In virtù del principio del ne bis in idem nessuno può essere sottoposto più volte ad un processo, per il medesimo fatto, a seguito di una sentenza passata in giudicato, sia che questa sia di condanna o assoluzione

La CEDU dovrebbe garantire i diritti della persona, tra i quali rientra la ragionevole durata del processo. Purtroppo, spesso la durata di questi processi supera i dieci anni, rendendo pietosa la gestione di una amministrazione di garanzia che nasce con lo scopo della difesa dei diritti umani, tra i quali rientra, anche, la ragionevole durata del processo.


In virtù del principio del ne bis in idem nessuno può essere sottoposto più volte ad un processo, per il medesimo fatto, a seguito di una sentenza passata in giudicato, sia che questa sia di condanna o assoluzione.

Al fine di inquadrare correttamente detto principio, non può prescindersi dall'analisi della direttiva 2003/6/CE, recepita con la legge 18 aprile 2005, n. 62. «Attraverso questa legge, il legislatore italiano ha sostituito l'intero Capo IV del Testo Unico della Finanza, sugli "Abusi di informazioni privilegiate e aggiotaggio su strumenti finanziari", comprendente gli articoli da 180 a 187-bis, creando un acceso dibattito dottrinale sulle conseguenze del "delicato equilibrio di diritto positivo" tra illeciti penali e amministrativi ivi introdotti, generando un sistema sanzionatorio a "doppio binario", definito "ipermuscolare ed efficientista"» ("Principio del ne bis in idem: la giurisprudenza della CEDU, da Altalex). La legge ha affiancato fattispecie penali, come gli articoli 184 e 185 e amministrative, come gli articoli 187-bis e 187-ter, «le quali condividono una "coincidenza oggettiva pressoché completa", portando quindi a un sistema sanzionatorio cumulativo tra sanzioni penali e amministrative» (MAZZACUVA da Diritto penale dell'economia).

La sentenza Grande Stevens

Il sistema è stato esaminato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso Grande Stevens e altri contro Italia. Il 4 marzo 2014, la Corte di Strasburgo ha dovuto decidere se l'Italia avesse violato l'articolo 4, protocollo 7, che riguarda il diritto di non essere giudicato o punito due volte. L'Italia aveva accettato questo articolo con riserva, applicandolo solo ai procedimenti formalmente penali.

I ricorrenti erano stati multati dalla Consob, secondo l'articolo 187-ter del Testo Unico della Finanza, con sanzioni amministrative di diversi milioni di euro. Nonostante la conclusione del processo amministrativo, sono stati condannati penalmente per il reato previsto dall'articolo 185 dello stesso testo. La Corte EDU ha riconosciuto che l'articolo 187-ter, pur essendo formalmente amministrativo, è sostanzialmente penale, sovrapponendosi all'articolo 185. Riconosciuta la natura penale dell'illecito, sono state applicate le garanzie del diritto penale, compreso il diritto a un giusto processo. Di conseguenza, l'Italia è stata condannata per violazione dell'articolo 6 CEDU, poiché non è stata celebrata un'udienza pubblica davanti alla Corte d'appello.

Un'altra conseguenza del riconoscimento della natura penale è stata la violazione del principio del ne bis in idem. La Corte ha rilevato due procedimenti distinti per la stessa condotta, violando l'articolo 4 protocollo 7 e dichiarando invalida la riserva dell'Italia per violazione dell'articolo 57 CEDU, poiché "generale e vaga".

Lo Stato è stato quindi condannato a rimuovere la violazione. La Corte ha bocciato il sistema del doppio binario concepito dal legislatore italiano, ritenendolo lesivo del principio del ne bis in idem ("Principio del ne bis in idem: la giurisprudenza della CEDU - Altalex").

I criteri Engel e l'evoluzione successiva

La vicenda Grande Stevens non è altro che il prodotto di un'evoluzione giurisprudenziale, ancora in essere, ad opera della Corte EDU, sul principio del ne bis in idem, iniziata già con l'ampliarsi del concetto di materia penale, avvenuto con la sentenza Engel e altri contro Paesi Bassi, ad opera della Grande Camera, in data 8 giugno 1976. In questa sentenza, la corte stabilisce tre criteri, attraverso i quali poter determinare quali misure hanno natura sostanzialmente penale e, come tali, fanno discendere in capo alle parti le garanzie connesse. Tali criteri, che nella causa Engel vengono riferiti all'ambito del diritto militare, sono resi criteri generali e consolidati dalla giurisprudenza della stessa Corte nella sentenza Öztürk contro Germania del 21 febbraio 1984. ("Principio del ne bis in idem: la giurisprudenza della CEDU - Altalex") Tali sono: la qualificazione giuridica interna, secondo la quale "occorre anzitutto sapere se le previsioni che definiscono l'illecito in questione appartengono, secondo il sistema legale dello Stato resistente, alla sfera del diritto penale, disciplinare o entrambi assieme"; la natura dell'illecito e la funzione del conseguente provvedimento previsto, che deve essere applicabile in modo generale e avere scopo preventivo e repressivo; in ultimo, la gravità della sanzione, che non deve necessariamente essere privativa della libertà personale, come confermato in successive sentenze (Cfr. A e B contro Norvegia, Grande Camera, 15.11.2016; Johannesson contro Islanda, 18.5.2017).

La Grande Camera conferma, nell'udienza del 23 novembre 2006, Jussila contro Finlandia, l'orientamento secondo cui questi criteri, essendo generali, vanno applicati in qualsiasi campo, escludendone applicabilità settoriale, e ribadisce che questi sono alternativi e non cumulativi. Questa applicazione ampia della materia penale ha portato, nella sentenza Zolotoukhine contro Russia, Grande Camera, del 10 febbraio 2009: il ricorrente veniva condannato a tre giorni di detenzione amministrativa per disturbo all'ordine pubblico; in seguito, veniva aperta un'ulteriore procedura penale per turbativa all'ordine pubblico ed oltraggio, dove venne assolto dal primo reato, i cui fatti coincidevano con l'illecito amministrativo, e condannato per il secondo.

La Corte EDU, in questa causa, riconosce l'applicazione dei criteri Engel anche all'articolo 4 protocollo 7, che il ricorrente vedeva violato: la corte riconosce un idem factum, nell'eccezione delineata dalla sentenza Gradinger del 1995, che abbraccia un criterio naturalistico, secondo il quale un fatto naturale non può essere posto a fondamento di due procedimenti, e ravvisa, pertanto, una violazione dell'articolo 4 protocollo 7, nonostante il ricorrente non fu condannato, sottolineando come il principio del ne bis in idem vieta un procedimento, non una doppia condanna.

Gli ultimi arresti della Corte EDU

L'evoluzione del principio del ne bis in idem continuò con le conseguenze già citate della sentenza Grande Stevens, ma subì un forte passo indietro con la successiva sentenza della Grande Camera sul caso A e B contro Norvegia del 15 novembre 2016: la Corte norvegese non vedeva violazione dell'articolo 4 protocollo 7, in quanto i procedimenti penale ed amministrativo, ai quali i ricorrenti erano stati sottoposti, avevano una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta e quindi erano parte di un'unica reazione sanzionatoria. La Corte EDU conferma tale orientamento, riconoscendo discrezionalità degli stati nel determinare come garantire il principio: non si può, pertanto, ad oggi escludere a priori il doppio binario, bisogna piuttosto individuare elementi per capire se esiste o meno la stretta connessione.

"Questa viene valutata alla luce di quattro principi, che sono attualmente l'ultimo stadio dell'evoluzione giurisprudenziale del principio, come confermato anche in successive sentenze (Cfr." ("Principio del ne bis in idem: la giurisprudenza della CEDU - Altalex") Johannesson contro Islanda, 18.5.2017; Mihalace contro Romania, Grande Camera, 8.7.2019): se c'è differenza degli scopi dei procedimenti e diversità dei profili della medesima condotta in oggetto; se fosse prevedibile, in conseguenza alla condotta illecita, la duplicità di procedimenti; se i procedimenti sono condotti evitando duplicazione nella raccolta e valutazione delle prove; se la sanzione del primo procedimento viene tenuta in conto durante il secondo, garantendo proporzionalità della pena.

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) ha stabilito diversi principi fondamentali per la tutela dei diritti umani. Ecco alcuni dei principali:

1. Equo processo (Articolo 6 CEDU): Questo principio garantisce che ogni persona abbia diritto a un processo equo, pubblico e in un termine ragionevole davanti a un tribunale indipendente e imparziale. Include anche la presunzione di innocenza e le garanzie processuali per l'imputato.

2. Diritto alla vita (Articolo 2 CEDU): Protegge il diritto alla vita di ogni individuo, vietando la pena di morte e imponendo agli Stati l'obbligo di proteggere la vita delle persone sotto la loro giurisdizione.

3. Divieto di tortura (Articolo 3 CEDU): Proibisce la tortura e le pene o trattamenti inumani o degradanti.

4. Diritto alla libertà e alla sicurezza (Articolo 5 CEDU): Garantisce che nessuno possa essere privato della libertà se non in conformità con le procedure legali stabilite.

5. Rispetto della vita privata e familiare (Articolo 8 CEDU): Protegge il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza.

6. Libertà di pensiero, coscienza e religione (Articolo 9 CEDU): Garantisce la libertà di pensiero, coscienza e religione, compresa la libertà di cambiare religione o credo e la libertà di manifestare la propria religione o credo.

7. Libertà di espressione (Articolo 10 CEDU): Protegge il diritto alla libertà di espressione, compresa la libertà di opinione e la libertà di ricevere e diffondere informazioni e idee senza interferenze da parte delle autorità pubbliche.

8. Divieto di discriminazione (Articolo 14 CEDU): Garantisce che i diritti e le libertà riconosciuti dalla Convenzione siano assicurati senza discriminazione alcuna, basata su sesso, razza, colore, lingua, religione, opinioni politiche o di altro genere, origine nazionale o sociale, appartenenza a una minoranza nazionale, ricchezza, nascita o altra condizione.

Quando uno Stato viola la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), ci sono diverse conseguenze:

1. Ricorso alla Corte EDU: Le persone i cui diritti sono stati violati possono presentare un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU). La Corte esamina il caso e, se ritiene che vi sia stata una violazione, emette una sentenza vincolante per lo Stato coinvolto.

2. Sentenza della Corte: Se la Corte EDU stabilisce che c'è stata una violazione, emette una sentenza che obbliga lo Stato a porre rimedio alla violazione. Questo può includere il pagamento di un risarcimento alla vittima e l'adozione di misure per prevenire future violazioni.

1. Obbligo di conformità: Gli Stati membri del Consiglio d'Europa sono obbligati a conformarsi alle sentenze della Corte EDU. Questo significa che devono adottare le misure necessarie per correggere la violazione e prevenire che si ripeta.

2. Supervisione del Comitato dei Ministri: L'esecuzione delle sentenze della Corte EDU è supervisionata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa. Questo organismo monitora se gli Stati stanno rispettando le decisioni della Corte e può adottare misure ulteriori se uno Stato non si conforma.

3. Impatto sulla reputazione internazionale: La mancata conformità alle sentenze della Corte EDU può danneggiare la reputazione internazionale di uno Stato e influenzare le sue relazioni diplomatiche con altri paesi.

4. Possibili sanzioni: In casi estremi, il Comitato dei Ministri può adottare misure sanzionatorie contro uno Stato che non rispetta le sentenze della Corte EDU, anche se queste misure sono rare.

Ecco alcuni esempi di casi famosi trattati dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU):

1. Dudgeon c. Regno Unito: Questo caso del 1981 ha riguardato la criminalizzazione dell'omosessualità in Irlanda del Nord. La Corte ha stabilito che la legge violava il diritto al rispetto della vita privata, portando alla depenalizzazione dell'omosessualità in Irlanda del Nord e in altri paesi.

2. Chowdury e altri c. Grecia: Questo caso del 2017 ha riguardato un gruppo di migranti impiegati come braccianti agricoli che furono aggrediti e feriti durante una sparatoria. La Corte ha riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni e ha portato all'adozione di misure giuridiche per prevenire il lavoro forzato.

3. Talpis c. Italia: Elisaveta Talpis aveva subito per anni i maltrattamenti del marito, che ha ucciso il figlio durante un episodio di violenza. La Corte ha riconosciuto il diritto al risarcimento e ha portato all'introduzione di misure per combattere la violenza domestica. La sentenza Talpis c. Italia è stata influenzata da diversi fattori chiave:

Prove di Violenza Domestica: Elisaveta Talpis ha fornito prove concrete dei maltrattamenti subiti, supportate da dati statistici che dimostrano come la violenza domestica colpisca principalmente le donne.

Inazione delle Autorità: Le autorità italiane non hanno preso misure adeguate a proteggere Elisaveta e suo figlio, nonostante fossero a conoscenza della condotta violenta del marito e della minaccia immediata che rappresentava.

Ritardi nelle Indagini: Le autorità hanno anche fallito nel prendere provvedimenti per indagare sulle denunce di Elisaveta in tempi ragionevoli.

4. Il caso Tagayeva e altri c. Russia riguardano l'attentato e l'assedio alla scuola di Beslan, avvenuto nel settembre 2004. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha riconosciuto ai familiari delle vittime il diritto a un risarcimento, evidenziando diverse violazioni da parte delle autorità russe, tra cui l'uso di forza letale indiscriminata e la mancanza di misure preventive adeguate:

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha riconosciuto ai familiari delle vittime il diritto a un risarcimento, evidenziando diverse violazioni da parte delle autorità russe, tra cui l'uso di forza letale indiscriminata e la mancanza di misure preventive adeguate.

Questa sentenza ha portato all'adozione di misure per migliorare la risposta delle autorità agli attentati terroristici, con l'obiettivo di prevenire future tragedie simili.

Questi casi dimostrano l'importanza della CEDU nel proteggere i diritti umani e nel promuovere riforme positive nei paesi membri.

5. Il caso Jabari c. Turchia riguarda Hoda Jabari, una cittadina iraniana che è fuggita in Turchia temendo di essere condannata per adulterio, un reato punibile con la lapidazione o la fustigazione secondo la legge islamica. Jabari è stata arrestata all'aeroporto di Istanbul per aver utilizzato un passaporto falso.

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha riconosciuto il diritto di Jabari a non essere espulsa in Iran, dove avrebbe rischiato trattamenti inumani e degradanti. Questa sentenza ha portato all'adozione di misure per migliorare la protezione dei richiedenti asilo in situazioni simili.

La sentenza di condanna può essere oggetto di revisione alle condizioni che seguono.

1. Presentazione dell'istanza: dopo la presentazione dell'istanza di revisione, il tribunale deve esaminare la richiesta e decidere se accoglierla. Questo può richiedere alcune settimane o mesi, a seconda del carico di lavoro del tribunale.

2. Segue la fase rescissoria: Se l'istanza viene accolta, la Corte di Appello revoca la sentenza di condanna e trasmette gli atti al giudice di primo grado. Questa fase può richiedere ulteriori settimane o mesi.

3. Segue la eventuale fase rescindente: Il giudice di primo grado riesamina il caso alla luce delle nuove prove o degli errori giudiziari emersi. Questa fase può richiedere diversi mesi, a seconda della complessità del caso e della disponibilità delle nuove prove.

In totale, il processo di revisione può durare da alcuni mesi a oltre un anno, a seconda delle circostanze specifiche del caso.

1. Richiesta revisione: la revisione può essere richiesta dal condannato, da un suo prossimo congiunto, dal tutore o rappresentante legale, oppure, se il condannato è morto, dagli eredi o dai parenti. Anche il procuratore generale presso la corte di appello nel cui distretto fu pronunciata la sentenza di condanna può richiedere la revisione.

2. Presentazione dell'istanza: L'istanza di revisione deve essere presentata presso la Corte di Appello del giudice che ha emesso la condanna. La richiesta deve indicare specificatamente le ragioni e le prove che la giustificano, ed essere accompagnata da eventuali atti e documenti.

3. Fasi del procedimento:

Ø Fase rescissoria: La Corte di Appello esamina l'istanza e, se la accoglie, revoca la sentenza di condanna e trasmette gli atti al giudice di primo grado ("Il Giudizio di revisione. Le nuove prove. Il caso trattato dallo Studio ...")

Ø Fase rescindente: Il giudice di primo grado riesamina il caso alla luce delle nuove prove o degli errori giudiziari emersi.

4. Motivi per la revisione: La revisione può essere richiesta in caso di:

incompatibilità dei fatti stabiliti a fondamento della sentenza con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile.

Ø Revoca di una sentenza del giudice civile o amministrativo che ha influenzato la condanna.

Ø Scoperta di nuove prove che dimostrano l'innocenza del condannato.

Errori giudiziari

Gli errori giudiziari possono portare alla riapertura di un caso attraverso la procedura di revisione. Ecco alcuni esempi di errori giudiziari che possono giustificare la riapertura di un caso:

1. Falsità in atti o in giudizio: Se si scopre che la condanna è stata pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio, come nel caso di un testimone che ha dichiarato il falso e che è stato riconosciuto colpevole di falsa testimonianza.

2. Nuove prove decisive: La scoperta di nuove prove che, da sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto. Ad esempio, un nuovo testimone o un documento che non era stato trovato durante il primo processo.

3. Errori procedurali: Errori commessi durante il processo che hanno influenzato il verdetto. Ad esempio, la mancata valutazione di prove rilevanti o la violazione dei diritti dell'imputato.

4. Sentenze contraddittorie: Se i fatti stabiliti a fondamento della condanna sono incompatibili con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile. Ad esempio, se una persona viene condannata per un reato per cui un'altra persona è già stata condannata come autore esclusivo.

5. Revoca di sentenze pregiudiziali: Se la condanna è stata basata su una sentenza del giudice civile o amministrativo successivamente revocata. Ad esempio, se una sentenza civile che stabilisce la proprietà di un terreno viene revocata, influenzando una condanna per invasione di terreni.

Questi sono solo alcuni esempi di come gli errori giudiziari possono portare alla riapertura di un caso.

Eccezione ne bis in idem

Il principio del ne bis in idem vieta che una persona venga processata o punita più di una volta per lo stesso fatto. Tuttavia, ci sono situazioni in cui questo principio può essere violato. Ecco alcuni esempi:

1. Sanzioni amministrative e penali cumulative: Un esempio classico è quando una persona viene sanzionata sia in sede amministrativa che penale per lo stesso comportamento. Questo è stato il caso nella sentenza Grande Stevens della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU), dove l'Italia è stata condannata per aver imposto sanzioni amministrative e penali per lo stesso fatto.

2. Procedimenti paralleli: Un'altra violazione può avvenire quando una persona è sottoposta a due procedimenti distinti per lo stesso fatto, uno amministrativo e uno penale, senza che vi sia una connessione sostanziale e temporale tra i due procedimenti. Questo è stato discusso nella sentenza A e B contro Norvegia.

3. Doppia incriminazione: La violazione può anche verificarsi quando una persona viene incriminata due volte per lo stesso reato, magari sotto diverse qualificazioni giuridiche. La Corte di Cassazione italiana ha chiarito che il principio del ne bis in idem vieta un secondo giudizio per lo stesso fatto storico, indipendentemente dalla qualificazione giuridica del reato.

Applicazioni nel diritto tributario

Il principio del ne bis in idem trova applicazione anche nell'ordinamento tributario. Questo principio vieta il doppio giudizio (concezione procedurale) o la doppia sanzione (concezione sostanziale) per lo stesso fatto. È volto a tutelare la libertà individuale, la vis rei iudicatae (cosa giudicata), e l'integrità patrimoniale dell'individuo.

La CGUE ha stabilito che l'applicabilità del principio della cumulabilità di sanzioni penali e tributarie dipende dalla natura delle sanzioni. Se queste ultime non hanno natura penale, possono essere cumulate. La sentenza Åkerberg Fransson del 2013 ha confermato la rilevanza di tre criteri per determinare la natura penale di una sanzione: la qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale, la natura dell'illecito, e il grado di severità della sanzione. La Cassazione italiana ha fornito linee guida per garantire il rispetto del principio del ne bis in idem e la proporzionalità della risposta sanzionatoria ai reati tributari. In particolare, ha affermato che in caso di sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale, il giudice deve commisurare la pena tenendo conto di quella già irrogata. (Dichiarazione infedele e divieto di bis in idem, da Giurisprudenza penale). La Corte costituzionale italiana ha sottolineato che il divieto di bis in idem opera quando è stata pronunciata una sentenza definitiva, anche se riguarda l'estinzione del reato per prescrizione.

Alcune eccezioni al principio del ne bis in idem:

1. Connessione sostanziale e temporale: La sentenza A e B contro Norvegia della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) ha stabilito che procedimenti penali e amministrativi con una connessione sostanziale e temporale stretta possono essere considerati parte di un'unica reazione sanzionatoria, non violando quindi il principio del né bis in idem.

2. Diversità delle parti: Nel diritto civile, il principio del ne bis in idem si applica solo se le parti coinvolte nel procedimento, la domanda giudiziale e i motivi dell'azione sono identici. Se le parti sono diverse, il principio non si applica.

3. Nuove prove o eventi: Se emergono nuove prove o eventi che non erano disponibili durante il primo giudizio, può essere possibile riaprire il caso senza violare il principio del né bis in idem.

Eccezioni previste dalla legge: L'art. 649 del codice di procedura penale italiano prevede eccezioni al principio del ne bis in idem, come specificato dagli artt. 69,2 e 345 c.p.p4.

Ecco alcuni esempi di nuove prove che hanno portato alla riapertura di casi giudiziari:

1. Nuovi testimoni: Un caso può essere riaperto se emergono nuovi testimoni che forniscono informazioni cruciali. Ad esempio, un testimone che non era disponibile durante il primo processo e che può fornire un alibi o altre informazioni decisive.

2. Prove scientifiche: La scoperta di nuove tecniche scientifiche può portare alla riapertura di un caso. Ad esempio, nuove metodologie di analisi del DNA che non erano disponibili al momento del primo processo possono dimostrare l'innocenza del condannato.

3. Documenti scoperti successivamente: La scoperta di documenti che non erano stati trovati o presentati durante il primo processo può giustificare la riapertura del caso. Ad esempio, un documento che prova l'innocenza del condannato o che fornisce nuove informazioni rilevanti.

4. Errori giudiziari: Se si scopre che la condanna è stata basata su prove false o su errori giudiziari, il caso può essere riaperto. Ad esempio, se un testimone chiave viene trovato colpevole di falsa testimonianza.

Il principio del "ne bis in idem" viene applicato in modo diverso nei vari sistemi legali europei, ma esistono alcune linee guida comuni stabilite dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) e della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU). Nell'ambito dell'Unione Europea, il principio del ne bis in idem è sancito dall'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea e dagli articoli 54-58 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen (CAAS). La CGUE ha stabilito che il principio si applica anche in contesti transnazionali, garantendo che una persona non possa essere processata più volte per lo stesso fatto in diversi Stati membri. Nel diritto internazionale, il principio del ne bis in idem assume un valore di "principio tendenziale" ma non ancora di principio generale applicabile in tutti gli ordinamenti interni. Questo significa che, in assenza di accordi specifici tra Stati, un processo celebrato in uno Stato non preclude necessariamente un nuovo giudizio per gli stessi fatti in un altro Stato.

Nel contesto della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, l'art. 4 del Protocollo n. 7 si occupa del principio del ne bis in idem solo in una prospettiva interna ai singoli Stati. Tuttavia, la giurisprudenza della CEDU ha ampliato l'applicazione del principio, riconoscendo che un fatto naturale non può essere oggetto di due procedimenti distinti.

Applicazione nei Sistemi Nazionali

Nei vari sistemi legali nazionali, l'applicazione del principio del ne bis in idem può variare. Ad esempio, in Italia, il principio è riconosciuto come un principio generale dell'ordinamento, anche se non espressamente contemplato dalla Costituzione. In altri Stati membri, la giurisprudenza nazionale può differire, ma generalmente si cerca di rispettare le linee guida stabilite dalla CGUE e dalla CEDU.

Questa diversità di applicazione riflette le differenti tradizioni giuridiche e le specifiche esigenze di ciascun ordinamento, ma il principio del ne bis in idem rimane un pilastro fondamentale per garantire la giustizia e la protezione dei diritti fondamentali in Europa.

Se uno Stato non rispetta la decisione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU), possono verificarsi diverse conseguenze:

1. Obbligo di Rimedio: Lo Stato è obbligato a rimuovere le cause della violazione attraverso misure generali o individuali. Se l'accertamento della violazione non è sufficiente, lo Stato deve corrispondere un risarcimento equo.

2. Supervisione del Comitato dei Ministri: L'esecuzione delle sentenze della CEDU è supervisionata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa. Questo comitato monitora l'adozione delle misure necessarie da parte dello Stato condannato.

3. Pressione Internazionale: La mancata esecuzione delle sentenze può portare a pressioni diplomatiche e politiche da parte di altri Stati membri del Consiglio d'Europa.

4. Sanzioni: In casi estremi, il Comitato dei Ministri può adottare misure contro lo Stato inadempiente, che possono includere sanzioni politiche o economiche.

Ci sono stati diversi casi in cui gli Stati non hanno rispettato le decisioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU). Ecco alcuni esempi:

1. Caso Hakkar c. Francia: Questo caso riguarda un cittadino algerino, Abdelkader Hakkar, che ha presentato un ricorso contro la Francia per violazione dei suoi diritti umani. Nonostante la CEDU abbia trovato una violazione, la Francia ha tardato nell'implementare le misure richieste.

2. Caso Partito Socialista c. Turchia: In questo caso, la CEDU ha stabilito che la Turchia aveva violato i diritti del Partito Socialista, ma la Turchia ha mostrato resistenza nell'attuare le decisioni della Corte.

Questi esempi mostrano come, nonostante le decisioni della CEDU siano vincolanti, alcuni Stati possono ritardare o resistere nell'implementazione delle misure richieste.

Se uno Stato continua a violare i diritti umani nonostante una decisione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU), un individuo ha diverse opzioni:

1. Presentare un nuovo ricorso alla CEDU: Se le violazioni persistono, l'individuo può presentare un nuovo ricorso alla Corte, evidenziando che lo Stato non ha rispettato la decisione precedente.

2. Coinvolgere organizzazioni internazionali: Organizzazioni come Amnesty International o Human Rights Watch possono essere coinvolte per fare pressione sullo Stato affinché rispetti i diritti umani.

3. Rivolgersi ai media: Portare il caso all'attenzione dei media può aumentare la pressione pubblica e internazionale sullo Stato affinché adotti le misure necessarie.

4. Lobbying e advocacy: Collaborare con altre vittime, avvocati e attivisti per fare lobbying presso le istituzioni internazionali e i governi di altri Stati membri del Consiglio d'Europa.

La comunità internazionale può svolgere un ruolo cruciale nel sostenere gli individui i cui diritti umani continuano a essere violati nonostante le decisioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU). Ecco alcune delle azioni che possono essere intraprese:

1. Pressione Diplomatica: Gli Stati membri del Consiglio d'Europa e altre nazioni possono esercitare pressione diplomatica sullo Stato inadempiente per garantire il rispetto delle decisioni della CEDU.

2. Sanzioni Internazionali: In casi estremi, possono essere imposte sanzioni economiche o politiche contro lo Stato che non rispetta le decisioni della Corte.

3. Supporto delle Organizzazioni Non Governative (ONG): Organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch possono monitorare la situazione, fare campagne di sensibilizzazione e fornire supporto legale e morale alle vittime.

4. Interventi delle Nazioni Unite: Le Nazioni Unite possono adottare risoluzioni o dichiarazioni di principi per sollecitare lo Stato interessato a cessare le violazioni dei diritti umani. ("Diritti umani [dir. internazionale.]. Protezione internazionale - Treccani")

5. Coinvolgimento dei Media: Portare il caso all'attenzione dei media internazionali può aumentare la pressione pubblica e politica sullo Stato affinché adotti le misure necessarie.

6. Supporto Finanziario e Legale: La comunità internazionale può fornire supporto finanziario e legale alle vittime per aiutarle a presentare nuovi ricorsi e a sostenere le loro cause.

Queste azioni possono contribuire a garantire che gli Stati rispettino le decisioni della CEDU e proteggano i diritti umani degli individui.

Ecco alcuni esempi di casi in cui la comunità internazionale ha sostenuto con successo gli individui dopo una decisione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU):

1. Caso Hirst c. Regno Unito: John Hirst, un detenuto britannico, ha vinto il suo caso contro il Regno Unito per il diritto di voto dei prigionieri. La comunità internazionale, inclusi vari organismi e ONG, ha esercitato pressione sul governo britannico per conformarsi alla decisione della CEDU.

1. Caso Sejdi" e Finci c. Bosnia ed Erzegovina: Questo caso riguardava la discriminazione etnica nelle elezioni politiche in Bosnia ed Erzegovina. La comunità internazionale, inclusi l'Unione Europea e il Consiglio d'Europa, ha lavorato per garantire che la Bosnia ed Erzegovina implementasse le riforme necessarie per conformarsi alla decisione della CEDU.

2. Caso Ilgar Mammadov c. Azerbaigian: Ilgar Mammadov, un politico dell'opposizione in Azerbaigian, è stato arrestato e detenuto illegalmente. La comunità internazionale, inclusi l'Unione Europea e varie ONG, ha fatto La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) tratta anche casi di errori giudiziari. Secondo l'articolo 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, ogni persona vittima di arresto o detenzione illegali ha diritto a una riparazione. Questo include situazioni in cui una persona è stata ingiustamente condannata o detenuta.

3. Un esempio recente è la sentenza dell'11 giugno 2024, in cui la CEDU ha stabilito che non vi è stata violazione dell'articolo 6, § 2 (presunzione di innocenza) in un caso di rifiuto di risarcimento dopo l'annullamento di una condanna per nuove prove.

4. sul governo azero per rilasciarlo e rispettare la decisione della CEDU

Questi esempi dimostrano come la comunità internazionale possa svolgere un ruolo cruciale nel garantire che gli Stati rispettino le decisioni della CEDU e proteggano i diritti umani degli individui.

Ecco alcuni esempi di casi in cui la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) ha riconosciuto un errore giudiziario:

1. Caso Ilgar Mammadov c. Azerbaigian: Ilgar Mammadov, un politico dell'opposizione in Azerbaigian, è stato arrestato e detenuto illegalmente. La CEDU ha riconosciuto che c'era stato un errore giudiziario e ha ordinato il suo rilascio.

2. Caso Sejdi" e Finci c. Bosnia ed Erzegovina: Questo caso riguardava la discriminazione etnica nelle elezioni politiche in Bosnia ed Erzegovina. La CEDU ha riconosciuto che c'era stato un errore giudiziario e ha ordinato le riforme necessarie.

Questi esempi dimostrano come la CEDU possa intervenire per correggere errori giudiziari e proteggere i diritti umani degli individui.

Il principio del ne bis in idem nel diritto tributario si riferisce al divieto di essere giudicati o puniti due volte per lo stesso fatto. ("Cosa significa ne bis in idem - La Legge per Tutti") In ambito tributario, questo principio impedisce la duplicazione delle sanzioni per lo stesso illecito fiscale.

Tuttavia, la giurisprudenza italiana ha stabilito che è possibile la coesistenza di sanzioni di tipo diverso (civili, amministrative e penali) per lo stesso illecito, purché non vi sia una duplicazione delle sanzioni dello stesso tipo.

Ecco ulteriori casi in cui il principio del ne bis in idem è stato applicato nel diritto tributario:

1. Caso Franconi: La quinta sezione penale della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 45829/18, ha rilevato che, a seguito della sentenza A e B Norvegia, i due procedimenti (penale e amministrativo) possono iniziare e concludersi, mutando la natura del ne bis in idem da principio processuale a garanzia sostanziale.

2. Giurisprudenza italiana: La Corte Costituzionale italiana ha evidenziato come il concorso fra la pena della reclusione per reati fiscali e le sanzioni pecuniarie amministrative non consenta l'applicazione di sanzioni eccessivamente severe e irragionevoli, assicurando l'effettiva riscossione degli importi evasi. Questi esempi dimostrano come il principio del ne bis in idem venga applicato per evitare la duplicazione delle sanzioni per lo stesso illecito fiscale. Sentenza n. 45829/18, ha rilevato che, a seguito della sentenza A e B Norvegia, i due procedimenti (penale e amministrativo) possono iniziare e concludersi, mutando la natura del ne bis in idem da principio processuale a garanzia sostanziale.

1. Giurisprudenza italiana: La Corte Costituzionale italiana ha evidenziato come il concorso fra la pena della reclusione per reati fiscali e le sanzioni pecuniarie amministrative non consenta l'applicazione di sanzioni eccessivamente severe e irragionevoli, assicurando l'effettiva riscossione degli importi evasi.

Questi esempi dimostrano come il principio del ne bis in idem venga applicato per evitare la duplicazione delle sanzioni per lo stesso illecito fiscale.

Conclusioni

Abbiamo studiato con attenzione la disciplina sostanziale e formale dell'istituto ne bis in idem, conseguendo risultati interessanti dal punto di vista accademico, ma abbiamo dovuto guardare con sconcerto alla disciplina pratica, convinti come siamo che piuttosto che costruire una disciplina composta da una pluralità di sanzioni di diversa natura la cui scelta compete, di fatto, alla CEDU, sarebbe preferibile un sistema sanzionatorio uniforme e omogeneo per categoria che risolverebbe in nuce il problema della doppia sanzione. Il diritto tributario andrebbe, per esempio, sanzionato, esclusivamente con pene amministrative, prevenendo il rischio della doppia sanzione in primis e di seguito i lunghi contenziosi innanzi alla CEDU per definire in presenza di diverse tipologie di sanzioni quale si ritiene applicabili.


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