Le società consortili, o consorzi, sono organizzazioni costituite da due o più imprenditori che collaborano per raggiungere obiettivi comuni, come la riduzione dei costi di produzione o l'aumento dei

Le società consortili

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La disciplina IVA delle società consortili è un argomento complesso che richiede una comprensione approfondita delle normative fiscali italiane.

Le società consortili, o consorzi, sono organizzazioni costituite da due o più imprenditori che collaborano per raggiungere obiettivi comuni, come la riduzione dei costi di produzione o l'aumento dei prezzi di vendita dei prodotti delle rispettive imprese, ma nulla vieta che queste possano intraprendere una separata attività commerciale.

La vita dei consorzi si complica, però, non appena viene in gioco la disciplina fiscale: una gestione poco accorta dell'equilibrio tra attività lucrativa e mutualistica potrebbe portare con sé più dolori, che gioie.

La disciplina civilistica

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Il consorzio rinviene la sua disciplina nel Libro V, Titolo X, Capo II, del codice civile, negli articoli che vanno dal 2602 al 2615-ter del. Con il contratto di consorzio due o più imprenditori (sia persone fisiche che società) istituiscono un'organiz­zazione comune per la disciplina o per lo svolgi­mento di determinate fasi delle rispettive imprese, mentre i singoli consorziati mantengono autonomia e libertà opera­tiva, salvo quanto previsto dal contratto. È con la legge n. 377/1976 che il legislatore ha consentito ai consorzi di assumere la veste societaria, fermo restando, in ogni caso, lo scopo consortile.

Lo scopo precipuo è, quindi, quello di delineare un'organizzazione comune per perseguire gli scopi dei consorzi, pur avendo forma: In altre parole, il suo scopo non è quello di realizzare un utile da dividere tra i consorziati, ma quello di consentire a questi ultimi il conseguimento di un vantaggio mutualistico, come ad esempio il risparmio nei costi di produzione (approvvigionamento di materie prime o fruizione di un servizio a condizioni più vantaggiose) o di aumento dei prezzi di vendita dei prodotti delle rispettive imprese. «Questo non significa che la società consortile non possa anche svolgere una limitata attività con i terzi e cioè compiere operazioni produttive di utili, ma queste operazioni devono necessariamente avere, rispetto alla gestione mutualistica, una funzione strumentale e accessoria, perché, se la gestione lucrativa prevale sulla gestione mutualistica, la società perde la connotazione consortile e non può che essere qualificata come società lucrativa» (Le Società Consortili, da Studio di Carlo).

Le società consortili possono avere una struttura flessibile, con ciascun consorzio che stabilisce le proprie regole e procedure, pur avendo sempre un amministratore e un consiglio di amministrazione.

Oggetto della società consortile è pur sempre l'esercizio di una impresa e più precisamente di una "fase" delle imprese consorziate (art. 2602 c.c.). Le società consortili sono spesso utilizzate per realizzare progetti che richiedono competenze o risorse che una singola impresa potrebbe non essere in grado di fornire. «I soci di un consorzio sono generalmente responsabili per le obbligazioni del consorzio nei limiti del capitale che hanno sottoscritto, a meno che lo statuto non preveda diversamente» (Società consortile: aspetti civilistici e fiscali, da Fiscomania).

Per quanto concerne la durata, il legislatore non ha posto alcun limite, il consorzio può avere una durata definita o indefinita, a seconda di quanto stabilito nello statuto.

Differenze tra consorzio e società consortili

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Il consorzio e la società consortile perseguono il medesimo scopo, ma ad esse si applica una disciplina civilistica parzialmente diversa. Il codice civile, infatti, detta norme specifiche per il consorzio, non per la società consortile. «Per quest'ultima non è agevole stabilire quale sia l'esat­ta disciplina applicabile, in quanto vengono a tro­varsi in conflitto due diverse esigenze» (Le Società Consortili, da Studio di Carlo). Da un lato, la necessità di avere una disciplina conforme allo scopo perseguito dai consorziati; dall'altro, l'esi­genza di rispettare le regole tipiche della società commerciale prescelta. Alla società consortile si applica quindi, in virtù del rinvio implicito dell'art. 2615-ter, la disciplina del tipo societario scelto dalle parti, mentre è da escludersi l'applicabilità delle norme previste per i consorzi.

«La disciplina strutturale delle società lucrative di cui al titolo V del codice è però, sotto più profili, tendenzialmente incompatibile con le finalità consortili: si pensi alla disciplina dell'ingresso di nuovi soci» (Società consortile: aspetti civilistici e fiscali, da Fiscomania). Le società regolate nel titolo quinto sono organizzazioni per le quali si rende necessaria un'applicazione flessibile della disciplina societaria, introducendo negli atti costitutivi clausole contrattuali «volte a comporre o superare il potenziale contrasto tra struttura societaria lucrativa e mutualità dell'impresa, nei limiti della compatibilità con norme inderogabili del tipo societario prescelto» (Società consortile dal notaio, da NotaioFacile).

Così, ad esempio, in una società di capitali è ritenute ammissibile l'introduzione di clausole che prevedono la limitazione del diritto di opzione dei soci, qualora l'aumento del capitale sia finalizzato all'ingresso di nuovi consorziati, oppure quelle che prevedono l'esclusione o il recesso dei soci che cessano di far parte della categoria di consorziati prevista dall'atto costitutivo.

Di contro non sono mai applicabili quelle norme relative al tipo societario prescelto, ma che siano palesemente incompatibili con le finalità consortili, vedasi, ad esempio, l'art. 2362 sull'unico azionista; il carattere mutua­listico della società consortile, evidentemente esclude che si possa realizzare l'oggetto sociale in assenza di una pluralità dei soci.


Leggi anche la guida legale Consorzio: la disciplina del Codice civile

La disciplina fiscale: l'applicazione dell'IVA

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La disciplina fiscale, in particolare per quello che concerne L'IVA, è contenuta nell'articolo 4 del D.P.R. n. 633/1972, che definisce l'esercizio di imprese ai fini dell'applicazione dell'IVA. Questo articolo è di capitale importanza per i consorzi, poiché specifica che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate dai consorzi ai propri soci o consorziati sono considerate effettuate nell'esercizio di imprese; ne consegue che quelle riportate nell'art. 4 sono operazioni soggette a IVA, salvo le esenzioni specificamente previste dal successivo articolo 10, comma 2.

Nel dettaglio, l'art. 4 del DPR n. 633/72 prevede che:

«2. Si considerano in ogni caso effettuate nell'esercizio di imprese:

1. Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte dalle società in nome collettivo e in accomandita semplice, dalle società per azioni e in accomandita per azioni, dalle società a responsabilità limitata, dalle società cooperative, di mutua assicurazione e di armamento, dalle società estere di cui all'art. 2507 del codice civile e dalle società di fatto;

2. Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da altri enti pubblici e privati, compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica e le società semplici, che abbiano per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole;

3. Si considerano effettuate in ogni caso nell'esercizio di imprese, a norma del precedente comma, anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte dalle società e dagli enti ivi indicati ai propri soci, associati o partecipanti».

Quindi, le prestazioni effettuate dai consorzi in favore dei propri associati costituiscono operazioni imponibili e reddito d'impresa, anche se rientrano nell'ambito dei compiti istituzionali dell'ente, purché queste siano effettuate dietro pagamento di un corrispettivo specifico che eccede i costi di diretta imputazione. Allo stesso modo, le cessioni di beni effettuate dal consorzio ai consorziati nell'ambito delle attività commerciali sono anch'esse soggette a IVA.

Le operazioni esenti ex art. 10

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Secondo l'art. 10, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, invece, le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dei consorziati o soci da consorzi possono essere esentati dall'applicazione dell'IVA, purché i corrispettivi dovuti dai consorziati non superino i costi imputabili alle prestazioni stesse. La ratio di questa esenzione è evitare che i consorziati che svolgono attività esenti vengano penalizzati dall'indetraibilità dell'IVA assolta sugli acquisti. In pratica, i consorzi possono fornire servizi ai propri membri senza applicare l'IVA, a condizione che i corrispettivi dovuti dai consorziati non superino i costi imputabili alle prestazioni stesse.

L'Agenzia delle Entrate, inoltre, ha fornito chiarimenti in merito al regime di esenzione IVA per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dei consorziati. In particolare, ha sottolineato che l'esenzione si applica solo se i consorziati hanno avuto un diritto alla detraibilità dell'IVA in misura non superiore al 10% nel triennio solare precedente.

Per comprendere meglio come i consorzi possono fornire servizi ai propri membri senza applicare l'IVA, è utile esaminare alcuni esempi pratici.

Esempio 1: Consorzio di Trasporto

Immaginiamo un consorzio formato da diverse aziende di trasporto. Il consorzio acquista carburante all'ingrosso per conto dei suoi membri, ottenendo così un prezzo più vantaggioso. Il costo del carburante viene poi ripartito tra i membri del consorzio in base al loro consumo effettivo. In questo caso, il consorzio non applica l'IVA sui servizi di acquisto e distribuzione del carburante, poiché i corrispettivi pagati dai membri non superano i costi sostenuti dal consorzio per l'acquisto del carburante.

Esempio 2: Consorzio di Marketing

Un altro esempio potrebbe essere un consorzio di aziende che operano nel settore del turismo. Il consorzio organizza campagne pubblicitarie congiunte per promuovere le destinazioni turistiche dei suoi membri. I costi delle campagne pubblicitarie vengono suddivisi tra i membri in base alla loro partecipazione. Anche in questo caso, il consorzio non applica l'IVA sui servizi di marketing, poiché i corrispettivi pagati dai membri coprono solo i costi effettivi delle campagne pubblicitarie.

Esempio 3: Consorzio di Ricerca e Sviluppo

Un consorzio di aziende tecnologiche potrebbe collaborare per sviluppare nuove tecnologie. Il consorzio finanzia progetti di ricerca e sviluppo e i costi vengono ripartiti tra i membri in base alla loro partecipazione ai progetti. I servizi di ricerca e sviluppo forniti dal consorzio ai suoi membri non sono soggetti a IVA, poiché i corrispettivi pagati dai membri non superano i costi sostenuti per i progetti.

In tutti questi esempi, è fondamentale che i corrispettivi pagati dai membri del consorzio non superino i costi effettivi sostenuti dal consorzio per fornire i servizi. Questo principio garantisce che i consorzi possano operare in modo efficiente e collaborativo senza l'onere aggiuntivo dell'IVA.

Il reverse charge

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Parlando della fiscale dei consorzi non può non farsi un breve cenno al reverse charge. Il "reverse charge", o inversione contabile, è «un particolare metodo di applicazione dell'IVA che comporta lo spostamento degli obblighi fiscali relativi al pagamento dell'IVA dal soggetto che emette la fattura (cedente/prestatore) al soggetto che la riceve (cessionario/committente)» (Reverse charge: quando e come si applica, da Ipsoa).

In una transazione ordinaria è il fornitore ad applicare l'IVA in fattura e a versarla all'Erario. Con il reverse charge, invece, è il destinatario della cessione di beni o della prestazione di servizi a dover integrare la fattura con l'IVA e a compiere il versamento in favore dello Stato. Il principale vantaggio di questo metodo di applicazione dell'IVA è la riduzione del rischio di evasione fiscale, poiché l'imposta viene versata direttamente dal destinatario della fattura, eliminando la possibilità che il fornitore la trattenga.

Il regime dell'inversione contabile si applica anche ai consorzi in determinate situazioni, la legge di stabilità 2016, infatti, ha ampliato le fattispecie soggette al reverse charge, includendo anche le prestazioni di servizi rese dalle consorziate ai consorzi che operano in regime di split payment nei confronti della Pubblica Amministrazione.

L'Agenzia delle Entrate, inoltre, ha precisato che la consorziata deve fatturare nei confronti del consorzio applicando il regime IVA del reverse charge per i servizi di manutenzione oggetto di appalto. Questo significa che la consorziata emette fattura senza addebitare l'IVA, e il consorzio è tenuto ad integrare la fattura con l'IVA e a versarla all'erario. Ad esempio, Se una consorziata fornisce servizi di manutenzione al consorzio, deve emettere fattura in regime di reverse charge, e il consorzio integra la fattura con l'IVA e la versa all'erario.

Necessaria prevalenza della gestione mutualistica

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Alla luce della disciplina appena descritta è importante notare che la gestione mutualistica deve prevalere sulla gestione lucrativa. Tuttavia, quando l'aspetto commerciale diventa prevalente rispetto a quello mutualistico, la società perde la sua connotazione consortile e viene qualificata come società lucrativa. Questo cambiamento comporta la perdita dei benefici mutualistici, inclusi quelli fiscali.

Esempio 1: Consorzio di Acquisto

Immaginiamo un consorzio di piccole imprese che si uniscono per acquistare materie prime a prezzi più bassi. Se il consorzio inizia a vendere le materie prime anche a terzi non consorziati a un prezzo maggiorato per ottenere un profitto, l'aspetto commerciale diventa prevalente. In questo caso, il consorzio non opera più esclusivamente per il beneficio dei suoi membri, ma per generare profitto. Di conseguenza, perde la sua natura mutualistica e i relativi benefici fiscali.

Esempio 2: Consorzio di Servizi

Consideriamo un consorzio di aziende che forniscono servizi di consulenza. Se il consorzio inizia a offrire servizi di consulenza a clienti esterni a tariffe di mercato, con l'obiettivo di massimizzare i profitti, l'aspetto commerciale diventa predominante. Questo comportamento indica che il consorzio non opera più principalmente per il beneficio dei suoi membri, ma per ottenere guadagni. Di conseguenza, il consorzio viene qualificato come società lucrativa e perde i benefici mutualistici.

Esempio 3: Consorzio di Produzione

Un consorzio di produttori agricoli potrebbe iniziare a vendere i prodotti non solo ai membri del consorzio, ma anche a distributori esterni a un prezzo maggiorato. Se l'obiettivo principale diventa il profitto derivante dalle vendite esterne, l'aspetto commerciale prevale su quello mutualistico. Quando la gestione lucrativa diventa prevalente, la società perde la sua qualifica di consorzio mutualistico e i relativi benefici fiscali. Questo può includere l'obbligo di applicare l'IVA sui servizi forniti ai membri e la perdita di altre agevolazioni fiscali.

Per questo il calcolo della prevalenza della gestione mutualistica sulla gestione lucrativa è un processo fondamentale per determinare se una società consortile mantiene la sua natura mutualistica e i relativi benefici fiscali. Questo calcolo si basa sul rapporto tra lo scambio mutualistico realizzato con i soci e il complessivo ammontare dello scambio con soci e non soci.

Passaggi per il calcolo della prevalenza mutualistica

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1. Identificazione dei Valori di Bilancio:

o Valore riferito ai soci: Si tratta dei valori di bilancio che rappresentano lo scambio mutualistico realizzato con i soci. Ad esempio, se un consorzio di acquisto ha fornito beni per un valore di 600.000 € ai suoi membri, questo è il valore riferito ai soci.

o Valore totale di bilancio: Questo include tutti i valori di bilancio, sia quelli riferiti ai soci che quelli riferiti ai non soci. Ad esempio, se il consorzio ha un valore totale di bilancio di 1.000.000 €, questo include sia le transazioni con i membri che con i non membri.

2. Calcolo del Rapporto di Prevalenza:

o La formula utilizzata è: Percentuale prevalenza mutualistica = (Valore riferito ai soci / Valore totale di bilancio) * 100

o Questo rapporto deve essere superiore al 50% per garantire che la gestione mutualistica prevalga su quella lucrativa.

Esempio pratico con prevalenza mutualistica

o Immaginiamo un consorzio di acquisto con i dati su riportati:

§ Valore riferito ai soci: 600.000 €

§ Valore totale di bilancio: 1.000.000 €

o Applichiamo la formula: Percentuale prevalenza mutualistica = (600.000/1.000.000) *100 = 60%

o Interpretazione del Risultato: Questo significa che il 60% delle attività del consorzio è rivolto ai membri. Poiché questo valore è superiore al 50%, la gestione mutualistica prevale su quella lucrativa.

Esempio con prevalenza Lucrativa

o Consideriamo un altro esempio con i seguenti dati:

§ Valore riferito ai soci: 300.000 €

§ Valore totale di bilancio: 800.000 €

o Applichiamo la formula: Percentuale prevalenza mutualistica = (300.000/800.000) *100 = 37,5%

o Interpretazione del Risultato: Questo significa che solo il 37,5% delle attività del consorzio è rivolto ai membri. Poiché questo valore è inferiore al 50%, la gestione lucrativa prevale su quella mutualistica.

Agevolazioni fiscali

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Concludendo, si ritiene di ricordare che in materia il legislatore ha previsto l'applicazione anche di importanti agevolazioni fiscali con l'introduzione della Legge n. 240/1981 "Provvidenze a favore dei consorzi e delle società consortili tra piccole e medie imprese nonché delle società con­sortili miste".

L'art. 1 circoscrive l'efficacia della legge in questione ai consorzi e società consortili aventi determinate caratteristiche: deve trattarsi di consorzi tra piccole e medie imprese che operino nel settore dell'industria, del commercio e dell'artigianato al fine di promuovere lo sviluppo, la razionalizzazione e la commercializzazione dei prodotti delle consorziate o di consorzi artigiani di cui alla Legge n. 860/1956, anche in deroga alle limitazioni agli scopi sociali di cui all'articolo 3, comma 2, della stessa legge.

L'art. 4 dispone che: "I consorzi e le società consortili di cui all'articolo 1 della presente legge non possono distribuire utili sotto qualsiasi forma alle imprese associate; tale divieto deve risultare da espressa disposizione del­lo statuto". Il divieto di distribuzione di utili "sotto qualsiasi forma" riguarda sia gli utili realizzati verso terzi, sia l'eccedenza di contributi versati dalle imprese consorziate (cioè l'avanzo di gestione).

L'art. 7 (Utili da reinvestire) prevede che: "Gli eventuali utili dei consorzi e della società consorti­le di cui all'articolo 1 della presente legge non sono soggetti ad imposizione qualora siano reinvestiti, al più tardi, entro il secondo esercizio successivo a quello in cui sono stati conseguiti. A tal fine, gli utili devono essere accantonati in bilancio in un apposito fondo del passivo, vincola­to alla realizzazione di investimenti fissi o di ini­ziative rientranti nell'oggetto del consorzio". «L'intento della norma è quello di veicolare gli utili, a qua­lunque titolo realizzati, verso forme di potenzia­mento dell'istituto consortile, individuate in inve­stimenti fissi o in iniziative rientranti nell'oggetto sociale» ("Società consortile: aspetti civilistici e fiscali - Fiscomania"). In pratica, se gli utili vengono reinvestiti entro il periodo stabilito, il regime, provvisorio, di non imponibilità si tramuta in regime definitivo; se gli utili, invece, non vengono reinvestiti o destinati a scopi diversi da quelli disciplinati dalla legge, essi diventano materia imponibile e quindi saranno assoggettati a tassazione.

Gli articoli 1, 4 e 7 della Legge n. 240/1981 sono legati tra loro da un nesso di logicità, e quindi vanno letti nel rispetto l'uno dell'altro: pertanto, qualora vi siano utili, questi ulti­mi beneficiano del regime agevolato solo, se reinvestiti entro i due esercizi successivi alla loro formazione, escludendo altresì ogni forma di distribuzione tra le imprese consor­ziate. Infine, l'art. 4 della legge non detta alcun limite di tempo nel vietare la distribuzione dell'utile tra i consorziati; ciò sta a significare che, se si vuol trarre beneficio dalle agevolazioni previste dalla suddetta legge, il consorzio non dovrà dar luogo ad alcuna distribuzione, mai. «In caso contrario, verrà revocato il regime agevolato e tali utili saran­no soggetti a tassazione, in qualsiasi momento se ne verifichi la distribuzione». ("Società consortile: aspetti civilistici e fiscali - Fiscomania").

Conclusioni

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In conclusione, le società consortili rappresentano una forma unica di società, che offre, grazie alla sua flessibilità, una serie di opportunità per una collaborazione efficiente tra imprenditori. L'esplorazione della disciplina IVA e delle agevolazioni fiscali per i consorzi in Italia, nonché quella delle esenzioni previste dall'art. 10, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, delle operazioni imponibili e il regime del reverse charge, mostrano che è un settore colmo di criticità, che impongono una gestione attenta di questo modello societario che si muove sul precario confine tra lucro e mutualità.

L'istituto delle società consortili, nato in epoca anteguerra, aveva uno scopo senz'altro proficuo, favorendo la crescita delle piccole industrie, la cui gestione era affidata, a sua volta, a piccoli imprenditori. Nell'ultimo ventennio, invece, tutto è mutato. L'istituto è diventato un efficace strumento per creare uno sviluppo economico spesso di grande portata, sostenuto non da piccole realtà economiche, da società che spesso sono l'agglomerato di grandi imprenditori.

Alla fine di questa evoluzione storico normativa ci si ritrova, oggi, in un contesto pregno di società consortili, anche di grandi dimensioni, che perseguono i loro scopi barcamenandosi tra le difficoltà esposte, oppure sfruttando le criticità del sistema a proprio vantaggio, specializzandosi, purtroppo, anche in frodi finanziarie e fiscali, come evidenziato da qualche notizia di cronaca in materia di appalti pubblici.

Ciononostante, l'istituto delle società consortili rimane di fondamentale importanza, potendo, nelle giuste mani, portare a una maggiore efficienza e a un maggiore successo della propria società.


Foto: 123rf.com
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