"L'avvocato, prima di assumere l'incarico, deve accertare l'identità della persona che lo conferisce e della parte assistita". Per cui, il comportamento dell'avvocato che, al momento di assumere l'incarico (art. 23 Cdf), ometta di accettare l'identità del cliente e, dopo aver appreso la falsità delle generalità dallo stesso dichiarate, ometta di rinunciare tempestivamente al mandato, costituisce grave illecito disciplinare. Questo quanto affermato dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 269/2024, pubblicata il 25 novembre sul sito del Codice deontologico.
Nella vicenda, il CNF è chiamato a decidere sul ricorso di un avvocato avverso la decisione del Consiglio distrettuale di disciplina forense della Corte d'Appello di Campobasso che lo aveva ritenuto responsabile di diverse violazioni deontologiche, tra cui quella ex art. 23 comma 2 vigente Cdf, "per non aver accertato l'identità delle persone che gli avrebbero conferito l'incarico", sanzionandolo con la sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per anni due.
Il Consiglio, riportandosi alla giurisprudenza domestica uniforme (cfr. tra le altre, CNF n. 177/2020) ha affermato il principio sopraindicato e riconosciuto la responsabilità del ricorrente, tuttavia - grazie all'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare per alcune delle condotte contestate e al non luogo a provvedimento disciplinare per insussistenza di altre - mitigando la sanzione nella sospensione dall'esercizio della professione per un anno.
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