Per la Cassazione, il verbale di conciliazione sindacale sottoscritto presso la sede aziendale è invalido, trattandosi di sede protetta ex art. 2113 c.c.

La Corte di Cassazione ha di recente sancito che il verbale di conciliazione sindacale sottoscritto presso la sede aziendale è invalido, non essendo quest'ultima considerabile una sede protetta ai sensi dell'art. 2113 c.c.

Sulla scorta del proprio orientamento ormai consolidato, dunque, i giudici di legittimità hanno affermato come uno dei requisiti fondamentali per la validità delle rinunce e transazioni del lavoratore sia proprio legato al luogo ove le stesse vengono formalizzate, che deve garantire adeguata tutela al lavoratore.

Il quadro normativo

Come noto, le rinunce e transazioni effettuate dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro, qualora abbiano per oggetto diritti indisponibili - fra cui il diritto alla retribuzione - ai sensi dell'art. 2113 c.c. sono invalide e possono essere impugnate entro un termine decadenziale di 6 mesi della data di cessazione del rapporto di lavoro o dalla sottoscrizione dell'accordo che le contiene, se successive.

Si tratta di una regola - definita da alcuni "norma di chiusura" del sistema normativo lavoristico - finalizzata a dare effettività all'intera disciplina in materia di lavoro subordinato, le cui norme di protezione verrebbero altrimenti agevolmente eluse attraverso la sottoscrizione "forzata" di accordi di rinuncia, sulla base del maggior potere contrattuale del datore di lavoro rispetto al lavoratore.

Esulano, invece, da questa particolare disciplina, le rinunce e transazioni effettuate in un accordo stipulato presso una c.d. "sede protetta", quale - a titolo esemplificativo - l'accordo sottoscritto dinanzi una commissione di conciliazione, ovvero in sede sindacale, oppure ancora (trattasi di una novità introdotta dalla riforma Cartabia lo scorso 2023) attraverso una negoziazione assistita da avvocati.

Tale principio assume - come chiarito dalla Corte - una valenza sostanziale, laddove non è sufficiente la mera presenza di un sindacalista a garantire il rispetto dell'art. 2113 c.c., ma occorre che l'accordo cocniliativo sia effettivamente stipulato in un luogo fisico che sia "neutro" per il lavoratore.

Il caso

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte di Cassazione, nella sentenza qui in esame, afferisce a un lavoratore che aveva sottoscritto con la società datrice di lavoro un accordo transattivo avente ad oggetto la riduzione della retribuzione a fronte della conservazione del posto di lavoro, che sarebbe altrimenti stato soppresso.

Tale accordo veniva sottoscritto - con la pretesa che fosse validamente stipulato ex art. 2113 c.c., anche da un sindacalista - ma presso la sede dell'azienda datrice di lavoro.

Il lavoratore, pertanto, impugnava l'accordo dinanzi al Tribunale competente, che ne affermava l'invalidità. La sentenza veniva confermata anche in secondo grado e la datrice di lavoro decideva di ricorrere per Cassazione insistendo per l'accertamento della validità dell'accordo sottoscritto dal lavoratore.

La decisione della Cassazione

Con l'ordinanza n. 10065/2024 (sotto allegata), la Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d'appello, affermando come "nel sistema normativo [...] la protezione del lavoratore non è affidata unicamente alla assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l'assenza di condizionamenti, di qualsiasi genere". Le citate disposizioni del codice di procedura civile individuano infatti non solo gli organi dinanzi ai quali possono svolgersi le conicliazioni ma anche le sedi ove ciò può avvenire, come emerge in modo inequiovco dal tenore letterale delle stesse".

"I luoghi selezionati dal legislatore" - proseguono i Giudici di legittimità nel loro percorso argomentativo - "hanno carattere tassativo e non ammettono, pertanto, equiopollenti, sia perché direttamente collegati all'organo deputato alla conciliazione e sia in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro, estraneo al dominio e all'influenza della controparte datoriale".

Alla luce di tali considerazioni, viene ribadito il seguente principio di diritto: "la conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell'art. 411, comma 3, c.p.c., non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest'ultima essere annoverata tra le sedi protette, avente il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente alla assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore".

La Corte di Cassazione, dunque, nel rigettare il ricorso proposto dalla datrice di lavoro, adotta - nel solco del proprio orientamento consolidato - un approccio di tipo sostanziale, finalizzato a garantire ai lavoratori piena libertà e assenza di condizionamenti nel decidere se e come rinunciare a un proprio diritto.

Al contrario, riconoscere la validità di un accordo stipulato (seppur alla presenza di un sindacalista) all'interno della sede aziendale significherebbe concretamente sottrarre tutela alla parte debole del rapporto negoziale, in tutte quelle - purtroppo frequenti - occasioni in cui l'ambiente ove la conciliazione si svolge influenza il lavoratore e/o il soggetto teoricamente chiamato ad "assistere" il lavoratore in tali procedure.

Scarica pdf Cass. 10065/2024

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