"Per la giusta dosimetria della sanzione, e in particolare ai fini di un'eventuale mitigazione della stessa, tra le altre cose rilevano il grado non particolarmente elevato della colpa e l'assenza di dolo o intento fraudolento, la correttezza del comportamento precedente e successivo ai fatti, le vicende personali e professionali dell'incolpato nel periodo considerato, la ridotta gravità o l'assenza del danno per l'esponente, l'intervenuto risarcimento del danno, l'ammissione di responsabilità e il rammarico espresso per l'accaduto, il ravvedimento operoso, la mancata compromissione dell'immagine della professione forense, la commendevole vita professionale, l'insussistenza di precedenti disciplinari". Così il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 293/2024 pubblicata il 29 dicembre 2024 sul sito del Codice deontologico.
A rivolgersi al CNF è un avvocato sanzionato dal CDD di Bologna con la censura per aver compiuto una serie di violazioni deontologiche, tra cui l'omissione di informazione nei confronti dell'assistito sullo stato della causa e sull'edito della stessa. "Nel rapporto fiduciario, quale quello che lega l'avvocato al suo cliente non può essere consentita alcuna violazione della fiducia consistente anche nella completezza e non solo nella verità delle informazioni destinate all'assistito" afferma il Consiglio. Tuttavia, gli elementi risultanti dagli atti inducono a ritenere adeguata al caso concreto una sanzione più mite di quella adottata dal CDD. Costituisce principio pacifico quello secondo il quale in ossequio al principio enunciato dall'art. 21 NCDF (già art. 3 codice previgente), nei procedimenti disciplinari l'oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell'incolpato e tanto al fine di valutare la sua condotta in generale, quanto a quello di infliggere la sanzione più adeguata, che non potrà se non essere l'unica nell'ambito dello stesso procedimento, nonostante siano state molteplici le condotte lesive poste in essere.
"Tale sanzione, quindi, non è la somma di altrettante pene singole sui vari addebiti contestati, quanto invece il frutto della valutazione complessiva del soggetto interessato, tenendo conto: della gravità del fatto, del grado della colpa, della eventuale sussistenza del dolo e della sua intensità, del comportamento dell'incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, oggettive e soggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione (comma 3), del pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, della compromissione dell'immagine della professione forense, della vita professionale dell'incolpato, dei suoi precedenti disciplinari (comma 4)" prosegue il CNF.
Principio ribadito dal Consiglio (cfr. sentenza n. 111 del 25 giugno 2022), secondo il quale: "Per la giusta dosimetria della sanzione, e in particolare ai fini di un'eventuale mitigazione della stessa, tra le altre cose rilevano il grado non particolarmente elevato della colpa e l'assenza di dolo o intento fraudolento, la correttezza del comportamento precedente e successivo ai fatti, le vicende personali e professionali dell'incolpato nel periodo considerato, la ridotta gravità o l'assenza del danno per l'esponente, l'intervenuto risarcimento del danno, l'ammissione di responsabilità e il rammarico espresso per l'accaduto, il ravvedimento operoso, la mancata compromissione dell'immagine della professione forense, la commendevole vita professionale, l'insussistenza di precedenti disciplinari".
Ed ancora, "La sanzione nel procedimento disciplinare rappresenta il frutto di un giudizio complessivo sulla condotta dell'incolpato, cui va irrogata una pena unica che non 6 conseguenza di una somma delle sanzioni relative alle singole violazioni".
Nel caso di specie, vi sono diversi elementi che depongono per ritenere non congrua la sanzione della censura inflitta. Intanto vi è la declaratoria di prescrizione di una delle violazioni contestate, poi vi è il comportamento dell'incolpato che ha ristorato le spese dell'atto di precetto subito dall'assistito: "fatti che - per filo Collegio - consentono di ritenere adeguata una sanzione più mite. Pertanto, in parziale accoglimento del ricorso, si può giungere all'applicazione della sanzione dell'avvertimento, sanzione quest'ultima che appare adeguata alla violazione accertata, tenendo conto di tutti gli altri elementi emersi".