La Corte suprema di cassazione (sent. n. 20352/2024) ha pronunciato un'interessante sentenza inerente al rapporto tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori aggravato da relazione affettiva.
Il Consesso è stato chiamato a pronunciarsi su una sentenza della Corte d'appello di Milano, che aveva condannato un imputato per il delitto di maltrattamenti e stalking a danno della ex-moglie - reati uniti dal vincolo della continuazione - precisando che il momento, in cui riconoscere la cessazione del primo e l'inizio del secondo, era da ricercarsi nell'instaurazione del giudizio di separazione e consequenziale interruzione del vincolo della convivenza.
Per i giudici nomofilattici, la Corte milanese non aveva fatto buon governo dei principi di diritto, cadendo in un errore di valutazione.
La disamina del Collegio muove dall'orientamento giurisprudenziale per cui le condotte vessatorie nei confronti del coniuge, sorte in ambito domestico e che proseguono dopo la separazione di fatto o legale, integrano il reato di maltrattamenti, in quanto il coniuge resta "persona della famiglia" fino alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza.
La separazione incide solo sullo assetto concreto delle condizioni di vita, ma non sullo "status" acquisito con il matrimonio; essa dispensa dall'obbligo di convivenza e fedeltà, ma non da quello di reciproco rispetto, assistenza, morale e/o materiale, e collaborazione nell'interesse della famiglia, così come previsto dall'art.143 c.c.. In definitiva, il coniuge separato rimane persona della famiglia.
La convivenza è, invece, una situazione di fatto, che assume rilievo - in relazione al delitto di maltrattamenti - quando la condotta criminale è perpetrata in danno di persona che, pur non essendo della famiglia, è "comunque convivente".
Prosegue la sentenza, chiosando che il divieto di interpretazione analogica impone di intendere "i concetti di "famiglia" e "convivenza" nella loro accezione più stretta, quale comunità connotata da radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza di affetti implicante reciproche aspettative di mutua solidarietà e assistenza, fondata sul rapporto di coniugio o parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché non necessariamente continuativa" (Sez. 6 n. 31390 del 30/03/2023). In riferimento alla figura del convivente, il reato di maltrattamenti assorbe quello di stalking quando, nonostante la cessata convivenza, la relazione tra i due soggetti rimane connotata da vincoli solidaristici; per converso, si configura il delitto ex art. 612 bis c.p. nella misura in cui non residua alcuna aspettativa di solidarietà, non risultando insorti vincoli affettivi e di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale.
Dunque, in caso di cessazione della convivenza "more uxorio", si realizza il delitto di maltrattamenti se permane un vincolo di natura familiare, in virtù di una mantenuta consuetudine di vita comune o di esercizio condiviso della responsabilità genitoriale ex art. 337 c.c.