Percorrere lo "spazio del diritto' per dirigersi verso la realizzazione di un diritto penale pedagogico, per un codice penale futuristico

Non possiamo pensare al diritto come ad una disciplina statica, ferma, incapace di autodeterminarsi, di progredire; incapace di togliere le radici, estirpandole, da terreni che il tempo stesso rende inadeguati, superati e non idonei al continuo mutarsi, alla continua trasformazione della società; non idonei ai basilari bisogni umani riconosciuti, nonché incapace di cogliere, di riconoscere i limiti della stessa natura umana.

Non possiamo pensare a un diritto, a una legge penale lontana dalla natura umana. Natura umana, che non può considerarsi separata e non può pertanto non essere contemplata da tutte quelle norme che riguardano le azioni, le condotte, i comportamenti umani; il 'relazionarsi umano'.

Nel legiferare non si può non considerare l'"essenza umana" in ogni sua forma, non si può perdere il 'sentire umano' e produrre leggi dando luogo a soluzioni artificiali, lontane dalla realizzazione stessa della condizione della natura umana. Soluzioni fittizie, represse, innaturali appunto che irrigidiscono, imbrutiscono, incattiviscono nel profondo il sentire individuale e sociale, soluzioni che snaturano di conseguenza l'aspetto umano - da cui la legge non può prescindere.

Aspetto umano che deve invece essere al centro, quale unico e centrale terreno su cui il diritto deve orientarsi, rispettandone le caratteristiche.

E' necessario rivalutare, rivedere le 'logiche del diritto' in generale, e pensare ad un "diritto penale altro"; ad un diritto penale in estensione, libero da ogni condizionamento storico e sociale, una legge penale capace soprattutto di superare l'attuale concezione della sanzione penale, quale pena afflittiva. Della pena intesa come retribuzione per compensare il disvalore della condotta, come espiazione arida del male commesso.

Arginare tale concezione per avanzare e per concretizzare invece una 'pena pedagogica' a vantaggio del singolo individuo, del recupero individuale del reo e, in generale, a vantaggio di tutti i consociati.

Il diritto penale liberale ci ha condotto su terreni che non si consideravano nemmeno esplorabili, percorrendoli e ponendoci invece "basi di valori" da cui non si può più prescindere.

Deve essere possibile pertanto anche sotto tali spinte un ulteriore avanzamento del diritto verso una "propria indipendenza", 'più' marcata, più incisa. Più concreta.

Un'indipendenza da qualsiasi pregiudizio, limite, confine che permetta al diritto penale di attuare in pieno la sua missione, riconoscendo e superando tutti i casi in cui la legge diventa un mantello di protezione per pochi, ma al tempo stesso dall'altra parte del tessuto sociale, ai margini, relega e destina, negli 'estremi della società', chi è privo delle condizioni minime di sopravvivenza, alla sottomissione della legge del più forte, ispirata alla violenza da "guerriglia urbana".

Per un'evoluzione nuova, che sorprenda e che disinneschi il continuo ripetersi, sotto mentite spoglie, della concezione violenta della pena. Incamminarci oltre tale concezione che limita in concreto ogni avanzamento civile.

"La paura è uno stimolo di cui non bisogna abusare; non bisogna mai fare una legge severa quando basta una più dolce", così si esprimeva Montesquieu - uno dei massimi esponenti del pensiero liberale politico moderno, e tra i padri dell'Illuminismo francese - che già nel 1700 anticipava un'evoluzione giuridica e sociale, attualmente ancora non concretizzatasi del tutto.

Quindi legiferare senza paura alcuna, attuando una marcata funzione preventiva che può essere accettata solo se non dettata dalla paura esasperata, al fine di produrre davvero una legge equa, giusta, e mossa pertanto dai principi ispiratori del concetto più alto del pensiero liberale, attuando una legalità sostanziale e non solo formale, che abbia come cardine ispiratore, fermo il principio di uguaglianza della legge, su cui si basa uno Stato di diritto.

Uno Stato di diritto che non deve sentire alla prima "occasione di minaccia", l'opportunistica esigenza, la necessità di ricorrere al diritto penale, ma deve poter essere in grado di sanare gli illeciti senza la forza penalistica, attraverso la 'persuasione educativa', forza educativa da ancorare in modo stabile ad una nuova visione e struttura del diritto penale.

Un "recupero educativo", che parta da una reale prevenzione dei delitti attraverso una rete stabile tra tutte le istituzioni, attraverso una solida saldatura tra tutte le forze sociali.

In un'ottica pedagogica incisiva sulla 'soglia del reati', sul 'terreno della prevenzione" dei reati.

Un diritto penale che sappia distinguere alla radice, alla base della stessa fattispecie l'autentica necessità di attivarsi ed individuare quindi già nelle stesse fattispecie la reale gravità dei delitti, per non ricorrere a se stesso in modo superfluo e per essere netto invece in tutti quei casi in cui ci si aspetta un concreto intervento, nei casi in cui la forza criminale si abbatte sui più deboli perché trova spazio nei labirinti nascosti del tessuto sociale 'fuori controllo' .

Perché richiamando ancora le parole di Montesqueu: "Gli uomini sono come le piante, che non crescono mai rigogliose , se non sono ben coltivate".

Evitare punizioni afflittive che non generano cambiamenti in avanti, ma maggiormente rafforzano per lo più la brutalità delle condizioni di emarginazione, di rifiuto sociale, di regressione come "destino prescritto" .

Verso quindi una nuova concezione del diritto penale: per l'attuazione di un "diritto penale altro", per un diritto penale pedagogico capace di avere un assetto diverso, capace di strutturare anche una nuova conformazione della pena detentiva - senza paura - anche per un reale e concreto ricorso residuale al diritto penale stesso.

Solo attraverso la concezione di un diritto penale di altro carattere, di altra natura si può davvero attuare la funzione della sanzione penale, della pena in un'altra prospettiva, rivalutarla in una vera ottica rieducativa, di reinserimento sociale. Dove la pena non resta un marchio indelebile, senza alternativa di sorta, senza possibilità di riscatto ad una "condizione di origine".

Un'ottica educativa, rieducativa, pedagogica appunto che deve subentrare già nella sfera preventiva dei reati.

Evitare che la detenzione - nel 'cestino umano del carcere' - sia l'unica soluzione possibile alla repressione dei crimini. Deve essere possibile un'altra idea del carcere. Della pena.

Solo attraverso un rinnovamento della concezione della pena e della norma penale si può concretizzare un 'nuovo tempo', "un nuovo spazio" del diritto penale

Solo attraverso un diritto 'penale elevato' di 'altra statura' si possono davvero affermare in concreto il principio liberale, i valori illuministici; si può concretizzare il concetto di sussidiarietà, principio che respinge il ricorso alla norma penale in tutti qui casi in cui non c'è concreto, specifico bisogno di ricorrere alla punizione estrema.

Punizione estrema comunque non condizionata, libera, senza eco di vendetta,senza lex talionis (come fosse un "regolamento dei conti"); ma al contrario sentire il richiamo di una giustizia nel solo senso in cui può essere intesa, orientata al rispetto dei valori e della dignità umana: una giustizia semplicemente giusta.

Ancora non è possibile - forse - attuare un'idea di una nuova cultura sociale se la stessa non è concepita, non è riconosciuta dall'intera collettività; perchè il tempo storico attuale ancora non restituisce nell'immaginario collettivo, la visione di una società mutata attraverso il progresso culturale, tecnologico, scientifico - forse la società ancora non è pronta per attuare una nuova 'forma' di se stessa, una nuova storia, un 'nuovo tempo' del diritto penale. Un "nuovo mondo" del diritto penale.

Ma - forse - si può evitare che si faccia ancora un richiamo inadeguato alla parte più retrograda di esso. Si può - forse - evitare una regressione rovinosa attraverso le 'incriminazioni selvagge' per tutti quei reati di cui sono molto spesso 'vittime' anche gli stessi autori, reati generati dalla precarietà, instabilità, problematicità delle condizioni economiche e sociali; ristrettezze economiche croniche che condizionano lo stesso sviluppo della dignità umana e condannano - prima della legge - i soggetti esposti a tale vulnerabilità ad una vita ai margini; protagonisti e allo stesso tempo vittime dell' "illegalità di strada".

Concentrare invece la forza deterrente del diritto penale - evitando fattispecie a maglie larghe inidonee a contrastare "le nuove forme di criminalità dell'alta economia", che generano 'prevaricazione economica", di chi delinque con la ferocia dei soprusi anche attraverso le forme associative, di nuovo restauro, al fine di attuare un "potere parallelo" basato su un'"economia di abbienza estrema', di prevaricazione economica.

Un diritto positivo che non può restare spettatore di se stesso, succube di allarmismi momentanei, che colgono solo l'onda delle emozioni, ma che nella realtà non tutelano, non mettono al sicuro i più deboli, ovvero quei cittadini, quei soggetti realmente più esposti alla violenza perché senza mezzo alcuno per farvi fronte. Perché senza quel minimo di dignità economica indispensabile.

Il diritto penale è ormai "stanco" di strumentalizzazioni; e necessita quindi di una nuova energia capace di renderlo 'fonte di se stesso', capace quindi di elevarlo a promotore e precursore di cambiamenti evolutivi, senza sguardi contaminati, privi di obiettività. Per evitare di ottenere solo un progresso labile, formale, senza forza. Senza struttura portante. Destinato a regredire. Destinato ad essere solo un insieme di norme punitive, di minacciose sanzioni dall'efficacia sporadica che non garantiscono poi di fatto - e ciò risulta dai dati concreti - nemmeno la riduzione della ripetizione dei crimini, della recidiva. E quindi un diritto penale senza futuro.

Dare al diritto penale una potenza educativa da ormeggiare in modo stabile ad una "nuova concezione" del diritto penale stesso.

Concludendo - ancora con le parole innovative di Montesqueu - "Le leggi inutili indeboliscono quelle necessarie".

Edificando nuovi reati si dà luogo soltanto ad un lavoro di "edilizia giuridica" senza fondamenta. Un'edilizia priva di pilastri portanti della ratio del principio di legalità in generale; e più nello specifico del principio di sussidiarietà oltre a far venir meno anche quello di tassatività e determinatezza.

Perde di tassatività e determinatezza la legge penale, ogni volta che nuove fattispecie si sovrappongono alle precedenti, dando luogo ad una confusione anche terminologica, dalla prescrizione poco chiara, poco significativa - che indebolisce il principio di legalità nelle sua accezione più elevata.

Aumentando la stazza del codice penale si genera solo un codice penale in overbooking, al completo, saturo.

Un diritto penale burocrate che priva di conseguenza anche la sua sanzione della finalità general e special preventiva: la minaccia della sanzione come prevenzione ma anche la sanzione tesa alla rieducazione. Una finalità deterrente che deve rappresentare ed includere in se anche la rieducazione attraverso una reale rete di cooperazione tra tutte le istituzioni deputate alla formazione, all'istruzione, al trasferimento dei valori e all'acquisizione delle conoscenze e competenze umane.

Soltanto in questa visione il diritto penale può auspicare ad una reale evoluzione in avanti, trainante, per lo sviluppo e il progresso della società civile. Un diritto penale futuristico attraverso il binario pedagogico.

È necessario allontanarsi dalla risposta della 'scenografia ad effetto del crimine', cui spesso viene condotto il diritto penale.

Una risposta scenica da set cinematografico all'illecito senza aver effettuato sul crimine stesso una verifica sociale, antropologica, e un approccio di reale risoluzione al problema.

Si rischia in questo modo di indebolire davvero l'efficacia persuasiva della sanzione penale, seminandola "ad ogni circostanza". Con il pericolo di trasformare il codice penale in un paludoso terreno da cui poi sarà difficile uscire.

Richiamare invece la massima sinergia tra i tutti settori deputati alla "crescita civile"; e non sovraccaricare di responsabilità ulteriori il diritto penale.

Ciò potrà permettere anche ad altre branche del diritto di mutare, di evolversi senza il timore del mutamento. Perché il diritto positivo deve seguire il progressivo divenire sociale, senza restare legato a cardini arrugginiti ormai da sostituire, e senza disattendere il continuo evolversi sociale, nel reale rispetto della natura umana, relegando, impiegando il diritto penale solo sulla superficie dell' extrema ratio.

Se si potesse tracciare una traiettoria immaginaria "lungo la linea del tempo del futuro" vedremmo probabilmente molto di più di ciò che al momento riusciamo ad immaginare, come futuro appunto; al pari di come è impossibile identificarsi - passando lo sguardo su un passato ormai superato e lontano - con la maggior parte delle disposizioni dei codici precedenti del 1889 e del 1930.

Ma è proprio paragonando i tempi - passati e futuri - ripercorrendo l'asse del tempo - che si può percepire l'influenza del mutamento sociale, del progresso in generale maturato, anche dallo "spazio giuridico"; e quanto ancora si può conquistare proiettandoci in avanti per raggiungere davvero altri spazi e altre estensioni per manifestare quei sentimenti e quei valori di umanità senza condizionamenti retrivi, ma in una continua 'ricerca libera" da mettere in pratica per migliore la convivenza sociale, che non può prescindere dal benessere di ogni singolo individuo.

Deve essere possibile, deve potersi attuare un "diritto penale altro", all'avanguardia, futuristico - pedagogico - che sappia cogliere i tempi e svilupparli verso l'opportunità di una evoluzione reale - e non solo formale - capace di apportare un contributo sostanziale, per una "nuova società civile", più equa. Semplicemente più giusta.


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