Tasse, tasse e ancora tasse: uno degli argomenti più criticati dai contribuenti, costretti a sborsare somme considerevoli per regolarizzare la propria posizione nei confronti dello Stato. Dal ricco al povero siamo tutti prede di un fisco famelico, da sempre protagonista indiscusso di aforismi tramandati nei secoli, che riflettono alla perfezione il pensiero di molti cittadini, il cui obbligo primario, appare troppo spesso, solo quello di dover pagare. Per questo rimane indimenticabile il "sano" consiglio di Robert Anson Heinlein in Lazarus Long l'Immortale: «Andateci piano con le bevande superalcoliche. Possono spingervi a sparare all'esattore delle tasse… e a mancarlo».
- L'intimazione esattoriale
- Disciplina fiscale del termine di prescrizione
- Elenco dei tributi distinti per periodo di prescrizione:
- L'impugnazione dell'intimazione di pagamento
- Giurisprudenza rilevante
- Le controverse pronunce della Cassazione
- Interventi per una riscossione più equa
- Conclusioni
L'intimazione esattoriale
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L'intimazione dell'agente della riscossione ha radici profonde nella storia fiscale italiana. La figura dell'agente della riscossione è stata istituita per garantire l'efficacia nella raccolta delle imposte e dei tributi dovuti allo Stato. Questo ruolo è stato formalizzato con la creazione di enti specifici come l'Esattoria e, da ultimo, l'Agenzia delle Entrate-Riscossione.
Una delle principali contraddizioni di questa figura risiede nella percezione pubblica della stessa. Da un lato, è visto come un garante della giustizia fiscale, dall'altro, come un simbolo di oppressione fiscale. Questa dualità ha generato numerose controversie e dibattiti sulla legittimità e l'equità delle procedure di riscossione.
Le corti di merito hanno spesso affrontato casi di contestazione delle intimazioni di pagamento. Le sentenze variano, ma generalmente si concentrano sulla legittimità delle procedure adottate dall'agente della riscossione e sulla corretta notifica degli atti. Un ruolo cruciale ha avuto, a questo proposito, la Corte di Cassazione nel definire i limiti e le modalità dell'intimazione, nonché principi fondamentali riguardanti la trasparenza, la correttezza delle procedure e i diritti dei contribuenti.
Anche la Corte Costituzionale, si è espressa, esaminando la compatibilità delle norme sulla riscossione con i principi costituzionali. In alcune decisioni, ha dichiarato l'illegittimità di specifiche disposizioni, contribuendo a modellare il quadro normativo; ha spesso sottolineato l'importanza della tutela dei diritti fondamentali dei contribuenti e dichiarato l'illegittimità di norme che violavano i principi costituzionali, come il diritto di difesa. La mancanza di una adeguata motivazione, ad esempio, può comportare la nullità dell'atto, in quanto il contribuente non è messo in condizione di comprendere le ragioni della pretesa fiscale e di difendersi.
La legislazione recente ha cercato di bilanciare l'efficacia della riscossione con la tutela dei diritti dei contribuenti. Tuttavia, permangono criticità e margini di miglioramento. Spesso si discute sulla correttezza delle procedure adottate dall'agente della riscossione, in particolare riguardo alla notifica degli atti e alla trasparenza delle operazioni. C'è un dibattito continuo su quanto le procedure di riscossione siano equamente applicate a tutti i contribuenti. Alcuni sostengono che c'è una disparità di trattamento tra piccoli contribuenti e grandi aziende. Le modalità di riscossione possono talvolta essere percepite come oppressive, mettendo in discussione il rispetto dei diritti fondamentali dei contribuenti, come il diritto alla difesa e alla privacy. Le intimazioni possono avere un impatto significativo sulla vita economica e sociale dei contribuenti, specialmente in periodi di crisi economica. Questo solleva questioni etiche e sociali riguardo alla tempistica e alla modalità di esecuzione delle riscossioni. Al fine di superare le criticità sopra riportate e dare forza ai punti positivi messi in evidenza dalla giurisprudenza, occorre assicurarsi che tutte le procedure di riscossione siano chiare e trasparenti.
La legge n. 212 del 2000, conosciuta come Statuto dei Diritti del Contribuente, rappresenta un punto di riferimento cardine sull'argomento. Questo statuto stabilisce i diritti e le garanzie fondamentali dei contribuenti, come il diritto alla conoscenza degli atti e alla semplificazione delle procedure.
Disciplina fiscale del termine di prescrizione
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«I termini di prescrizione dei crediti erariali variano a seconda della natura del credito» (Prescrizione dei crediti nell'ambito dell'eredità, da Diritto.net). In generale, i crediti erariali si prescrivono in dieci anni, ma esistono eccezioni. Ad esempio, le sanzioni si prescrivono in cinque anni. La Corte di Cassazione ha emesso diverse sentenze che chiariscono questi termini, distinguendo tra prescrizione decennale e quinquennale.
La disciplina fiscale del termine di prescrizione e dell'intimazione dell'Agenzia delle Entrate è un argomento complesso che richiede una comprensione approfondita della normativa e della giurisprudenza.
Il termine di prescrizione è il periodo entro il quale l'Amministrazione finanziaria può richiedere il pagamento di un tributo. Questa può variare a seconda del tipo di tributo e delle circostanze specifiche.
Elenco dei tributi distinti per periodo di prescrizione:
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· Prescrizione Decennale (10 anni)
La prescrizione decennale si applica generalmente ai tributi per i quali non è previsto un termine specifico. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha stabilito che, in assenza di un termine specifico, si applica il termine ordinario di dieci anni (art. 2946 c.c.).
- Imposte di registro: Quando non è previsto un termine specifico;
- Mutui;
- Imposte di successione e donazione: In assenza di un termine specifico.
· Prescrizione Quinquennale (5 anni)
I seguenti tributi sono soggetti a un termine di prescrizione quinquennale, come confermato anche da diverse pronunce della Corte di Cassazione (art. 2948 c.c.).
- Imposte sui redditi: IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche) e IRES (Imposta sul Reddito delle Società).
- IVA (Imposta sul Valore Aggiunto).
- Contributi previdenziali: INPS e altre casse previdenziali.
- Tributi locali: IMU (Imposta Municipale Unica), TARI (Tassa sui Rifiuti), TASI (Tassa sui Servizi Indivisibili), Tosap (Tassa Occupazione Spazi ed Aree Pubbliche).
· Prescrizione Triennale (3 anni)
- Tassa automobilistica (bollo auto).
· Prescrizione Biennale (2 anni)
- Canone RAI: Il canone per la televisione pubblica italiana.
· Prescrizione di 2 Anni e 6 Mesi
Si tratta di tributi minori, locali o specifici.
· Tributi ex art. 36ter del d.P.R. 600/73.
· Prescrizione Annuale (1 anno)
- Tassa di soggiorno
Una volta che il termine di prescrizione è trascorso, il debito fiscale si estingue. Questo significa che il contribuente non è più legalmente obbligato a pagare il tributo. L'amministrazione fiscale non può più avviare azioni di esecuzione forzata per recuperare il tributo prescritto. La prescrizione, quindi, offre al contribuente una certezza giuridica, sapendo che dopo un certo periodo non sarà più soggetto a richieste di pagamento per quel tributo. D'altro canto, questo implica che l'amministrazione fiscale debba agire con efficienza e tempestività per riscuotere i tributi entro i termini previsti.L'amministrazione può e deve interrompere il termine di prescrizione attraverso atti formali, come l'intimazione di pagamento, che fanno ripartire il conteggio del termine. Per essere validi e interrompere la prescrizione, gli atti di intimazione devono soddisfare alcuni requisiti:
- Redazione in forma scritta.
- Chiara indicazione del soggetto obbligato (il contribuente) e dell'importo dovuto.
- Esplicitare la pretesa dell'amministrazione, indicando il tributo e l'importo richiesto.
- Manifestare inequivocabilmente la volontà dell'amministrazione di far valere il proprio diritto.
Ecco alcuni esempi e le modalità con cui ciò può avvenire:
1. Avviso di Accertamento: Questo è uno degli atti più comuni. L'avviso di accertamento notifica al contribuente l'importo del tributo dovuto e interrompe il termine di prescrizione, che ricomincia a decorrere dalla data di notifica.
2. Cartella di Pagamento: Emessa dall'Agenzia delle Entrate-Riscossione, la cartella di pagamento richiede il pagamento di tributi non versati e interrompe la prescrizione.
3. Intimazione di Pagamento: Questo atto è emesso quando il contribuente non ha pagato entro i termini stabiliti nella cartella di pagamento. L'intimazione di pagamento interrompe nuovamente la prescrizione.
4. Atto di Messa in Mora: Un atto formale con cui l'amministrazione intima al contribuente di adempiere al pagamento entro un termine specifico. Questo atto interrompe la prescrizione e fa ripartire il termine.
Quando un atto di intimazione viene emesso, il termine di prescrizione si interrompe e ricomincia a decorrere dalla data dell'atto. Questo significa che l'amministrazione ha nuovamente tutto il periodo di prescrizione per richiedere il pagamento del tributo.
Vi sono situazioni, comunque, in cui l'intimazione, benché atto legittimo, possa sconfinare nell'abuso, ad esempio nel caso di intimazioni ripetute senza una reale necessità, o aventi ad oggetto tributi già prescritti, oppure se contiene informazioni incomplete o errate che possono confondere il contribuente. Per questo la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha più volte ribadito l'importanza della correttezza e della trasparenza nelle intimazioni. Ad esempio, la sentenza n. 15140/2021, con la quale ha chiarito i requisiti per la validità degli atti interruttivi della prescrizione.
L'impugnazione dell'intimazione di pagamento
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Gli atti di impugnazione del privato contro l'intimazione dell'esattore possono essere basati su vari motivi, tra cui la prescrizione del credito o la nullità della notifica. La disciplina sostanziale e processuale dell'intimazione prevede che il privato possa contestare l'atto entro termini specifici e seguendo procedure precise.
In tema di opposizioni contro intimazioni di pagamento dell'Agenzia delle Entrate - Riscossione relative a crediti previdenziali, se il motivo dell'impugnazione riguarda l'accertamento dell'insussistenza del credito indicato nella cartella di pagamento, che rappresenta il titolo alla base della richiesta di pagamento, il legittimato passivo del giudizio di opposizione deve essere individuato nell'ente impositore, titolare della pretesa creditoria, e non nell'ente di riscossione. La legittimazione passiva dell'ente di riscossione può sussistere, da solo o eventualmente insieme a quella dell'ente impositore, solo nel caso in cui con l'opposizione si facciano valere vizi propri della procedura di riscossione.
Questo principio è stato ribadito dal Tribunale di Cagliari, Sezione Lavoro, con la recente sentenza n. 782/23, pubblicata il 26 maggio 2023, che si inserisce in un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, conseguente alla recente pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. Un., n. 7514 dell'8 marzo 2022). Ad un contribuente era stata notificata un'intimazione di pagamento da parte dell'Agenzia delle Entrate - Riscossione, basata su un credito previdenziale indicato in una cartella di pagamento notificata nel 2003. Questi ha presentato un'opposizione contro l'intimazione di pagamento, al fine di accertare l'intervenuta prescrizione del credito previdenziale indicato nella cartella di pagamento, con conseguente annullamento della stessa. L'INPS, dal canto proprio, in qualità di ente impositore della pretesa creditoria, ha eccepito il suo difetto di legittimazione passiva a favore dell'Agenzia delle Entrate - Riscossione, ente firmatario dell'intimazione di pagamento dalla quale è sorta l'opposizione.
Il Giudice così, sull'eccezione preliminare di controparte di difetto di legittimazione passiva e richiesta di integrazione del contraddittorio, alla luce del principio enunciato dalla Cassazione, Sezioni Unite, con la sentenza n. 7514/22, ha stabilito che nell'ipotesi di opposizione finalizzata a far valere l'inesistenza del credito indicato nella cartella di pagamento, anche per il maturare della prescrizione, la legittimazione a contraddire compete solo all'ente impositore, quale unico titolare della situazione sostanziale dedotta in giudizio.
Per queste ragioni il Giudice ha considerato regolarmente costituito il contraddittorio con la chiamata dell'INPS e, accertata la prescrizione del credito, ha dichiarato l'estinzione della pretesa contributiva per intervenuta prescrizione.
«Con riferimento alla determinazione del termine prescrizionale, il Giudice, accogliendo i rilievi mossi nell'interesse del cliente dello Studio, ha stabilito che il termine applicabile è quello ordinario quinquennale» (Opposizione ad intimazione di pagamento, da Studio Legale Dedoni) di cui all'art. 3, comma 9, Legge n. 335/1995, non trovando applicazione l'ampliamento al termine decennale di cui all'art. 2953 c.c., che estende a dieci anni i termini di prescrizione inferiori a quello ordinario decennale quando riguardo ad essi è intervenuta una sentenza passata in giudicato, non essendo assimilabile a un accertamento giudiziale la mancata opposizione a una cartella di pagamento nel termine di legge.
Giurisprudenza rilevante
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Ecco una rassegna della principale giurisprudenza in tema di prescrizione dei crediti erariali e sull'intimazione di pagamento dell'amministrazione finanziaria.
1. Sentenza n. 4969 del 26 febbraio 2024: La controversia è nata dall'impugnazione da parte di un contribuente di un'intimazione di pagamento relativa a 25 cartelle di pagamento contenenti sanzioni e interessi. Il contribuente sosteneva che il credito era prescritto, invocando la prescrizione quinquennale. La Corte di Cassazione ha confermato che il termine di prescrizione per le sanzioni non accertate da sentenza è di cinque anni, come previsto dall'art. 20 del D. Lgs. n. 472/19971. Tuttavia, per le sanzioni accertate da sentenza passata in giudicato, il termine di prescrizione è di dieci anni, in base all'art. 2953 c.c. La sentenza ha ribadito che il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro dieci anni. In assenza di una sentenza, il termine di prescrizione resta di cinque anni.
2. Sentenza n. 11138 del 28/04/2021: La controversia riguardava un contribuente che aveva impugnato un estratto di ruolo relativo a una cartella esattoriale per l'IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) riferita ai redditi dell'anno 2001. La Commissione Tributaria Regionale della Campania aveva accolto l'appello del contribuente, ritenendo che la prescrizione quinquennale fosse maturata, poiché la cartella era stata notificata il 19 aprile 2006 e non vi erano prove di atti interruttivi. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate e dell'Agenzia delle Entrate-Riscossione, stabilendo che il termine di prescrizione per la riscossione dei tributi erariali (IRPEF, IRES, IRAP e IVA) è di dieci anni, in assenza di una specifica disposizione di legge che preveda un termine più breve. La Corte ha chiarito che questi crediti non costituiscono prestazioni periodiche, ma devono essere valutati in relazione a ciascun anno d'imposta.
3. Ordinanza n. 8120 del 23/03/2021: La Corte ha stabilito che il credito erariale per la riscossione dell'imposta, a seguito di accertamento divenuto definitivo, è soggetto al termine di prescrizione decennale previsto dall'art. 2946 del codice civile, e non al termine di prescrizione quinquennale previsto dall'art. 2948, n. 4, del codice civile. La prestazione tributaria non può essere considerata una prestazione periodica, poiché il debito deriva, anno per anno, da una nuova e autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi. Nel caso specifico, la contribuente aveva impugnato un'intimazione di pagamento relativa a una cartella di pagamento notificata nel 2004 per IRPEF e addizionali regionali IRPEF inerenti all'anno di imposta 2000. La pretesa tributaria era stata ritenuta prescritta in primo grado, ma l'Agenzia delle Entrate aveva proposto appello. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, stabilendo che il termine di prescrizione decennale si applica anche agli atti di riscossione coattiva.
4. Sentenza n. 23655 del 31/08/2021 n. 10529: La questione è nata da un ricorso presentato dall'INPS contro una decisione della Corte d'Appello di Catania, che aveva dichiarato prescritto il credito vantato dall'INPS con una cartella di pagamento. La cartella era stata notificata per il mancato pagamento di contributi previdenziali relativi agli anni 1993, 1995, 1996 e 1998. «Le Sezioni Unite hanno stabilito che il termine di prescrizione della cartella di pagamento, che non venga impugnata nei termini di legge e pertanto diventa definitiva, resta quello proprio del tributo o della sanzione in essa pretesa» (Cartelle di pagamento: prescrizione, da Studio Cerbone). Questo significa che la mancata impugnazione della cartella non determina la "conversione" del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 cod. civ. La mancata impugnazione della cartella di pagamento produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non determina alcun effetto processuale. In altre parole, la cartella di pagamento non impugnata non acquisisce l'efficacia di un giudicato, e quindi il termine di prescrizione resta quello originario del tributo. Le Sezioni Unite hanno chiarito che l'art. 2953 cod. civ., che prevede la conversione del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale, si applica solo alle sentenze passate in giudicato e non alle cartelle di pagamento non impugnate. La sentenza ha avuto un impatto significativo sulla gestione delle cartelle di pagamento da parte degli enti di riscossione. Ha chiarito che, anche se una cartella di pagamento non viene impugnata e diventa definitiva, il termine di prescrizione resta quello proprio del tributo o della sanzione.
5. Sentenza n. 23397 del 2016: La controversia è nata dall'impugnazione da parte di un contribuente di un'intimazione di pagamento relativa a una cartella esattoriale per omesso pagamento di contributi previdenziali. Il Tribunale di Catania aveva dichiarato inammissibile l'opposizione per tardività, poiché proposta oltre il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella. La Corte di Cassazione ha stabilito che la mancata impugnazione di una cartella di pagamento entro i termini di legge non converte il termine di prescrizione breve (quinquennale) in quello ordinario decennale. La cartella esattoriale, pur avendo le caratteristiche di un titolo esecutivo, resta un atto amministrativo privo dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Questo significa che la decorrenza del termine per l'opposizione produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non determina alcun effetto processuale. Questa sentenza è significativa perché chiarisce che il termine di prescrizione delle cartelle di pagamento resta quello proprio del tributo o della sanzione richiesta nella cartella, anche se non viene impugnata. La decisione garantisce una maggiore certezza giuridica sia per l'amministrazione fiscale che per i contribuenti, evitando interpretazioni che possano allungare arbitrariamente i termini di prescrizione.
6. Sentenza Cassazione Civile n. 13387 del 18/05/2021: in tale sede, i giudici ermellini hanno risolto la problematica "prescrizionale" ai fini delle sanzioni tributarie. La prescrizione decennale è applicabile alla richiesta dell'Agenzia delle Entrate laddove esista "una sentenza passata in giudicato, […] mentre se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dall'art. 20 del D. Lgs. n° 472/97, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l'obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario".
I giudici di Piazza Cavour (nell'ultima decisione) hanno ampliato l'area di applicazione della prescrizione breve; infatti, nella citata ordinanza del 2015, era stato affermato che la prescrizione quinquennale operava laddove il titolo esecutivo fosse costituito dalla sola cartella esattoriale dell'Ente della Riscossione. «Dunque, nelle altre ipotesi di sussistenza del credito erariale (ad esempio notifica dell'avviso di accertamento dell'Agenzia delle Entrate) avrebbe dovuto essere introdotta la prescrizione decennale» (Crediti erariali, Sezioni Unite: si prescrivono tutti in 5 anni, da Altalex). Il nuovo orientamento ha quindi esteso i margini difensivi del cittadino, il quale potrà chiedere al giudice l'estinzione del credito statale per intervenuta prescrizione breve non soltanto nei casi di notifica di cartella esattiva (art. 36 bis e/o ter, D.P.R. n° 600/73), bensì anche nelle fattispecie riguardanti qualsiasi atto amministrativo di natura accertativa (avvisi di accertamento, avvisi di addebito etc.). La giurisprudenza ha riconosciuto che l'obbligo annuale di pagamento dell'imposta esiste indipendentemente dalla dichiarazione del contribuente. Questo obbligo può essere determinato o corretto dall'Amministrazione finanziaria anche in caso di mancata dichiarazione. La periodicità dell'obbligazione non può essere messa in dubbio solo perché annualmente occorre determinare l'importo dovuto, poiché questa determinazione avviene secondo criteri normativi prestabiliti. Anche in materia di imposte dirette e IVA, esiste un rapporto obbligatorio continuativo e annuale, costituito dall'obbligo permanente del contribuente di pagare un'imposta predeterminata dalla legge, fondata sulla produzione di reddito o la cessione di beni. «L'obbligo per il concessionario di conservare copia delle cartelle di pagamento e dei relativi attestati di ricevimento per cinque anni supporta la tesi di una prescrizione di pari durata» (La prescrizione dei debiti tributari, di Leo). Questo obbligo è previsto dall'articolo 26, comma 5 del d.P.R. n. 602/1973, che stabilisce che l'esattore deve conservare per 5 anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell'avvenuta notificazione o l'avviso di ricevimento, e ha l'obbligo di esibirla su richiesta del contribuente o dell'amministrazione. Se si supera il termine di cinque anni per richiedere la cartella di pagamento, l'esattore non è più obbligato a conservarla e potrebbe non essere in grado di fornire una copia. Questo significa che si potrebbe perdere la possibilità di contestare eventuali errori o irregolarità nella cartella stessa. Inoltre, se non si fa ricorso contro la cartella di pagamento entro i termini previsti dalla legge, la cartella diventa definitiva e non può più essere contestata.
Le controverse pronunce della Cassazione
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La Corte di Cassazione, come evidenziato anche dalla rassegna di cui sopra, ha emesso diverse sentenze che differiscono molto nel contenuto, anche se apparentemente simili. Ad esempio, sentenze del 2015, 2021 e 2024 hanno trattato casi simili ma con esiti diversi a causa delle specificità dei singoli casi.
La Corte di Cassazione, in diverse pronunce, ha chiarito che l'intimazione di pagamento deve essere seguita da un'azione esecutiva entro un anno per mantenere la sua efficacia. Se ciò non avviene, l'intimazione perde efficacia e deve essere emessa una nuova intimazione per poter procedere con l'esecuzione.
L'agente della riscossione, nell'esercizio delle sue funzioni, può emettere atti di intimazione di pagamento per sollecitare il contribuente al saldo dei debiti fiscali. Ogni atto di intimazione di pagamento ha una durata di efficacia di un anno. Questo significa che, se entro tale periodo non viene avviata un'azione esecutiva, come il pignoramento, l'intimazione perde la sua efficacia. In tal caso, l'agente della riscossione è tenuto a emettere una nuova intimazione per poter procedere con l'esecuzione forzata. Sebbene l'agente della riscossione possa emettere una nuova intimazione se la precedente è scaduta senza che sia stata avviata un'azione esecutiva, questo non può avvenire in modo indefinito. La ripetizione continua di intimazioni per lo stesso debito, senza intraprendere azioni concrete, può essere considerata un abuso di potere e può essere contestata dal contribuente. È fondamentale ricordare che, se il termine di prescrizione del debito è trascorso, il debito si estingue e non può più essere richiesto. Pertanto, l'agente della riscossione non può emettere nuove intimazioni per un debito prescritto.
La Corte di Cassazione ha chiarito che l'intimazione di pagamento deve essere seguita da un'azione esecutiva entro un anno per mantenere la sua efficacia. Se ciò non avviene, l'intimazione perde efficacia e deve essere emessa una nuova intimazione per poter procedere con l'esecuzione. L'emissione degli atti di intimazione è uno strumento legittimo e necessario per la riscossione dei tributi, ma deve essere utilizzato con correttezza e nel rispetto dei termini di prescrizione. L'abuso di tale strumento può portare a contestazioni e a una perdita di fiducia nei confronti dell'amministrazione fiscale.
I giudici della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 23397 depositata in data 17.11.2016, hanno stabilito che le pretese della Pubblica Amministrazione (Agenzia delle Entrate, Inps, Inail, Comuni, Regioni, ecc.) si prescrivono nel termine "breve" di cinque anni, eccetto nei casi in cui la sussistenza del credito non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato o a mezzo di decreto ingiuntivo. Il problema verteva sull'interpretazione dell'art. 2953 c.c. "con riguardo specifico all'operatività o meno della […] conversione del termine prescrizionale breve in quello ordinario decennale" nelle fattispecie originate dalla notifica, nei confronti del cittadino, di "atti di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva" afferenti crediti statali sia di natura tributaria (Agenzia delle Entrate), che extratributaria (Inps, Inail, Comuni). In particolare, dall'ordinanza di rimessione della Sesta Sezione civile n. 1799/16, era primario valutare se la prescrizione breve (5 anni) "sia applicabile anche nelle ipotesi in cui la definitività dell'accertamento del credito derivi da atti diversi rispetto a una sentenza passata in giudicato". A ben vedere, nei casi in cui il contribuente non impugni giudizialmente un atto accertativo della Pubblica Amministrazione oppure un provvedimento esattoriale dell'Ente della riscossione, i giudici di Piazza Cavour avevano il delicato compito di stabilire se tale "scelta" processuale producesse "soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito" o consentisse "la conversione del termine di prescrizione breve […] in quello ordinario decennale".
In realtà, la Corte di Cassazione - in passato - aveva mantenuto un orientamento tendenzialmente compatto sul punto, ossia è ammissibile la conversione della prescrizione breve a decennale "soltanto per effetto di sentenza passata in giudicato, oppure di decreto ingiuntivo che abbia acquisito efficacia di giudicato formale e sostanziale".
Conseguentemente, sempre ripercorrendo a ritroso il pensiero "di legittimità" della Suprema Corte, la prescrizione quinquennale, "per la riscossione coattiva dei crediti", è ammissibile "esclusivamente quando il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non è più l'atto amministrativo, ma un provvedimento giurisdizionale divenuto definitivo".
Di fatto, la sentenza ha chiarito che la omessa impugnazione di un provvedimento accertativo o esattoriale non può concedere, all'atto in oggetto, di acquistare "efficacia di giudicato", giacché i citati atti sono "espressione del potere di auto accertamento e di autotutela della P.A.".
Per tale ragione, "l'inutile decorso del termine perentorio per proporre opposizione, pur determinando la decadenza dell'impugnazione, non produce effetti di ordine processuale […] con la conseguente inapplicabilità dell'art. ("La prescrizione dei crediti erariali - Filodiritto") 2953 c.c. ai fini della prescrizione".
Al riguardo, per comprendere al meglio la problematica in discussione, anche la Corte Costituzionale ebbe modo di esprimersi - seppur in termini generali - sull'operatività della prescrizione lunga o breve per la riscossione di crediti erariali ai danni del cittadino.
In conclusione, la Corte di Cassazione, richiamando la sua precedente giurisprudenza, ha affermato dunque che la mancata impugnazione di un avviso di accertamento della Pubblica Amministrazione o di un provvedimento esattoriale dell'Ente della Riscossione produce unicamente la definitività del credito statale (non più confutabile in futuro, eccetto le ipotesi di vizio di notifica dell'atto originario): tale circostanza non determina "anche l'effetto della c.d. conversione del termine di prescrizione breve […] in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 c.c.".
Ebbene, la trasformazione da prescrizione quinquennale in decennale si perfeziona soltanto con l'intervento del "titolo giudiziale divenuto definitivo" (sentenza o decreto ingiuntivo); per esempio, la cartella esattoriale, l'avviso di addebito dell'Inps e l'avviso di accertamento dell'Amministrazione finanziaria costituiscono - per propria natura incontrovertibile - semplici atti amministrativi di autoformazione e pertanto sono privi dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato.
Interventi per una riscossione più equa
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Sarebbe necessario offrire formazione e supporto ai contribuenti per aiutarli a comprendere le procedure fiscali e a gestire le loro obbligazioni in modo efficace. Questo potrebbe includere consulenze gratuite o servizi di assistenza fiscale. Garantire che le leggi e le procedure di riscossione siano applicate in modo uniforme a tutti i contribuenti, indipendentemente dalla loro dimensione o capacità economica. Questo può aiutare a ridurre le disparità di trattamento. Rafforzare le garanzie per i diritti dei contribuenti, come il diritto alla difesa, il diritto alla privacy e il diritto a un trattamento equo. Questo può includere la revisione delle procedure di riscossione per assicurarsi che siano rispettose dei diritti fondamentali. Promuovere riforme legislative che mirino a migliorare l'equità e la giustizia delle procedure di riscossione. Questo può includere la revisione delle norme esistenti e l'introduzione di nuove disposizioni che tutelino meglio i contribuenti. Implementare sistemi di monitoraggio e valutazione per analizzare l'efficacia e l'equità delle procedure di riscossione. Questo può aiutare a identificare aree di miglioramento e a sviluppare strategie correttive. Favorire il dialogo tra le autorità fiscali e i contribuenti, coinvolgendo le associazioni di categoria e altri stakeholder nel processo decisionale. Questo può contribuire a creare un sistema fiscale più equo e condiviso, nel rispetto anche della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU).
Conclusioni
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L'espropriazione esattoriale non ha mai trovato pace sin dalle sue origini. La figura dell'agente della riscossione nacque molti anni fa ed è stata esclusivamente una grande occasione per le società private di macinare denaro pubblico. I guadagni delle società esattoriali private sono stati ingenti, mentre il riscosso nell'interesse dei cittadini è stato assolutamente irrisorio. La situazione non è mutata con la fine dell'agente di riscossione privato; anzi, sotto certi aspetti, si è aggravata perché si è creato un pericoloso cocktail tra esattorie e Agenzia delle Entrate.
Non si è risolto il problema con la fine di Equitalia e la nascita dell'Agenzia delle Entrate Riscossione. Invero, si è creato un micidiale cocktail prima tra l'Agenzia delle Entrate ed Equitalia e successivamente tra l'Agenzia delle Entrate e la Riscossione. Gli incassi sono stati significativi per entrambi, ma non per la macchina pubblica. La collaborazione tra l'Agenzia delle Entrate ed Equitalia è risultata fallimentare, ma ancora peggio è stato il rapporto tra l'Agenzia delle Entrate e la Riscossione.
Il paese si è ritrovato con due strutture apparenti, mentre in realtà la struttura è una sola, affidata all'Agenzia delle Entrate e all'agente della riscossione. Chi governa l'Agenzia delle Entrate governa anche l'Agenzia della Riscossione. Il vigilante e il vigilato coincidono. I romani avevano previsto una simile follia quando si sono chiesti chi sarà il custode dei custodi. L'Agenzia delle Entrate di fatto non vigila sull'agente della riscossione e le ultime disposizioni hanno introdotto principi giuridici che impediscono alla Corte dei Conti di vigilare sull'agente della riscossione.
L'attività dell'agente della riscossione è a dir poco sommaria. Il lavoro viene svolto con molta approssimazione e migliaia di cartelle di pagamento rimangono inevase in attesa di essere notificate. È necessario con assoluta urgenza scindere la posizione dell'Agenzia delle Entrate da quella dell'agente della riscossione. È necessario, senza mezzi termini, che l'Agenzia delle Entrate sia un lupo feroce che vigila sull'attività dell'Agenzia della Riscossione.
Le contraddizioni nelle quali viviamo sono evidenti: l'Agenzia delle Entrate vive con la bava alla bocca in attesa di azzannare il contribuente, che ipocritamente viene chiamato amico, mentre l'Agenzia delle Entrate è il capo gruppo della riscossione. Non vi sono rapporti amichevoli, ma rapporti di forza che l'Agenzia delle Entrate fa valere nei confronti di tutti i cittadini tramite l'Agenzia della Riscossione, che costituisce il suo braccio armato. Un nuovo ruolo dell'Agenzia delle Entrate costringerebbe l'agente della riscossione a svolgere un ruolo di vera e nuova sudditanza giuridica nei confronti dell'Agenzia delle Entrate, a tutto vantaggio degli interessi dello Stato anziché esclusivamente a danno degli interessi dei cittadini perseguiti da atti d'intimazione, fermi amministrativi e iscrizioni ipotecarie.
Non è vero che tutto questo accada perché il cittadino normalmente non paga; se così fosse, l'agente della riscossione avrebbe interesse ad agire rapidamente nei confronti del cittadino, evitando che maturino ingenti interessi moratori e spese giudiziarie.
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