Il Consiglio Nazionale Forense chiarisce che tale condotta integra un grave illecito disciplinare che arreca pregiudizio all'intero ceto forense


"Costituisce (anche) grave illecito disciplinare, perché lede i principi di dignità, probità e decoro (art. 9 cdf) con conseguente pregiudizio per l'immagine e la dignità dell'intero ceto forense, il comportamento dell'avvocato che minacci di morte una persona e i suoi tre figli (nella specie, mediante l'asserito intervento della criminalità organizzata internazionale)". Così il Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 166/2024 pubblicata l'1 ottobre sul sito del Codice deontologico.

Nella vicenda, il legale veniva sanzionato dal CDD di Napoli con la sospensione dalla professione per due anni a seguito di diversi procedimenti disciplinari riuniti, che lo riconoscevano colpevole di aver reiterato minacce di morte all'ex convivente e ai suoi figli, persino con il ricorso alla criminalità organizzata internazionale per attuare l'intento omicidiario, dopo che la donna aveva si era resa indisponibile a proseguire la relazione affettiva con il ricorrente, essendosi riconciliata con il marito.

L'avvocato in ultima istanza assumeva che le frasi rivolte alla ex erano motivate da una grave propria alterazione dello spirito, non controllata e dovevano esser riferite ad un ambito strettamente privato, nel quale non poteva esser oggetto di scrutinio di contenuto deontologico forense.


Per il CNF, però, la tesi non può esser condivisa in quanto, come affermato nella decisione della Corte di Cassazione (ordinanza n. 17115 del 11.7.2017) "il nuovo Codice Deontologico Forense è informato al principio della tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante e delle relative sanzioni, 'per quanto possibile' (art. 3, co. 3, L. 247/2012), poiché la variegata e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti (anche della vita privata) costituenti illecito disciplinare non ne consente una individuazione dettagliata, tassativa e non meramente esemplificativa". Conseguentemente, "la mancata descrizione di uno o più comportamenti e della relativa sanzione non genera l'immunità, giacché è comunque possibile contestare l'illecito anche sulla base della citata norma di chiusura, secondo cui "la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza".


Per cui, confermata in toto la sentenza disciplinare, il CNF, tuttavia, tenuto nel debito conto la gravità della condotta, decideva di pervenire ad una mitigazione della complessiva sanzione "che deve essere in ogni caso interdittiva ma contenuta in un anno di sospensione dall'esercizio professionale".


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