Il fatto
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Nel 2011 un paziente sottoposto anni prima (2005) a trapianto di fegato presso l'Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena convenne in giudizio l'azienda stessa chiedendo di accertarne la responsabilità in relazione alla condotta imperita ed imprudente dei sanitari, imputandogli:
- di non avere eseguito nel rispetto della migliore scienza medica e della legislazione di settore l'intervento chirurgico di trapianto di fegato cui era stato sottoposto il 19.12.2005 avendo i chirurghi impiantato un fegato non idoneo, in quanto proveniente da soggetto deceduto per intossicazione acuta da monossido di carbonio, che gli aveva causato uno scompenso metabolico, e, rimosso tale organo, per averlo messo in stato "anepatico" per dodici ore prima di impiantargli un altro fegato proveniente da un altro donatore;
- di non averlo informato che il fegato disponibile per il trapianto proveniva da un soggetto deceduto per la predetta intossicazione acuta da monossido di carbonio e di non avergli spiegato i rischi connessi al trapianto di tale "organo già danneggiato", risultando per la parte attrice indifferente se l'intervento fosse stato o meno eseguito secondo le "legis artis" in quanto la correttezza dell'esecuzione dell'intervento assume rilievo solo agli effetti della configurazione di una responsabilità sotto un diverso profilo di giuridico.
Chiedeva quindi la condanna dell'Azienda convenuta al risarcimento dei danni subiti, ed in particolare:
a) il danno biologico da invalidità temporanea e permanente che quantificava in Euro 148.362,20;
b) il danno non patrimoniale (morale) ex art. 2059 c.c. che quantificava in Euro 50.000;
c) dalla lesione del consenso informato determinata dalla "privazione del diritto ad una scelta ponderata e consapevole.
L'Azienda Ospedaliero di Modena costituitasi in giudizio contestava la responsabilità dei sanitari e tutte le domande attoree, chiedendone quindi il rigetto. Inoltre nella memoria di comparsa, dichiarava che durante l'intervento, nella fase di rivascolarizzazione si era verificata una "riperfusione lenta e marezzata del graft" con improvviso crollo della pressione arteriosa, che costrinse 15 minuti dopo i chirurghi all'espianto del fegato trapiantato con confezionamento di un'anastomosi porto-cavale temporanea in attesa di procedere a ritrapianto di fegato da altro donatore, avvenuto poi nella medesima giornata. L'Azienda, dunque, sostenne la correttezza della condotta dei sanitari i quali avevano operato secundum legem artis sia nell'esecuzione dell'intervento, di particolare difficoltà ex art. 2236 c.c. sia nella fase post operatoria, nonché la completezza degli accertamenti svolti sull'organo. Il Centro Interregionale Trapianti, infatti, eseguiti i necessari accertamenti, aveva qualificato il soggetto donatore come soggetto a rischio standard con valutazione di idoneità "discreta" ed aggiunse che i trapianti di fegato provenienti da soggetti deceduti a causa di inalazione di monossido di carbonio non determinano, di per sé, il verificarsi della sindrome da riperfusione dopo l'innesto dell'organo e che, nella fattispecie, il fatto che l'organo provenisse da soggetto deceduto per tale intossicazione non aveva in alcun modo influito né sull'idoneità dell'organo né sull'esito dell'intervento.
Una successiva richiesta di risarcimento danni per difetto di consenso informato, affermando che i due moduli fatti firmare al paziente e prodotti dall'Azienda Ospedaliera convenuta erano incompleti, quello chirurgico molto generico da non consentire al paziente di formarsi un adeguato consenso al trattamento chirurgico l'altro invece, è stato definito "non pertinente" in quanto si trattava del consenso informato all'anestesia; il Tribunale di prime cure quindi accoglieva le doglianze formulate da parte attrice affermando quindi la civile responsabilità dell'Azienda e condannandola al pagamento della somma di Euro 10.000 per il danno da lesione del consenso informato, inteso come "diritto all'autodeterminazione, pregiudizio di apprezzabile gravità "diverso dalla lesione del diritto alla salute", inoltre, "per i prevedibili esiti infausti dell'operazione e per l'aggravamento delle condizioni di salute del paziente … essendo irrilevante che il peggioramento sia dovuto ad un'esecuzione del trattamento corretta o scorretta"; condannava l'Azienda Ospedaliera al pagamento in favore dell'attore della somma di Euro 113.457 per il danno biologico, temporaneo e permanente, accertato dal CTU e liquidato in base alle tabelle del Tribunale di Milano.
Il ricorso in appello
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Avverso la sentenza del Tribunale di Modena, proponeva appello dinanzi la Corte d'Appello di Bologna, l'Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena, la quale con la sentenza n. 2294/2021 accoglieva l'appello e rigettava le domande formulate dall'attore originario, condannandolo alla restituzione a favore dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena delle somme pagate in ottemperanza alla sentenza appellata ed alla rifusione delle spese processuali.
Il ricorso in Cassazione
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Il paziente soccombente decideva quindi per il ricorso in Cassazione con i seguenti motivi di doglianza:
a) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in ordine alla pretesa mancata allegazione della lesione del consenso informato sotto il profilo delle complicanze e dei rischi dell'intervento di trapianto de quo in riferimento all'art. 360 comma 1, n. 3."; in particolare, il ricorrente lamenta che la Corte avrebbe violato il principio di cui all'art. 112 c.p.c. (corrispondenza tra chiesto e pronunciato) non qualificando correttamente la domanda, oltre alla censura dell'inadempimento dell'obbligo informativo "anche sotto il profilo dei rischi e delle eventuali complicanze del trapianto eseguito"; sottoposto al C.t.u. che includeva anche l'esame del consenso.
b)Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in ordine alla pretesa mancata allegazione della lesione del consenso informato sotto il profilo della lesione del diritto alla salute in riferimento all'art. 360 comma 1, n. 3."la Corte d'Appello ha ritenuto che il danneggiato non avesse allegato la lesione del consenso sotto il profilo della lesione del diritto alla salute eventualmente derivato, sebbene, viceversa, nell'atto di citazione, di cui riporta uno stralcio, avesse allegato l'avvenuta violazione dell'integrità fisica, che comporta sempre un danno risarcibile; evidenzia che la Corte d'Appello ha omesso di valutare la questione del consenso informato e quella dei danni biologici occorsigli che erano stati oggetto di contraddittorio durante le operazioni peritali, senza che la controparte avesse lamentato e dedotto alcunché, e sebbene il consulente d'ufficio avesse rilevato di non essere in grado di affermare con certezza se il paziente fosse stato informato o meno adeguatamente sulla scelta e modalità dell'intervento, conseguenze, tempi di recupero e possibili complicanze. Precisa che anche in parte qua la decisione gravata sarebbe illegittima per mancata individuazione del contenuto sostanziale della domanda.
c)con il terzo motivo il ricorrente lamenta la "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in ordine alla pretesa mancata allegazione dei pregiudizi subiti dal danneggiato per la lesione al proprio diritto di autodeterminazione" in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)"; in particolare, contesta la decisione impugnata anche sotto un ulteriore e connesso profilo della violazione dell'art. 1223 c.c. per aver ritenuto infondata la domanda di risarcimento del danno spiegata dal danneggiato per la lesione del diritto all'autodeterminazione conseguente al mancato consenso informato, per mancata allegazione necessaria e specifica, seguita da quella probatoria, di quali altri pregiudizi e diversi dal danno alla salute avesse subito il danneggiato.
Le ragioni della Cassazione
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La suprema Corte con la sentenza n. 30858 del 12 dicembre 2024, nel richiamare quanto già affermato in altri arresti giurisprudenziali nell'ambito della responsabilità medico-chirurgica ai fini della risarcibilità del danno inferto alla salute (per inadempiente esecuzione della prestazione sanitaria), ed al diritto all'autodeterminazione (per violazione degli obblighi informativi) enucleava le seguenti ipotesi:
I) se ricorrono
a) il consenso presunto e cioè, se può presumersi che se correttamente informato il paziente avrebbe comunque prestato il suo consenso
b) il danno iatrogeno, ossia, l'intervento ha determinato un peggioramento delle condizioni di salute preesistenti
c) la condotta inadempiente o colposa del medico, è risarcibile il solo danno alla salute del paziente, nella sua duplice componente relazionale e morale, conseguente alla non corretta esecuzione, inadempiente o colposa, della prestazione sanitaria;
II) se ricorrono
a)il dissenso presunto, ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe rifiutato di sottoporsi all'atto terapeutico
b) il danno iatrogeno (l'intervento ha determinato un peggioramento delle condizioni di salute preesistenti),
c) la condotta inadempiente o colposa del medico nell'esecuzione della prestazione sanitaria, è risarcibile sia, per intero, il danno, biologico e morale, da lesione del diritto alla salute, sia il danno da lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente, cioè le conseguenze dannose, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, allegate e provate (anche per presunzioni)
III) se ricorrono sia il dissenso presunto, sia il danno iatrogeno, ma non la condotta inadempiente o colposa del medico nell'esecuzione della prestazione sanitaria (cioè, l'intervento è stato correttamente eseguito), è risarcibile la sola violazione del diritto all'autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute - da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l'intervento non sarebbe stato eseguito - dev'essere valutata in relazione alla eventuale situazione "differenziale" tra il maggiore danno biologico conseguente all'intervento ed il preesistente stato patologico invalidante del soggetto;
IV) se ricorre il consenso presunto (ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe comunque prestato il suo consenso) e non vi è alcun danno derivante dall'intervento, non è dovuto alcun risarcimento;
V) se ricorrono il consenso presunto e il danno iatrogeno, ma non la condotta inadempiente o colposa del medico nell'esecuzione della prestazione sanitaria (cioè, l'intervento è stato correttamente eseguito), il danno da lesione del diritto, costituzionalmente tutelato, all'autodeterminazione è risarcibile qualora il paziente alleghi e provi che dalla omessa, inadeguata o insufficiente informazione gli siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di sé stesso, psichicamente e fisicamente (Cass. Sez. 3, 12/06/2023 n. 16633).
Spiega inoltre la Suprema Corte che, la Corte d'Appello di Bologna aveva riformato la sentenza di prime cure poiché in violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c. "aveva valutato la domanda di lesione del consenso informato esclusivamente con riguardo alle informazioni generali sull'intervento di trapianto di fegato contenute nei moduli scritti inseriti nella cartella clinica (…) senza che tali profili di inadempimento fossero stati ritualmente allegati e prospettati dall'attore nell'atto introduttivo e nella prima memoria ex art. 183 VI co. c.c. " infatti, gli stralci degli atti difensivi di prime cure riportati in ricorso non scalfiscono la esatta ricostruzione operata dalla Corte d'Appello.
La Corte d'Appello, poi da un lato, ha precisato che i "dati preoperatori, correttamente raccolti, non mostravano alcuna concreta controindicazione al trapianto" e che pertanto la circostanza della intossicazione da monossido di carbonio del donatore non costituisse una controindicazione all'utilizzo del fegato da trapiantare, tenuto conto che il Centro Interregionale Trapianti aveva segnalato la disponibilità dell'organo da trapiantare, esprimendo la valutazione finale di inidoneità del donatore come "discreta"; dall'altro lato, ha evidenziato che da quanto precisato dal Consulente d'ufficio, in replica alle osservazioni del Consulente di parte, "il paziente messo in lista d'attesa per un trapianto, in qualunque centro trapianti, non può scegliere il donatore e, soprattutto, deve essere informato della provenienza e delle caratteristiche dell'organo solo quando ci si trovi di fronte al sospetto o alla certezza che il donatore abbia una malattia infettiva o una malattia neoplastica trasmissibile, casi del tutto diversi da quello" di specie, concludendo nel ritenere che non vi era alcuna informazione che i sanitari fossero obbligati a dare sulla provenienza del fegato da soggetto deceduto per intossicazione da monossido di carbonio, talché alcun inadempimento era loro imputabile.
Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. sulla domanda di restituzione avversaria" in relazione alla statuizione di condanna della Corte d'Appello "alla restituzione di quanto ricevuto in esecuzione della sentenza appellata".
Veniva quindi accolto ricorso limitatamente al quinto motivo, inammissibili i restanti, la sentenza impugnata veniva cassata in relazione al motivo accolto e rinviata la causa alla Corte d'Appello di Bologna che, in diversa composizione, pronunci anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
Riflessioni
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In caso, di presunto consenso quindi, l'inadempimento dell'obbligo informativo, pur esistente, risulterebbe privo di incidenza sul risultato infausto dell'intervento correttamente eseguito, in quanto comunque voluto dal paziente e di conseguenza ciò che incide sulla incidenza causale della lesione ha a che vedere con l'inadempimento del sanitario che esegue l'intervento e non tanto con il consenso informato sebbene non esaustivo.
Diversamente, in caso di presunto dissenso, detto inadempimento assumerebbe invece efficienza causale sul risultato pregiudizievole, in quanto l'intervento terapeutico non sarebbe stato eseguito - e l'esito infausto non si sarebbe quindi mai verificato - non essendo stato voluto dal paziente.
L'allegazione dei fatti dimostrativi della opzione che il paziente avrebbe esercitato viene, quindi, a costituire elemento integrante del nesso eziologico (da provarsi ovviamente da parte della parte attrice ex art. 2697 c.c.) tra l'inadempimento e l'evento dannoso (v. Cass. n. 28985 del 2019, cit., e, ivi richiamata, Cass. n. 19199 del 19/07/2018, in motivazione)
Nel caso di deficit informativo dedotto come lesivo del diritto alla autodeterminazione, le considerazioni da fare riguarderanno invece i pregiudizi risarcibili, in tale ipotesi, dunque, la violazione dell'obbligo informativo determina comunque la lesione del diritto all'autodeterminazione in quanto al fatto lesivo e, se, di regola occorre prima allegare e provare, oltre alla violazione dell'obbligo informativo, anche che, se correttamente informato, il paziente avrebbe rifiutato di sottoporsi all'intervento, è parimenti ipotizzabile che, pur nel caso in cui possa presumersi che questi avrebbe prestato il consenso (o che comunque non v'è prova del contrario) egli non sia stato messo nelle condizioni di autodeterminarsi ed affrontarle consapevolmente (Cass. n. 7248 del 2018; Cass. n. 28895 del 2019).
Dunque, la violazione dell'obbligo informativo determina comunque la lesione del diritto all'autodeterminazione, con ciò, però, si rimane pur sempre sul piano dell'evento lesivo (o danno-evento), il quale non costituisce ex se un danno risarcibile.
Va dunque ribadito che un danno risarcibile da lesione del diritto all'autodeterminazione è percorribile solo se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità) diverso dalla lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente, da allegarsi specificamente e da provarsi concretamente, sia pure a mezzo di presunzioni.