Il giudice dell'esecuzione, che riduce la pena di un sesto per la mancata impugnazione, non può concedere la sospensione condizionale

La vicenda processuale

Il GIP del Tribunale di Ancona, in veste di giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 442 comma 2 bis c.p.p., riduceva di un sesto la pena nei confronti di un imputato, condannato in sede di giudizio abbreviato e non impugnante la relativa sentenza. La sanzione, originariamente di anni due e mesi quattro di reclusione, veniva ridotta ad anni uno, mesi undici e giorni dieci, ma non veniva concesso il beneficio della sospensione condizionale.

Il condannato ricorreva per cassazione per violazione di legge, nella misura in cui non veniva disposto il suddetto beneficio, lamentando che se il giudice dell'esecuzione ha il potere di ridurre la pena, allora deve poter emettere provvedimenti astrattamente conseguenti, come la concessione della sospensione condizionale per effetto della riduzione sotto i due anni di reclusione. Diversamente opinando, si rischierebbe di cadere in un trattamento non paritario.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte (Cass. Pen., Sez. I, n.2539/2024) rigettava il ricorso.


Il Giudice di legittimità spiega che la sospensione condizionale dell'esecuzione della pena "forma oggetto di valutazione da parte del giudice della cognizione, che la concede o la nega formulando le relativa prognosi, pur quando non sussistano precedenti ostativi, secondo la disciplina fissata dagli artt. 163 e ss. cod. pen."; in sede esecutiva, "il beneficio può essere concesso solo in applicazione della disciplina del concorso formale o della continuazione, non essendo suscettibile di applicazione analogica la previsione di cui all'art. 671, comma 3, cod. proc. pen.".

Infatti, la disciplina della riduzione della pena da parte del giudice dell'esecuzione, la quale si produce per effetto della mancata impugnazione della sentenza, è appositamente descritta all'art.676 comma 3 bis c.p.p., che tace in ordine alla possibilità di applicare l'invocato beneficio. Chiosa il Consesso che "il giudice della cognizione, avendo irrogato una pena detentiva superiore ai limiti fissati dall'art. 163 cod. pen., non aveva, in radice, la possibilità giuridica di formulare la valutazione prognostica di cui all'art. 164 cod. pen." e, senza una espressa previsione legislativa, "tale postuma modificazione della pena non può influire sugli effetti penali derivanti dalla sua determinazione in sede cognitiva".


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