Quando il bisogno primario prevale: la Cassazione chiarisce i limiti della responsabilità penale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 40685 del 2024, ha stabilito che un furto motivato dalla necessità di soddisfare bisogni primari, come la fame, può essere considerato un reato di minore gravità, comportando una pena più lieve rispetto al furto comune.

La vicenda riguarda un individuo che, spinto dalla fame e dalla mancanza di risorse economiche, ha sottratto generi alimentari da un supermercato durante il periodo natalizio. In primo grado, l'imputato era stato condannato per furto aggravato. Tuttavia, la Corte d'Appello ha riconosciuto lo stato di necessità, derubricando il reato a furto di lieve entità. La Procura Generale ha impugnato questa decisione, portando il caso all'attenzione della Suprema Corte.


La Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d'Appello, riconoscendo che l'azione dell'imputato era dettata dalla necessità di soddisfare un bisogno primario, quale la fame. La Corte ha sottolineato che, in situazioni di estremo disagio economico, il furto di beni di modesto valore, finalizzato alla sopravvivenza, può essere qualificato come reato di lieve entità ai sensi dell'articolo 626 del Codice Penale.


Questa pronuncia evidenzia l'importanza di valutare il contesto e le motivazioni sottostanti a un atto di furto. In particolare, riconosce che, in circostanze di estrema necessità, l'ordinamento giuridico può prevedere attenuanti per comportamenti altrimenti illeciti. Tuttavia, la Corte ha precisato che tale derubricazione è applicabile solo in casi eccezionali, dove sia evidente la sproporzione tra il danno arrecato e la necessità di soddisfare bisogni primari.


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