"L'avvocatura difende, da sempre, i diritti degli ultimi e dei perseguitati: le offese razziste ed omofobe pubblicate sui social non sono scriminate dal diritto di critica politica". Così il Consiglio nazionale Forense nella sentenza n. 214/2024, pubblicata il 20 ottobre scorso sul sito del Codice deontologico, condannando fermamente la condotta di un professionista.
"Sono disciplinarmente rilevanti, perché contrarie ai basilari principi di probità, dignità e decoro (che devono guidare l'avvocato anche al di fuori dell'esercizio della professione forense e quindi pure nell'utilizzo dei social media), le affermazioni razziste e omofobe, che in quanto tali non possono ritenersi scriminate dal diritto di critica poiché eccedenti limiti della continenza. Peraltro - sostiene ancora il CNF - benché i discorsi, gli scritti e in generale gli atti politici siano sottratti al sindacato disciplinare (art. 39 RDL n. 1578/1933), il professionista incontra sempre, oltre alle norme civili e penali che qualificano la condotta come illecita, anche il limite delle norme di correttezza professionale, sicché frasi razziste ed omofobe non possono mai considerarsi manifestazione di attività politica o pubblicistica, ma espressioni profondamente lesive della dignità e del decoro professionale e perciò illecite sotto il profilo disciplinare".
Diversamente, ha concluso il Consiglio rigettando il ricorso del legale, "si verificherebbe la produzione di un grave danno a tutta la categoria forense, con inescusabile lesione al decoro della professione, da sempre caratterizzata per la difesa dei diritti degli ultimi e dei perseguitati".
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