elezione di domicilio: la vicenda sottesa e la questione giuridica

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La Corte di cassazione, con la recentissima sentenza n. 25888 depositata il 3 luglio 2024 (sotto allegata), ha ribadito l'importanza del rispetto dell'art. 581, comma 1-ter c.p.p., introdotto dal d.lgs. n. 150 del 2022. La norma prevede l'obbligo di depositare, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio contestualmente all'atto di impugnazione.

La sentenza in esame riguarda il ricorso presentato alla Corte Suprema di Cassazione contro un'ordinanza della Corte d'appello di Bologna che aveva dichiarato inammissibile l'appello proposto dall'imputato avverso la sentenza di condanna del Tribunale di Bologna per reati legati agli stupefacenti.

In particolare, la Corte di Bologna ha dichiarato inammissibile il gravame per mancanza della dichiarazione di domicilio richiesta dall'art. 581, comma 1-ter c.p.p..

L'imputato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando, con un unico motivo di doglianza, l'erronea applicazione della norma processuale e sollevando questione di legittimità costituzionale relativamente agli artt. 3 e 24.

Contesto normativo e giurisprudenziale

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La vicenda si inserisce nel quadro delle modifiche apportate al Codice di Procedura Penale dal d.lgs. n. 150 del 2022.

In particolare:

  • art. 581, comma 1-ter c.p.p.: richiede il deposito della dichiarazione o elezione di domicilio con l'atto di impugnazione, a pena di inammissibilità;
  • art. 157-ter, comma 3 c.p.p.: prevede che la notificazione dell'atto di citazione a giudizio sia eseguita presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell'art. 58, comma 1-ter c.p.p.;
  • art. 164 c.p.p.: modificato per coordinarsi con le nuove disposizioni sulla durata del domicilio eletto.

La giurisprudenza precedente (cfr. Sez. 1, n. 11316 del 07/02/2006) aveva già stabilito che l'elezione di domicilio è un atto personale non surrogabile da dichiarazioni del difensore.

Il punto della Cassazione

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La Suprema Corte ha confermato la decisione della corte d'appello e, dunque, l'inammissibilità del ricorso, ribadendo che:

  • l'elezione di domicilio è un atto personale a forma vincolata che non può essere surrogato da una dichiarazione del difensore;
  • la nuova formulazione dell'art. 581, comma 1-ter c.p.p. richiede il deposito della dichiarazione o elezione di domicilio con ogni atto di impugnazione, anche se l'imputato aveva già eletto domicilio in precedenza;
  • la norma non viola i principi costituzionali o convenzionali relativi al diritto di difesa e ad un equo processo, essendo finalizzata a semplificare le notificazioni e ridurre i vizi procedurali.

La sentenza sottolinea l'importanza di questo ulteriore adempimento formale nel processo penale, evidenziando come esso sia espressione del principio di leale collaborazione tra le parti e non costituisca affatto una limitazione sostanziale del diritto di accesso all'impugnazione.

La Cassazione, sul punto, si è così espressa: "invero, la norma censurata non prevede affatto un restringimento della facoltà di proporre appello, bensì persegue il legittimo scopo di agevolare le procedure di notificazione prodromiche alla celebrazione del giudizio di impugnazione e, quindi, di ridurre la probabilità di ridurre vizi nelle notifiche e nelle comunicazioni funzionali all'instaurazione del contraddittorio".

Implicazioni pratiche e conclusioni

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La sentenza ha importanti conseguenze pratiche:

  • la necessità di prestare massima attenzione alla formalità della dichiarazione di domicilio in ogni impugnazione;
  • l'impossibilità di sanare la mancanza della dichiarazione con dichiarazioni successive o del difensore;
  • il rischio concreto di inammissibilità dell'impugnazione in caso di omissione.

In conclusione, la decisione della Cassazione conferma un orientamento rigoroso nell'interpretazione delle norme procedurali introdotte dalla recente riforma "Cartabia".

E, infatti, mentre da un lato questo approccio mira a garantire efficienza e certezza nelle comunicazioni processuali, dall'altro richiede una maggiore attenzione da parte dei difensori e degli imputati nel rispetto delle formalità richieste per l'accesso ai gradi di impugnazione.

La decisione, dunque, sembra chiaramente privilegiare l'efficienza procedurale rispetto alla flessibilità per casi particolari relativi alla persona sottoposta a giudizio.

La Corte richiede, in particolare, che la dichiarazione o elezione di domicilio sia depositata contestualmente all'atto di impugnazione, anche se l'imputato l'aveva già fornita in precedenza, ribadendo che l'adempimento richiesto non costituisce un ostacolo insormontabile all'esercizio del diritto di impugnazione.

A modesto avviso dello scrivente, invero, la rigida interpretazione dell'art. 581, comma 1-ter c.p.p. potrebbe effettivamente precludere la possibilità di appello per quegli imputati difficilmente reperibili dopo la pronuncia di primo grado, nel quale hanno personalmente già dichiarato o eletto il proprio domicilio.

Questo requisito formale, nuovo ed ulteriore, richiesto anche quando l'imputato sia stato presente nel corso del giudizio di primo grado, potrebbe risultare particolarmente oneroso per imputati che, per varie ragioni, non hanno un domicilio stabile o sono difficili da contattare.

In questi casi, la mancata presentazione della dichiarazione di domicilio insieme all'appello porterebbe inevitabilmente all'inammissibilità dello stesso, privando potenzialmente l'imputato del diritto di impugnazione.


Avv. Francesco Pace

Studio Legale Cataldi sede di Roma

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Scarica pdf Cass. n. 25888/2024

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