L'amministratore di fatto e di diritto, come si individua la figura, le conseguenze della "dissociazione", le responsabilità e le controversie interpretative


L'esperienza quotidiana ha messa in evidenza il ruolo senz'altro positivo dell'amministratore, ma anche il rischio che quest'ultimo, abusando delle proprie competenze, non si limiti a mettere l'aggregato sociale nelle condizioni di adempiere ai propri doveri fiscali, ma favorisca una pianificazione aggressiva a danno dello stesso. Detta pianificazione fiscale non sempre si realizza con la collaborazione della società, per cui può verificarsi che l'amministratore attui comportamenti gravemente lesivi, anche penalmente, degli interessi societari oltre che dell'intero sistema erariale.

L'amministratore di fatto

L'amministratore di fatto, distinto dall'amministratore di diritto, è colui che prende decisioni e gestisce la società senza essere stato formalmente nominato attraverso una delibera assembleare o un atto di nomina conforme alla legge o allo statuto della società.

Normalmente, l'amministratore di diritto, ossia la persona legalmente designata per gestire gli affari societari, coincide con l'amministratore di fatto, nel senso che la persona incaricata dell'amministrazione è anche quella che effettivamente gestisce la società, compiendo tutti gli atti necessari per perseguire l'oggetto sociale.

Tuttavia, per vari motivi, le due figure possono non coincidere, e la società può sembrare gestita da qualcuno che non è formalmente il proprio amministratore.

Come si individua questa figura e conseguenze della "dissociazione"

Secondo la giurisprudenza, gli elementi che caratterizzano la figura dell'amministratore di fatto sono:

  • l'assenza originaria o sopravvenuta di una nomina formale;
  • l'esercizio di funzioni riservate per legge o statuto all'amministratore di diritto;
  • l'autonomia decisionale, che non deve necessariamente essere subordinata a quella dell'amministratore di diritto;
  • il carattere sistematico e continuativo delle funzioni gestorie svolte, che non devono limitarsi a pochi atti eterogenei e occasionali (Cassazione, sentenza n. 27162/2018; Tribunale di Roma, sentenza n. 12474/2015);
  • l'assenza di giustificazione per tali funzioni in base a un rapporto lavorativo subordinato o autonomo con la società, per cui l'interessato non deve essere in una posizione di subordinazione o soggiacere ai poteri direttivi dell'amministratore di diritto (Tribunale di Napoli, sentenza del 5 agosto 2015).

Per configurare la figura dell'amministratore di fatto, è necessario che il soggetto compia una serie di atti gestori in modo sistematico e continuativo, tali da far credere ai terzi che egli sia il vero gestore della società.

In sintesi, la prova della posizione di amministratore di fatto implica l'accertamento della qualità di amministratore in capo al soggetto, accertamento che deve tenere conto di una serie di indici sintomatici tipizzati dalla giurisprudenza, come il conferimento di deleghe in settori fondamentali dell'attività d'impresa, la partecipazione diretta alla gestione della vita societaria, l'assenza costante dell'amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest'ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per il momento del conferimento e per il suo oggetto, attribuisce poteri autonomi e ampi, sintomatici dell'esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale.

La responsabilità dell'amministratore

In caso di comportamenti antigiuridici da parte dell'amministratore di fatto, è importante sottolineare che la sua presenza e attività non esonerano l'amministratore di diritto dalla responsabilità, sul quale grava comunque un obbligo di vigilanza.

Infatti, secondo la giurisprudenza costante, la responsabilità dell'amministratore di fatto si aggiunge a quella dell'amministratore di diritto, il quale deve rispondere dei danni causati al patrimonio sociale (o direttamente ai soci o ai terzi) non solo per i fatti commissivi a lui imputabili, ma anche per quelli omissivi (L'amministratore di fatto, da 4cLegal).

L'amministratore di diritto ha l'obbligo legale prioritario e non derogabile di controllare la gestione della società (e quindi anche l'operato dell'amministratore di fatto). ("L'amministratore di fatto - 4cLegal")

Questo obbligo è ulteriormente rafforzato nel caso in cui vi sia una separazione tra amministrazione di fatto e di diritto.

L'amministratore di diritto può quindi essere ritenuto responsabile delle conseguenze della cattiva amministrazione dell'amministratore di fatto, se non ha adempiuto all'obbligo di vigilanza a cui ogni amministratore è tenuto (Trib. Milano, 11 dicembre 1997, società 1998, 802).

Di conseguenza, anche se si riconoscono eventuali profili di responsabilità in capo all'amministratore di fatto, si potrebbe configurare un coinvolgimento diretto e principale dell'amministratore di diritto nel caso in cui quest'ultimo non abbia vigilato adeguatamente sull'operato del primo.

Ad esempio, eventuali conferimenti reiterati di procura dall'amministratore di diritto a quello di fatto, legittimanti il compimento di atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, potrebbero essere considerati indice di una volontà abdicativa dell'amministratore di diritto, rendendo delicata anche la sua posizione, poiché non può costituire un'esimente il fatto di essersi deliberatamente spogliato delle funzioni attinenti alla sua carica.

Una situazione analoga si verificherebbe nel caso in cui si volesse imputare all'amministratore di fatto un abuso o un eccesso di procura, se questa non fosse stata immediatamente revocata di fronte a condotte palesemente antigiuridiche che avrebbero dovuto portare alla revoca di ogni incarico gestorio conferito.

In conclusione, la presenza di un amministratore di fatto all'interno di una società, pur non configurando di per sé una fattispecie antigiuridica, deve essere valutata con molta attenzione, poiché potrebbe generare confusione nei terzi e portare ad abusi di cui risponderebbe anche l'amministratore di diritto. ("L'amministratore di fatto - 4cLegal").

Il giudice deve accertare la rilevanza dei poteri esercitati dall'amministratore di fatto. Ai fini della responsabilità penale, è importante il concreto esercizio, in modo continuativo e significativo, di poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. ("Amministratore di fatto - Altalex")

La qualifica di amministratore di fatto di una società si deduce dall'esercizio concreto, continuativo e significativo, di poteri tipici della qualifica o funzione (Cassazione penale, sentenza n. 34381/2022).

La sentenza deriva dal ricorso di un indagato contro l'ordinanza del Tribunale di Milano, che aveva disposto gli arresti domiciliari per i reati di trasferimento fraudolento di valori ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, riconoscendo all'indagato il ruolo di amministratore di fatto, in quanto organizzatore consapevole di modalità operative illecite della società.

Il ricorrente contestava la motivazione riguardo alla sua qualifica di amministratore di fatto e alla necessità delle misure cautelari.

Ha richiamato l'art. 2639 c.c., che per i reati societari equipara al soggetto formalmente investito della qualifica chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici della qualifica o funzione.

La giurisprudenza interpreta questa disposizione nel senso che la continuità e significatività non richiedono l'esercizio di tutti i poteri dell'organo di gestione, ma di un'attività gestoria apprezzabile, svolta in modo non episodico o occasionale. La prova della posizione di amministratore di fatto richiede l'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase dell'attività della società. ("L'amministratore di fatto - Giurisprudenza delle imprese")

Anche per i reati fallimentari, la giurisprudenza ritiene che la posizione dell'amministratore di fatto comporti l'accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, come il conferimento di deleghe in settori fondamentali, la partecipazione diretta alla gestione, l'assenza costante dell'amministratore di diritto e la mancata conoscenza di quest'ultimo da parte dei dipendenti.

Il collegio giudicante ha evidenziato che, anche per i reati tributari, l'attribuzione della qualifica di amministratore di fatto richiede l'esercizio continuativo e significativo, e non episodico o occasionale, di tutti i poteri tipici della qualifica o funzione, o anche solo di alcuni di essi. In quest'ultimo caso, spetta ai giudici valutare la rilevanza dei singoli poteri esercitati.

Se un amministratore di fatto commette reati tributari, può essere ritenuto penalmente responsabile per le sue azioni. Ecco alcune delle conseguenze principali:

1. Responsabilità Penale: L'amministratore di fatto può essere considerato l'autore principale del reato, poiché è il titolare effettivo della gestione sociale e quindi in grado di compiere le azioni dovute. Questo significa che può essere perseguito penalmente per reati come l'omesso versamento dell'IVA, l'emissione di fatture false, e la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi.

2. Sanzioni Pecuniarie: In alcuni casi, le sanzioni amministrative pecuniarie possono essere irrogate anche all'amministratore di fatto, in solido con la società. Tuttavia, la responsabilità principale per le sanzioni tributarie può ricadere sulla persona giuridica, soprattutto se l'amministratore di fatto ha agito nell'interesse della società.

3. Sequestro Preventivo: La legge prevede la possibilità di disporre il sequestro preventivo dei beni dell'amministratore di fatto, finalizzato alla confisca per equivalente, nel caso in cui non sia possibile reperire il profitto del reato nei beni della società.

4. Concorsi di Responsabilità: L'amministratore di diritto, anche se solo formalmente in carica, può essere ritenuto corresponsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell'evento, se non ha impedito il reato commesso dall'amministratore di fatto.

In sintesi, l'amministratore di fatto può affrontare gravi conseguenze legali e finanziarie per i reati tributari commessi, e la responsabilità può estendersi anche all'amministratore di diritto se non ha vigilato adeguatamente.

Controversie interpretative

La materia del diritto penale tributario è attraversata puntualmente da forti tensioni interpretative. In sostanza persistono sempre seri dubbi sulle condotte riconducibili nell'alveo del diritto penale tributario e sul perimetro dei possibili autori del reato tributario. Questa problematica sussisteva ai tempi della legge n. 516/1982 e permane anche nel D. Lgs. n. 74/2000 benché il legislatore avesse ritenuto di anteporre alle fattispecie penali una norma di carattere definitoria. Una delle questioni più dibattute sulle quali intendiamo soffermarci è relativa alla responsabilità degli amministratori sia di fatto sia di diritto. L'evenienza che un'impresa sia gestita da un soggetto privo di una formale investitura è in verità tutt'altro che teorica. Anzi negli ultimi anni si è assistito ad una crescita esponenziale di imprese amministrate da prestanome. Nella stragrande maggioranza dei casi perché l'attività è sorta pensando già alla realizzazione di pratiche fraudolente finalizzate all'evasione fiscale. In molti altri perché i veri amministratori intendono tenersi al riparo da responsabilità amministrative e da responsabilità penali.

Sulla figura dell'amministratore di fatto si sono intrecciati tantissimi dibattiti dottrinari riconducibili sostanzialmente a due correnti di pensiero: la teoria formale che di fatto si riassume in una responsabilità dell'amministratore di fatto non nella veste di responsabile diretto, ma nella veste di concorrente nel reato e la teoria realistica seguita da una consolidata giurisprudenza che ha statuito una responsabilità diretta dell'amministratore di fatto sulla base del principio dell'interpretazione estensiva delle norme che non contrasta con il nostro ordinamento penale ove è vietata solo l'interpretazione di carattere analogica. Nel 2002 il problema: con la riforma dei reati societari si arriva ad una tipicizzazione delle funzioni di fatto contenuta nell'art. 2639 c.c. che ha rappresentato sostanzialmente il punto di approdo della dottrina e della giurisprudenza in materia di teoria funzionale. In sostanza, con detta norma si privilegia l'aspetto sostanziale su quello formale. Benché l'art. 2639 del c.c. costituisca sostanzialmente un mero approdo della teoria funzionale essa ha l'indubbio pregio di individuare i requisiti alla stregua dei quali la funzione di fatto assume rilevanza. In altre parole, perché si possa parlare di amministratore di fatto sono necessari due parametri:

1. l'esercizio della funzione in modo continuativo;

2. la significatività degli atti realizzati.

In questo modo si è voluto escludere l'estensione della qualifica di amministratore di fatto ad ipotesi assolutamente marginali o più esattamente del tutto occasionali: quali possono essere gli sporadici atti di gestione o lo svolgimento di mansioni esecutive di minima rilevanza. L'attività di amministratore di fatto penalmente rilevante si distingue da interventi meramente occasionali o esecutivi. Ovviamente è vero. e di questo non è dato dubitare, che l'art. 2639 c.c. esclude dal novero degli amministratori di fatto coloro che svolgono attività in modo occasionale, accessoria o meramente esecutiva, è altrettanto vero che per la configurabilità della figura di amministratore di fatto è sufficiente che quest'ultimo abbia svolto l'insieme delle attività che sono proprie dell' amministratore di diritto e non è assolutamente necessario che l'attività del primo sia perfettamente sovrapponibile a quella del secondo, come sostenuto da una minoritaria giurisprudenza. La Corte di Cassazione, come abbiamo avuto già modo di anticipare parlando della distinzione tra la teoria formale e la teoria funzionale, non ha mai dubitato della responsabilità penale dell'amministratore di fatto o nella forma della responsabilità diretta o nella forma del concorso di reato. Tale orientamento assolutamente pacifico ha comportato il riconoscimento della responsabilità di fatto nei reati di bancarotta fraudolenta, mentre dubbi sono sorti per quanto attiene la responsabilità dell'amministratore di fatto per i reati tributari, per l'inesistenza nel d.lgs. 74/2000 di una norma analoga a quella dell'art. 2639 c.c. La Corte di Cassazione ha statuito che del reato di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi può rispondere soltanto il soggetto sul quale incombe formalmente l'obbligo, mentre l'amministratore di fatto o il prestanome non potrebbe consumare il reato, perché non è gravato dall'obbligo. La Corte di Cassazione in buona sostanza sostiene che si «addebiterebbero al solo prestanome, per il semplice fatto di aver assunto formalmente la carica di amministratore, tutte le omissioni civilmente o penalmente imputabili a colui che di fatto ha gestito la società mentre rimarrebbe esente da responsabilità civile o penale per i fatti omissivi proprio colui il quale ha il potere e il dovere di compiere l'azione omessa nella fattispecie la presentazione della dichiarazione dei redditi». I più recenti orientamenti giurisprudenziali hanno ammesso l'estensione all'amministratore di fatto degli obblighi tributari di rilievo penale anche di carattere dichiarativo. Tale equiparazione trova conferma in precisi riferimenti normativi.

L'art. 11 del D. Lgs. 18 dicembre 1997 parifica il legale rappresentante all'amministratore di fatto prevedendo espressamente la diretta responsabilità di quest'ultimo. Invero anche la legge 7 gennaio 1929 n. 4 aveva sancito la responsabilità, per le sanzioni tributarie, anche degli amministratori di fatto. Il novellato art. 2639 c.c. che equipara l'amministratore di fatto all'amministratore di diritto fa riferimento sia a reati commissivi sia a reati omissivi. L'art. 1, comma 4 del DPR. 322/1998 stabilisce che la dichiarazione è sottoscritta dal rappresentante legale o in mancanza da chi ne ha l'amministrazione anche di fatto. Il rappresentante legale si deve considerare mancante, non solo quando manca la nomina, ma anche in presenza di un prestanome privo di alcun potere e non in condizione di presentare la dichiarazione perché non dispone dei documenti detenuti dall'amministratore. ("Responsabilità penale per rappresentante legale e institore") In altri termini l'amministratore di fatto equiparato all'amministratore di diritto dalle leggi civili, fallimentari e penali risponde dei reati tributari in proprio, mentre il prestanome risponde come concorrente nel reato. Gli orientamenti sostanzialmente rigorosi della Corte di Cassazione hanno portato a statuire la piena responsabilità dell'amministratore di fatto in luogo di quella dell'amministratore di diritto ogni qualvolta l'attività dell'amministratore di fatto è caratterizzato dal requisito della continuità e significatività tale da far degradare la qualifica di amministratore di diritto ad un ruolo di mero interposto senza alcuna interferenza nella gestione della società od un'interferenza nella gestione solo parzialmente operativa. Nel primo caso dei reati tributari risponde l'amministratore di fatto. L'amministratore di diritto degradato a mero prestanome risponde soltanto a titolo di concorso in presenza evidentemente dell'elemento soggettivo. Più complicata è la situazione del prestanome parzialmente operativo perché in questo caso bisogna individuare le fattispecie concrete della sua ingerenza al fine di individuare la figura del reato, sia se ne risponde in proprio o come concorrente.

Amministratore senza delega

Un breve cenno merita la figura dell'amministratore senza delega, in modo particolare nel caso in specie senza delega per le questioni tributarie. In linea di principio che l'amministratore senza delega in materia tributaria non è chiamato di norma a rispondere dei reati di cui al D. Lgs. 74/2000, occorre puntualizzare che questo non significa assoluta irresponsabilità degli amministratori senza delega. È possibile affermare la responsabilità penale degli amministratori senza delega quando vi sia la «prova che gli stessi siano stati debitamente informati oppure che vi sia stata la presenza di segnali peculiari in relazione all'evento illecito, nonché l'accertamento del grado di anormalità di questi sintomi. ("Art. 40 - Rapporto di causalità - Avvocato.it") Soltanto in presenza della prova della conoscenza del fatto illecito o della concreta conoscibilità dello stesso mediante l'attivazione del potere informativo in presenza di segnali inequivocabili è possibile intravedere l'obbligo giuridico degli amministratori non operativi [... ] per impedire il verificarsi dell'evento illecito; la mancata attivazione di tali soggetti in presenza di tali circostanze comporta l'affermazione della penale responsabilità avendo la loro omissione cagionato, o contribuito a cagionare, l'evento di danno».


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