- L'art. 44 del TUIR
- Plusvalenze e minusvalenze
- I dividendi e la loro tassazione
- Il punto della giurisprudenza
- Conclusioni
L'art. 44 del TUIR
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Particolare, attenzione vogliamo dedicare alla cessione degli strumenti finanziari menzionati nella lettera A del comma 2 dell'art. 44 del dpr 917/1986, quando questi strumenti non rappresentano una partecipazione del patrimonio.
L'articolo 44 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) disciplina la tassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria. In particolare, il comma 2, lettera a) dell'articolo 44, si riferisce agli strumenti finanziari che sono assimilati alle azioni, ma che rappresentano una partecipazione al patrimonio della società emittente.
Gli strumenti finanziari non partecipativi sono titoli emessi da società che non conferiscono al possessore diritti di partecipazione al capitale sociale, ma possono comunque offrire una remunerazione legata ai risultati economici della società emittente o di altre società del gruppo. Questi strumenti possono includere, ad esempio, obbligazioni convertibili, strumenti ibridi o altri titoli di debito che non danno diritto a partecipare agli utili o al patrimonio netto della società. La cessione di questi strumenti finanziari implica il trasferimento della proprietà degli stessi da un soggetto a un altro. Quando questi strumenti non rappresentano una partecipazione al patrimonio, la loro cessione può generare plusvalenze o minusvalenze che sono soggette a tassazione secondo le norme previste per i redditi diversi di natura finanziaria.
Plusvalenze e minusvalenze
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La plusvalenza è il guadagno che si realizza quando si vende un bene (come azioni, obbligazioni, immobili, ecc.) a un prezzo superiore a quello di acquisto. In altre parole, è la differenza positiva tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto del bene. La minusvalenza, al contrario, rappresenta la differenza negativa tra il valore di acquisto e il valore di vendita di un bene o di un titolo.
Le plusvalenze derivanti dalla cessione di strumenti finanziari non partecipativi sono generalmente tassate come redditi diversi. Questo significa che il guadagno realizzato dalla vendita di tali strumenti è soggetto a imposta sul reddito delle persone fisiche o delle società, a seconda del soggetto cedente. Le minusvalenze, invece, possono essere utilizzate per compensare altre plusvalenze di natura finanziaria, riducendo così l'imponibile complessivo.
Supponiamo che un investitore possieda obbligazioni convertibili emesse da una società e decida di venderle prima della scadenza. Se il prezzo di vendita è superiore al prezzo di acquisto, l'investitore realizza una plusvalenza che sarà soggetta a tassazione come reddito diverso. Se invece il prezzo di vendita è inferiore al prezzo di acquisto, l'investitore realizza una minusvalenza che potrà essere compensata con altre plusvalenze finanziarie.
Un esempio pratico può aiutare a chiarire meglio il concetto:
Immaginiamo che Mario possieda delle obbligazioni convertibili emesse dalla Società XYZ. Queste obbligazioni non conferiscono a Mario alcun diritto di partecipazione al capitale sociale della Società XYZ, ma gli garantiscono un interesse annuale.
Dettagli dell'Investimento:
- Prezzo di acquisto delle obbligazioni: €10.000
- Interesse annuale: 5%
- Durata dell'investimento: 3 anni
Dopo 3 anni, Mario decide di vendere le obbligazioni. Durante questo periodo, il valore di mercato delle obbligazioni è aumentato grazie alla buona performance della Società XYZ.
Dettagli della Vendita:
- Prezzo di vendita delle obbligazioni: €12.000
Calcolo della Plusvalenza
Mario ha acquistato le obbligazioni per €10.000 e le ha vendute per €12.000. La differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto rappresenta la plusvalenza.
- Plusvalenza: €12.000 - €10.000 = €2.000
Implicazioni Fiscali
La plusvalenza di €2.000 realizzata da Mario sarà soggetta a tassazione come reddito diverso di natura finanziaria. Supponiamo che l'aliquota fiscale applicabile sia del 26%.
Imposta sulla plusvalenza: €2.000 * 26% = €520
Quindi, Mario dovrà pagare €520 di imposte sulla plusvalenza realizzata dalla vendita delle obbligazioni.
In questo esempio, Mario ha realizzato una plusvalenza dalla cessione di strumenti finanziari (obbligazioni convertibili) che non rappresentano una partecipazione al patrimonio della Società XYZ. La plusvalenza è stata tassata come reddito diverso, e Mario ha dovuto pagare le imposte corrispondenti.
Cosa sarebbe successo se Mario avesse acquistato azioni, invece di obbligazioni" In questo caso, la situazione sarebbe un po' diversa. Le azioni rappresentano una partecipazione al capitale sociale della società emittente; quindi, Mario diventerebbe un azionista della Società XYZ.
Dettagli dell'Investimento:
- Prezzo di acquisto delle azioni: €10.000
- Numero di azioni acquistate: 100 (supponendo un prezzo di €100 per azione)
- Dividendo annuale per azione: €5
Dopo 3 anni, il valore di mercato delle azioni è aumentato grazie alla buona performance della Società XYZ.
Dettagli della Vendita:
- Prezzo di vendita delle azioni: €150 per azione
- Valore totale delle azioni vendute: 100 azioni * €150 = €15.000
Calcolo della Plusvalenza
Mario ha acquistato le azioni per €10.000 e le ha vendute per €15.000. La differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto rappresenta la plusvalenza.
- Plusvalenza: €15.000 - €10.000 = €5.000
Implicazioni Fiscali
La plusvalenza di €5.000 realizzata da Mario sarà soggetta a tassazione come reddito di capitale. Supponiamo che l'aliquota fiscale applicabile sia del 26%.
- Imposta sulla plusvalenza: €5.000 * 26% = €1.300
Quindi, Mario dovrà pagare €1.300 di imposte sulla plusvalenza realizzata dalla vendita delle azioni. Inoltre, durante i 3 anni in cui Mario ha posseduto le azioni, ha ricevuto dividendi annuali di €5 per azione.
- Dividendi annuali totali: 100 azioni * €5 = €500 all'anno
- Dividendi totali in 3 anni: €500 * 3 = €1.500
Anche i dividendi sono soggetti a tassazione come reddito di capitale, con un'aliquota del 26%.
- Imposta sui dividendi: €1.500 * 26% = €390
Se ne può concludere, in questo esempio, che Mario ha realizzato una plusvalenza dalla cessione delle azioni e ha anche ricevuto dividendi annuali; entrambi i redditi sono soggetti a tassazione come redditi di capitale, e Mario dovrà pagare le imposte corrispondenti.
I dividendi e la loro tassazione
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I dividendi sono una porzione degli utili di una società che viene distribuita ai suoi azionisti, ovverosia rappresentano una forma di remunerazione per gli investitori che hanno acquistato azioni della società. La distribuzione dei dividendi non è garantita e dipende dalla redditività della società e dalle decisioni del consiglio di amministrazione. Anche i dividendi rientrano nella più ampia categoria dei redditi di capitale.
Parlando di dividendi è possibile distinguere tra tre tipologie: in contanti (cash dividend), azionario (stock dividend) e in natura (dividend in kind).
I dividendi in contanti, sono il tipo di dividendo più comune, si tratta di pagamenti effettuati da una società ai suoi azionisti sotto forma di denaro. In questo caso la quota di profitto viene versata direttamente sul conto dell'azionista, fornendogli un reddito immediato.
Esempio: Se si possiede 100 azioni di una società che paga un dividendo di €2 per azione, si riceverà €200 in contanti.
I dividendi azionari, invece, sono pagamenti effettuati sotto forma di azioni aggiuntive della società. Invece di ricevere denaro, gli azionisti ricevono un numero proporzionale di azioni aggiuntive. «Questo può essere un vantaggio, soprattutto nel caso di dividendi esteri, perché a differenza dei dividendi in contanti, qui non è dovuta alcuna ritenuta alla fonte. Il tipo di dividendo viene solitamente deciso dalla società, non dall'investitore» (Cosa sono i dividendi" da Scalable-capital).
Esempio: Se si possiede 100 azioni di una società e la società dichiara un dividendo azionario del 10%, si riceveranno 10 azioni aggiuntive, portando il totale delle azioni a 110.
Nel caso dei dividendi in natura, invece, «si ricevono dall'azienda beni diversi dai contanti, come, ad esempio, prodotti dell'azienda. Un esempio noto è il dividendo in natura di Lindt & Sprüngli: una valigia piena di tavolette di cioccolato e cioccolatini» (Cosa sono i dividendi" da Scalable.capital).
Per quanto attiene la loro disciplina fiscale, i dividendi in contanti sono generalmente tassati come reddito nell'anno in cui vengono ricevuti. Questo significa che gli azionisti devono pagare le imposte sui dividendi ricevuti nello stesso anno fiscale. L'aliquota fiscale standard per i dividendi in contanti è dal 2018 del 26%. La base imponibile è il dividendo lordo, senza deduzioni. Se i dividendi provengono da partecipazioni qualificate (possesso superiore al 20% delle azioni di una società non quotata o al 2% nel caso di società quotate), solo il 58,14% del dividendo è soggetto a tassazione, mentre il restante 41,86% è esente.
I dividendi azionari, invece, non sono tassati immediatamente. Poiché gli azionisti ricevono azioni aggiuntive anziché denaro, la tassazione avviene solo quando queste vengono vendute. Quando le azioni aggiuntive vengono vendute, il guadagno realizzato è tassato come plusvalenza. Le plusvalenze sono generalmente tassate al 26%, ma possono beneficiare di esenzioni o aliquote ridotte in determinate circostanze. I dividendi azionari, quindi, possono offrire un vantaggio fiscale significativo perché spesso (ma non sempre) non sono tassati fino a quando le azioni aggiuntive non vengono vendute. Questo permette agli azionisti di differire il pagamento delle imposte. Quando le azioni aggiuntive vengono vendute, possono essere tassate come plusvalenze, che in alcune giurisdizioni possono avere un'aliquota fiscale inferiore rispetto ai redditi ordinari.
Così, gli investitori che si trovano in una fascia fiscale elevata potrebbero preferire i dividendi azionari per differire il pagamento delle imposte e potenzialmente beneficiare di aliquote fiscali più basse sulle plusvalenze. I dividendi in contanti, d'altro canto, forniscono liquidità immediata, che può essere utile per gli investitori che necessitano di un flusso di cassa regolare.
All'estero, invece, la legislazione è talvolta molto diversa dalla nostra, portando a diverse considerazioni sui vantaggi dei rispettivi dividendi.
In Germania, ad esempio i dividendi sono tassati come reddito di capitale con un'aliquota fiscale standard del 25%. La società che distribuisce i dividendi trattiene l'imposta alla fonte; quindi, l'importo che l'azionista riceve è già al netto delle imposte. A questo si unisce la «la solidarity tax che aggiunge un ulteriore 5.5% sulla tassa dovuta, portando l'aliquota effettiva a circa 26.375%. Questo significa che per un dividendo di 100€, un investitore italiano riceverà 74€ netti, mentre uno tedesco, considerando anche la solidarity tax, riceverà circa 73.63€. Questa differenza, seppur minima in termini assoluti, può accumularsi significativamente nel tempo, specialmente per investimenti di grandi dimensioni o a lungo termine. Pertanto, è fondamentale per gli investitori considerare l'impatto della tassazione sui dividendi quando valutano le opzioni di investimento in diversi mercati» (Tassa sui dividendi, da Corriere della sera).
In Francia, invece, i sono tassati ad un'aliquota fiscale complessiva del 30%, che include un'imposta sul reddito del 12,8% e contributi sociali del 17,2%. Questa aliquota è calcolata dul dividendo lordo. Inoltre, In Francia, questa aliquota si applica solo ai soggetti residenti, con ritenuta alla fonte. I dividendi percepiti da soggetti non residenti sono tassati al 12,8%. Se i dividendi, infine, sono pagati a soggetti residenti in paesi o territori non cooperativi, l'aliquota può salire fino al 75%.
Il punto della giurisprudenza
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Avendo affrontato il tema della tassazione dei dividendi, in Italia e all'estero, non può non farsi menzione di una delle più recenti e significative novità in materia fiscale: l'addio (si spera) alla doppia imposizione.
Una delle questioni più complicate che i contribuenti titolari di redditi di capitali si trovano periodicamente ad affrontare in sede di dichiarazione è quella della doppia imposizione, che sovente sono costretti a subire a causa dell'attuale assetto normativo in tema di tassazione dei dividendi esteri percepiti senza l'intervento di un intermediario.
Finora, infatti, quanto ricavato da investimenti internazionali veniva dapprima tassato nel Paese estero, raggiungendo percentuali anche significative come il 35% in Svizzera, 30% in Usa e in Belgio e 26,375% in Germania che abbiamo evidenziato pocanzi, dopodiché subiva un'ulteriore imposizione in Italia.
L'Agenzia delle Entrate, d'altronde, «fornendo un'interpretazione molto restrittiva delle disposizioni di cui all'art. 27 del Dpr n. 600/73, ha sempre negato la possibilità di portare in detrazione l'ammontare dell'imposta estera pagata nello Stato alla fonte, riconoscendo tale eventualità solo allorquando nell'incasso del dividendo intervenisse un intermediario residente in veste di sostituto d'imposta».
Sulla questione, tuttavia, è intervenuta la suprema Corte di Cassazione in ben due circostanze:
· la sentenza n. 25698 del 1° settembre 2022, ha statuito che «per i redditi di capitale di fonte estera, direttamente percepiti dal contribuente, persona fisica, titolare di una partecipazione non qualificata in una partnership di diritto internazionale (nel caso, statunitense), qualora l'assoggettamento a imposizione mediante ritenuta a titolo d'imposta - come nell'ipotesi di cui all'articolo 27, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, o mediante imposta sostitutiva, del tutto sovrapponibile alla prima in ragione dell'identità di funzione, di cui all'articolo 18, comma 1, del D.P.R. n. 917 del 1986 - avvenga non «su richiesta del beneficiano del reddito» ma obbligatoriamente, non potendo il contribuente chiedere l'imposizione ordinaria, l'imposta sul reddito pagata in un Paese estero (nel caso, Stati Uniti d'America) si deve considerare detraibile».
· la sentenza 10204/2024 ha rafforzato l'orientamento già emerso con la pronuncia del 2022, affermando che il contribuente titolare di redditi di capitali ha diritto di scomputare l'imposta estera sui dividendi, anche nel caso in cui gli stessi siano tassati in Italia «in capo alle persone fisiche con ritenuta a titolo d'imposta» (Istanze alle Entrate per il rimborso dell'imposta estera sui dividendi da ETEKNE Formazione).
La Corte di Cassazione, pertanto, ha già riconosciuto la possibilità di scomputare l'imposta subita all'estero, parificando i contribuenti che per l'incasso dei dividendi utilizzano o meno un intermediario residente, eliminando così la diseguaglianza ingiustamente creatasi nel nostro ordinamento tributario. L'intervento è, quindi, particolare importante, fornendo, inoltre, un'interpretazione dirimente delle Convenzioni contro le Doppie Imposizioni.
Bisogna notare, infine, che questo nuovo e auspicato orientamento ha già iniziato a consolidarsi in giurisprudenza. Anche le corti di merito hanno, invero, cominciato ad affermare il principio per cui debba riconoscersi alle persone fisiche residenti (e soggetti assimilati) il credito per le imposte pagate all'estero sui dividendi distribuiti da società estere.
Le ultimissime sentenze delle Corti di Giustizia Tributarie di Verona (n.423/2023) e di Siena (n.68/2024), «hanno aperto le porte alla presentazione di istanze di rimborso all'Agenzia delle Entrate, per tutti i dividendi e le cedole percepiti dagli investitori che abbiano subito una doppia imposizione dei dividendi o degli interessi: una prima imposizione all'estero tramite l'applicazione della ritenuta nel Paese straniero ed una successiva in Italia tramite ritenuta a titolo d'imposta e/o imposta sostitutiva» (Imposta sui dividendi da Il sole 24 ore).
Conclusioni
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La tassazione dei redditi di capitale è una materia vasta e colma di insidie, anche per gli esperti della materia, stante l'intersecarsi di normative in constante aggiornamento e spesso influenzate dalle convenzioni internazionali e dalla legislazione straniera. L'intervento della Cassazione, ci si augura, che abbia sopito almeno uno dei temi più caldi del settore, anche se, da più parti sembrerebbe confermata la volontà del legislatore italiano ad una modifica delle convenzioni bilaterali, nel tentativo di non perdere miliardi di euro di gettito che fino ad ora hanno inondato l'Erario.
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