Commento alla decisione del tribunale di Velletri perfettamente on-label secondo la nostra Costituzione sull'uso "inedito" off-label dei vaccini anti Covid

La decisione del giudice del lavoro di Velletri

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Ancora il Giudice del lavoro di Velletri dimostra autonomia e indipendenza nel cassare le narrazioni di Stato utilizzando la verità storica e scientifica nella sentenza n. 1493/2024 del 24/10/2024 (sotto allegata), con la quale ha annullato il provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione di una dipendente di un ospedale per violazione degli artt. 32 e 4 Cost, degli artt. 5 e 26 della Convenzione di Oviedo e dell'art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, condannando il datore di lavoro a restituire le retribuzioni per il periodo di sospensione.

Il Tribunale, prima di entrare nel merito della decisione, ha fatto una esaustiva ricognizione della normativa nazionale e internazionale nonché delle sentenze della Corte costituzionale 14, 15, 16 e 171 del 2023 dalle quali, dopo aver disposto una accurata consulenza tecnica, ha preso le distanze e ne ha smentito totalmente gli assunti.

Prevenzione della malattia e prevenzione dell'infezione

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L'indagine tecnico-scientifica seguita dal Tribunale è partita dalla distinzione tra prevenzione della malattia e prevenzione dell'infezione, ricordando come "nel caso specifico della malattia COVID-19, malattia determinata dall'infezione dell'agente infettivo Sars Cov-2. In questo caso si sono adottati vaccini specifici autorizzati per la prevenzione della malattia Covid-19 ma non della trasmissione del virus Sars Cov-2".

Le conclusioni del Tribunale e del CTU sono il risultato dell'analisi dei documenti ufficiali di EMA, di AIFA e delle schede tecniche dei vaccini (ove non si prevede tra le indicazioni terapeutiche la prevenzione dell'infezione da Sars Cov-2), in base ai quali essi potevano - e possono - essere utilizzati a carico del SSN per la sola prevenzione della malattia Covid-19 e non per la prevenzione della trasmissione del virus Sars Cov-2.

Se tale affermazione è già di per sé assorbente facendo calare il sipario su tutte le narrative politiche-ideologiche della propaganda sanitaria dell'emergenza, in particolare di quelle vaccinali, la sentenza in commento, nell'approfondire l'analisi dei motivi del ricorso, ha aperto ulteriori faglie nella narrativa dominante laddove ha affrontato l'utilizzo dei vaccini anti Covid-19 su persone guarite dalla malattia Covid-19.

Neanche una sola dose di farmaco - e neanche dopo un determinato periodo di tempo - sarebbe stato possibile somministrare a soggetti guariti, proprio perché non sussisteva (e non sussiste) un'indicazione terapeutica in tal senso nelle schede tecniche dei farmaci vaccinali, né sussistevano (e non sussistono) indicazioni tali da considerare sicura la vaccinazione di una persona con pregressa malattia dopo un dato periodo di tempo: "anzi, la somministrazione sui guariti ha esposto questi ultimi ad un potenziale pericolo di vita".

Prova ne sia il contrario se solo si prende atto dell'art. 1 comma 2 del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73 come convertito con modificazioni nella legge 31 luglio 2017, n. 119 in materia di vaccinazioni pediatriche, che esclude l'obbligo di vaccinazione per il soggetto guarito dalla malattia (ed in caso di vaccinazione con formulazioni combinate, non potrà inocularsi l'antigene per il quale il soggetto è guarito).

L'uso off-label dei vaccini anti Covid

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Ma l'argomento su cui il presente commento intende soffermarsi maggiormente, seppure abbia un appeal meno carismatico e sia tema meno battuto delle eccezioni apicali sopra esaminate, certamente non è di minore importanza di queste ultime per il grado di tecnicismo e per le conseguenze che ne derivano: l'uso off-label dei farmaci anti Covid-19, inteso come impiego di medicinali per una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata in scheda tecnica.

L'utilizzo on/off label dei preparati vaccinali anti covid-19 è questione che ha interessato direttamente chi scrive e l'associazione di giuristi italiani Avvocati Liberi in moltissimi processi civili e penali aventi ad oggetto la presente materia, finanche dinanzi alla Corte costituzionale nei giudizi incidentali che hanno portato alle richiamate sentenze 14, 15, 16 e 172 del 2023.

Partendo dalla sentenza in commento, si ribadisce un fatto notorio (cfr. Trib. L'Aquila, Sezione Lav., sent. 13.9.2023 n. 136, inedita, https://www.avvocatiliberi.legal/wp-content/uploads/2024/07/TRIB-LAV-AQUILA-inefficacia.pdf), ossia che in Italia non esistono, all'oggi, specialità medicinali/vaccini con indicazioni in scheda tecnica che prevedano la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV.2, tanto che la questione veniva sollevata anche dalla stessa ordinanza remissione alla Corte del giudizio RG 38/2022 (da cui scaturiva la sentenza 14/2023) nella quale il Consiglio di Giustizia Amministrativa siciliano riteneva "essenziale, per un verso, che il cittadino riceva informazioni complete e corrette che siano facilmente e liberamente accessibili, e per altro verso che la sperimentazione, la raccolta e la valutazione dei dati (il più possibile ampi e completi) avvengano (o siano almeno validati) da parte di organismi indipendenti, in quanto l'affidamento della raccolta dei dati al produttore del vaccino presenta profili di evidente criticità (in tema di situazioni di conflitto di interessi in relazione ad attività svolta in favore di case farmaceutiche produttrici di vaccini (si veda Cons. St., sez. V, 2 aprile 2021 n. 2744)".

Ed è infatti proprio la standardizzazione di pratiche di costume sanitario scollate dalle prescrizioni e dalle caratteristiche dei prodotti e delle relative somministrazioni contenute nei fogli illustrativi dei farmaci in discussione (ad esempio, per dosaggi, per frequenza o per modalità di somministrazione) ha alimentato il sospetto che l'impiego di tali preparati non fosse conforme (on-label) a quanto indicato.

L'off-label indiscriminato nella pratica sanitaria

V'è da dire che l'uso diverso o non conforme alle indicazioni farmaceutiche (off-label), oltre a costituire una modalità diffusa nella pratica sanitaria e riconosciuta dalla giurisprudenza (Sezioni Unite civili della corte di cassazione con la sentenza n. 2092 del 9 novembre 2021 - 25 gennaio 2022; conf. Sezioni Unite civili della cassazione sentenza n. 26920 del 13 luglio 2021 - 5 ottobre 2021; Corte di cassazione, Sez. 2 civile, sentenza n. 12138 del 11 aprile 2018 - 17 maggio 2018; Corte di cassazione, Sez. lavoro, sentenza n. 11713 del 29 gennaio 2014 - 26 maggio 2014 e sentenza n. 23671 del 20 settembre 2011 - 11 novembre 2011), è stata fatto oggetto di regolamentazione normativa dall'art. 1, comma 4, della legge 23 dicembre 1996, n. 648 (da qui l'abbreviato gergale "lista 648" per indicare i farmaci off-label), che contiene un elenco di farmaci off-label erogabili a carico del Servizio Sanitario Nazionale, previo parere della Commissione Tecnico Scientifica di AIFA, purché esistano studi conclusi, almeno di fase II, che dimostrino un'efficacia adeguata con un profilo di rischio accettabile a supporto dell'indicazione richiesta, quando non esiste un'alternativa terapeutica valida, nei seguenti casi:

- per medicinali innovativi autorizzati in altri Stati, ma non in Italia; per medicinali non ancora autorizzati, ma in corso di sperimentazione clinica;

- per medicinali da impiegare per un'indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata.

Peraltro, l'art. 3, comma 2, del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, innovando decisamente il precedente assetto, ha introdotto il comma 4-bis dell'art. 1, che prevede la possibilità, a determinate condizioni («purché tale indicazione sia nota e conforme a ricerche condotte nell'ambito della comunità medico-scientifica nazionale e internazionale, secondo parametri di economicità e appropriatezza»), di inserimento di medicinali nell'elenco in questione anche in presenza di alternativa terapeutica (cfr.: https://www.aifa.gov.it/legge-648-96).

L'art. 3, comma 2, del decreto legge 17 febbraio 1998, n. 23, recante "Disposizioni urgenti in materia di sperimentazioni cliniche in campo oncologico e altre misure in materia sanitaria", convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 1998, n. 94 ha, dal canto suo positivizzato, a livello di normativa ordinaria la nozione, la consolidata prassi di impiego "fuori foglietto" «in singoli casi in cui il medico può, sotto la sua diretta responsabilità e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso, impiegare un medicinale prodotto industrialmente per un'indicazione o una via di somministrazione o una modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata, ovvero riconosciuta agli effetti dell'applicazione dell'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 21 ottobre 1996, n. 536, convertito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 648, qualora il medico stesso ritenga, in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di somministrazione e purché tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale».

Tale disposizione si esprime in termini analoghi, seppure non sovrapponibili, alla previsione di cui all'art. 13 del codice deontologico dei medici, che recita: «Il medico può prescrivere farmaci non ancora registrati o non autorizzati al commercio oppure per indicazioni o a dosaggi non previsti dalla scheda tecnica, se la loro tollerabilità ed efficacia è scientificamente fondata e i rischi sono proporzionati ai benefici attesi; in tali casi motiva l'attività, acquisisce il consenso informato scritto del paziente e valuta nel tempo gli effetti».

In altri termini, il senso dell'impiego di un farmaco per finalità per cui esso non è stato autorizzato oppure con modalità differenti da quelle previste risiede nella presa d'atto, operata empiricamente "sul campo" sulla base di evidenze scientifiche progressivamente emerse, risiede nella capacità dello stesso di apportare benefici in situazioni originariamente non contemplate nel provvedimento di autorizzazione all'immissione in commercio e nella scheda tecnica: e ciò sia - e non raramente - in prospettiva meramente compassionevole, sia anche nell'ottica di risoluzione o di contenimento di una patologia (Daniele Cenci, al convegno "Scienza e Costituzione: le verità sull'obbligo vaccinale anti covid 19" tenutosi in Roma il 17 e 18 settembre 2022; ora in "Vaccinazione Covid-19: evidenza scientifica e analisi etico giuridica", Phronesis editore, Palermo, 2022, pag 185 ss.).

Come è stato efficacemente osservato da altra dottrina «Il fenomeno non nasce, è chiaro, per pura bizzarria intellettuale del medico prescrivente. Nasce invece perché esperienza e studi specifici segnalano che effettivamente l'impiego alternativo risulta funzionale al trattamento del paziente» (Paolo Piras, "Prescrizione di farmaci off label e responsabilità penale", in Criminalia, 2007, p. 430, Contributori- pubblicato in www.discrimen.it, ins. 25 novembre 2018), ma tale fenomeno, calato nel contesto della giungla giuridica e scientifica dell'era pandemica, ha prodotto quelle che la più attenta dottrina (D. Cenci tra i primi) ha catalogato in XIII aporie del sistema vaccinale, che hanno reso irragionevole e insicuro l'utilizzo dei preparati anti Covid-19 e, dunque, illegittimo il relativo obbligo di assunzione nei termini delineati dalla sentenza in commento:

I. La nebulosità delle condizioni indicate dai produttori delle sostanze per l'inoculazione della terza dose, condizioni che sono generalmente compendiate nella mera, ineffabile, espressione "è possibile", purché i vaccinandi siano, come si è detto, a ciò "idonei", indicazione che all'evidenza risulta non meno vaga né meno infelice di quella "è possibile", in ragione del già ravvisato deficit di tassatività in materia tanto delicata;

II. Il peso dei rilevanti effetti collaterali gravi segnalati espressamente come possibili dai produttori nei foglietti illustrativi;

III. Il numero di effetti avversi, anche gravi e persino letali, risultanti ufficialmente dai rapporti degli organi di vigilanza;

IV. I rilievi della ultratrentennale giurisprudenza costituzionale in tema di trattamenti sanitari obbligatori, ed in particolare, il divieto di ragionamenti "quantitativi" negli effetti avversi gravi o letali conseguenti alla somministrazione dei vaccini;

V. La presa d'atto che la frequenza degli effetti avversi gravi conseguenti alla vaccinazione anti SARS-CoV-2 risulta - ufficialmente - di gran lunga superiore a quella degli avversi gravi conseguenti alle vaccinazioni, obbligatorie e consigliate, per così dire, "tradizionali";

VI. Inadeguatezza della farmacovigilanza passiva;

VII. La vistosa inadeguatezza del triage pre-vaccinale così come in concreto strutturata;

VIII. La questione della mancata previsione di una verifica, precedente l'inoculazione, che il soggetto vaccinando non abbia l'infezione in corso;

IX. Il contrasto tra l'efficacia ed il principio, che si trae dalla - vigente - legge 31 luglio 2017, n. 119, secondo cui l'intervenuta immunizzazione naturale esime dall'obbligo vaccinale (Claudio Giorlandino, "Chi ha avuto il covid non ha più bisogno di vaccinarsi" a cura di Emanuele Perugini, ins. 7 settembre 2022 in https://www.agi.it/salute/news/2022-09-07/covid-chi-ha-avuto-virus-non-ha-bisogno-di-vaccino-17973525/), come peraltro recentemente riconosciuto dal Tribunale di Bologna nel provvedimento del 3 novembre 2022 di urgente reintegro del sanitario guarito dal covid (Rg 10063/22);

X. La natura oggettivamente e clinicamente sperimentale dei vaccini anti covid-19 (A. Mangia, "Omicron, strategia della paura" intervista a cura di Federico Ferraù, in Italia Oggi, 11 febbraio 2022, p. 7 https://www.italiaoggi.it/news/omicron-strategia-della-paura-2551429; Cfr. stesso Autore, in "Si caelum digito tetigeris. Osservazioni sulla legittimità costituzionale degli obblighi vaccinali", in Rivista AIC, 2021, n. 3, pp. 438-439);

XI. La compatibilità della situazione in commento con «quel pezzo di art. 32 [della Costituzione] che tutti si dimenticano di citare. E cioè quello che dice che, anche se opera con legge, il legislatore "non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana" [… e anche alla] irreversibilità degli effetti di determinati trattamenti sanitari che possono essere disposti con legge. Sa, a parole io mi posso sbattezzare. Ma non mi posso svaccinare, neanche ritirando il consenso»;

XII. L'«art. 2 della Costituzione nel prevedere una particolare tutela dell'individuo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (tra cui rientrano i luoghi di lavoro) non sembra permettere l'adozione di misure che possano arrivare sino al punto da ledere la dignità della persona come può avvenire quando alla persona sia preclusa ogni forma di sostentamento per far fronte ai bisogni primari della vita (cfr. Corte costituzionale 20 luglio 2021 n. 137) […] gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiano ritenuto di vaccinarsi […] perdono ogni possibilità di far fronte alle esigenze basilari della vita non potendo fare affidamento su alcuna forma di sostegno economico per un periodo temporalmente rilevante (ad oggi, e solo per loro, prorogato fino al 31 dicembre 2022)» (Tribunale di Brescia, Sezione lavoro, ordinanza 4 luglio - 22 agosto 2022, in proc. n. R.G. 1008-12022, ric. M.M vs. O.P.O.P.B., inedita pp. 8-9, se ne dà atto, sotto il numero di registro generale n. 107/2022, nel sito istituzionale della Consulta, area "Questioni pendenti - Giudizi proposti in via incidentale"; in dottrina A. Mangia in "Obbligo vaccinale e green pass. Moro contro Draghi, l'Europa sta con l'ex DC", intervista di Federico Ferraù, in www.ilsussidiario.net, ins. 8 maggio 2018);

XIII. La vistosa "virata" in controtendenza degli obblighi in questione, anche ove fossero eufemisticamente considerati "forti raccomandazioni", rispetto alla evoluzione culturale sino ai tempi più recenti del «nostro ordinamento giuridico [che] registra una crescente valorizzazione dei diritti di autodeterminazione, come il consenso informato, l'autodeterminazione della cura, il testamento biologico (DAT) e il coevo dibattito sul diritto di fine vita, che mostra un'indicazione preferenziale per modelli non impositivi in grado di riflettere in modo più adeguato l'interpretazione sistematica degli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost.» (Marina Calamo Specchia, "Audizione - Commissione Affari costituzionali del Senato", 7 dicembre 2021, cit., p. 14).

L'off-label del completamento del ciclo vaccinale

Tra queste dunque anche l'uso off-label qualificato dal trattamento obbligatorio di completamento del ciclo vaccinale con la terza e quarta dose, tenendo conto che nessuna indicazione effettiva in tal senso si poteva trarsi dai foglietti illustrativi dei vari farmaci, alcuni dei quali, ma non tutti, contenevano indicazioni solo apparenti (ad es. la idoneità, non altrimenti descritta, dei riceventi) che non risulta mai verificata in precedenza in un ordinamento liberale.

Il legislatore, invero, nemmeno assumendo la responsabilità diretta per la scelta politica, ha posto "una presunzione di idoneità fisica di tutto il personale sanitario ed equiparati a ricevere la terza dose di vaccino, nella sostanza delle cose venendo a modificare, in maniera che sembrerebbe potersi definirsi abnorme, la - non coincidente - indicazione che si legge al riguardo nei fogli informativi redatti dalle case farmaceutiche produttrici" (D. Cenci, op. cit., p. 220).

Come è stato affermato da autorevole dottrina, «una cosa è mettere a disposizione un farmaco per chi può scegliere di assumerlo o rifiutarlo, come avviene, ad esempio, per i malati oncologici. Un'altra cosa è obbligare a/l'assunzione. E un'altra cosa ancora è indurre a/l'assunzione, attraverso misure equivalenti come il green pass [...] Si metta nei panni del governo. Per obbligare senza correre rischi bisogna essere sicuri degli effetti di ciò che si induce ad assumere. Ma sicuri non si può esserlo; di conseguenza, mentre nessuno si preoccupa dell'obbligo vaccinale per l'antitetanica o per l'antivaiolosa, per questi vaccini si è usata prima la strada dell'induzione, e poi dell'obbligo con sanzione di 100 euro. Che è pressappoco la stessa cosa, solo un po' più stringente [...] Visto che gli effetti a medio-lungo termine sono in natura incerti, dato che la macchina del tempo non c'è, meglio cautelarsi e far firmare una dichiarazione di assunzione del rischio da parte dell'obbligato. Il quale, se un giorno si vorrà rivalere, non avrà nulla da dire perché ha dichiarato di essere informato dei rischi. Il consenso è volontà, e questa è una dichiarazione di volontà che, in un mondo normale, sarebbe considerata viziata da errore o violenza [...] Se c'è obbligo giuridico non c'è nessuna volontà giuridica da esprimere: lo capisce chiunque. Il consenso informato poteva avere ancora senso ai tempi del green pass generalizzato, dove non c'era obbligo formale, e dove può funzionare il coactus tamen voluit (volle perché costretto), come nel caso odierno della vaccinazione under 50. Non ha, però, nessun senso dove l'individuo è solo coactus […]» (A. Mangia op.cit., p. 7).

Ebbene, le indicate aporie, complessivamente e prudentemente valutate, hanno comportato l'utilizzo off-label dei prodotti farmaceutici anti Covid-19, quantomeno sotto il duplice profilo (1) dell'aumento del 50% e persino del raddoppio della dose iniettata, nei casi, rispettivamente, di terza e di quarta somministrazione, e (2) della mancanza radicale della previsione di un secondo richiamo - ossia di una "quarta dose" - nei foglietti illustrativi, in spregio ai criteri prudenziali nella somministrazione alla luce degli allarmanti dati ufficiali sul numero degli eventi avversi gravi, ed anche letali, in possibile correlazione con le inoculazioni massive "a tappeto" (D. Cenci, op. cit.).

Infatti dalla lettura del contenuto dei foglietti illustrativi dei cinque prodotti somministrabili in Italia come vaccini anti covid-19, in nessuno di essi compare o si richiama una "quarta dose" (ovvero un secondo richiamo, dopo una prima somministrazione, che generalmente è sub-articolata in due iniezioni), mentre il solo prodotto Jcovden (Johnson & Johnson), a differenza di tutti gli altri, era strutturato, testualmente, su una «vaccinazione primaria a dose singola» e prevedeva poi «una dose di richiamo (seconda dose) [… che] può essere somministrata» dopo un determinato intervallo temporale dalla vaccinazione primaria, a persone di età pari o superiore ai diciotto anni.

Diverso discorso potrebbe essere fatto sulla "terza dose", in relazione alla quale nel foglietto di Nuvaxovid (Novavax) non vi era menzione alcuna della possibilità di praticare una terza iniezione dopo le prime due, a differenza dei due vaccini a vettore virale Jcovden (Johnson & Johnson) e Vaxzevria (Astra-Zeneca) i quali potevano essere usati come dose di richiamo eterologa (terza iniezione) dopo il completamento del ciclo, articolato in due somministrazioni, di vaccini a mRNA, cioè Comirnaty (Pfizer) e Spikevax (Moderna), così come lo sarebbero stati sia Jcovden (Johnson & Johnson) - ma dopo il completamento del solo ciclo vaccinale a mRNA (r. eterologo) - sia Comirnaty (Pfizer) ma dopo il completamento di un ciclo di qualsiasi vaccino indifferentemente a vettore virale o a mRNA (r. sia omologo che eterologo) -, indicati come idonei ad una singola dose di richiamo e soltanto per destinatari che siano «soggetti idonei».

Come sopra anticipato, quanto al tema della eterogeneità rispetto alla precedente vaccinazione dei prodotti impiegati per i richiami, i fogli illustrativi - specialmente quelli aggiornati sino ai primi mesi del 2022 - sottintendevano che il ciclo "completo" fosse effettuato con il medesimo farmaco: "se pur si legge che Jcovden (Johnson & Johnson) e Vaxzevria (Astra-Zeneca), a determinate condizioni, e Comirnaty (Pfizer), in funzione, per così dire, omnibus, potevano fungere da richiamo dopo il completamento del ciclo, deve notarsi che analoga previsione non si rinveniva nel foglio illustrativo del vaccino Spikevax (Moderna): in conseguenza, parrebbe doversi logicamente escludere che tale ultimo farmaco sia stato indicato dal produttore come idoneo ad effettuare "richiami" eterologhi" (Daniele Cenci, op. cit., p. 200).

La necessità di un consenso "personalizzato"

Per tali e tanti motivi, proprio in applicazione dei principi normativi richiamati e nel rispetto delle buone pratiche sanitarie in ottica precauzionale, sarebbe stato doveroso prima di procedere all'inoculazione di dosi ulteriori rispetto al "ciclo completo" assentito di due dosi, una previa completa attività informativa, l'acquisizione dal paziente di un consenso "personalizzato", cioè "tarato" sulla specifica situazione («in singoli casi»: art. 3, comma 2, della citata legge n. 94 del 1998), in modo da consentire la necessaria verifica della tollerabilità e della efficacia nel caso singolo, basando la scelta trattamentale su una seria valutazione in termini di rischi-benefici per il singolo paziente e, comunque, su un'opera di monitoraggio del destinatario dell'iniezione anche successiva all'atto medico in senso stretto (art. 3, comma 2, l. n. 94/1998, e nell'art. 13 codice deontologico medici).

Ma ciò non è stato fatto, perchè il "doveroso" era stato derubricato in "eventuale", per poi diventare "omesso" in virtù delle immunizzazioni dalla responsabilità garantita dal c.d. scudo penale.

Le stesse violazioni sono ancora più serie alla luce del fatto che la "quarta dose" (o "secondo richiamo" dopo un ciclo completo di due somministrazioni, aumentate a tre in seguito) sia il frutto di un obbligo si assunzione voluto a livello politico e non fondata su evidenze scientifiche, inesistenti in rerum naturae, imposta per una volontà amministrativa (Determina n. DG/699/2021 del 15 giugno 2021; Circolare Ministero della Salute 26246 del 11 giugno 2021; Verbale CTS allegato alla circolare Ministero della Salute 26246 del 11 giugno 2021; Determina n. DG/1067/2021 del 10 settembre 2021; Determina DG/153/2022 del 11 aprile 2022 e la Determina D.G/301/2022 del 21 luglio 2022) del tutto incoerente con le indicazioni dei foglietti illustrativi e, dunque, riconducibile ad un utilizzo off-label, nei termini sopra indicati: "infatti nessuna indicazione si trae, come si è già visto), dai foglietti informativi, alcuni dei quali - e nemmeno tutti - indicano come possibili destinatari della somministrazione i soggetti immunocompromessi ovvero quelli "idonei" alla ricezione, senza minimamente indicare in cosa tale idoneità possa consistere" (D. Cenci, op.cit., p. 207).

Un caso inedito nella storia della medicina

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In conclusione, se prima della sentenza in commento l'eccezione dell'uso off-label costituiva argomento di discussione in dottrina ed una aspirazione delle parti nei motivi di ricorso, ora, con l'accertamento in giudizio della pluralità di richiami sui quali si è concretamente sviluppata la campagna vaccinale anti Covid-19 con impiego di prodotti omologhi o eterologhi, si può affermare che non è stato coerente con le indicazioni contenute nei fogli illustrativi. E, dunque, con l'autorizzazione all'immissione in commercio, si è realizzato un caso "inedito nella storia della medicina, di massiva vaccinazione reiterata con caratteristiche atipiche sconfinanti nell'impiego off-label ovvero addirittura di tipo off-label; e, nell'affermativa, apparirebbe necessario chiedersi se vi siano eventuali implicazioni problematiche e quali, poiché, come è stato efficacemente affermato, "con la prescrizione off label si sta facendo qualcosa al limite del consentito" (D. Cenci, in "Vaccinazione Covid-19: evidenza scientifica e analisi etico giuridica" cit., p. 194).

* Avv. Angelo Di Lorenzo, presidente Avvocati Liberi

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