Il Consiglio Nazionale Forense ricorda che l'illecito disciplinare è indipendente dal verificarsi di un danno o dal suo risarcimento


"Il pregiudizio eventualmente subìto dalla parte assistita o da terzi a causa dell'illecito deontologico costituisce uno degli aspetti che il giudice disciplinare deve valutare nella determinazione della sanzione (art. 21, co. 4 CDF), ma non elemento costitutivo della fattispecie (che intende salvaguardare il decoro e la dignita" dell'intera classe forense mediante la repressione di ogni condotta che sia contraria ai doveri imposti dalla legge), sicché l'assenza o il risarcimento di un danno derivante da una condotta deontologicamente rilevante non ne fa venir meno l'illiceità, ma può tutt'al più essere valutato dall'organo disciplinare solo ai fini della commisurazione della relativa sanzione". Questo quanto affermato dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 276/2024, pubblicata l'1 gennaio 2025 sul sito del Codice deontologico.

Interpellato da un'avvocatessa del foro di Cagliari, avverso la decisione emessa dal Consiglio Distrettuale di Disciplina Forense del distretto della Corte d'Appello della medesima città che l'aveva ritenuta responsabile delle violazioni ai capi di incolpazione e le aveva inflitto la sanzione della censura, il CNF conferma così gli addebiti.

Per quanto concerne, invece, la misura della sanzione, considerato che "agli organi disciplinari è riservato il potere di applicare la sanzione adeguata alla gravità ed alla natura del comportamento deontologicamente non corretto (cfr. Cass. SS.UU. 13791/12)" e che "l'art. 3 CDF richiede che la sanzione sia determinata sulla base dei fatti complessivamente valutati e - sia - commisurata alla gravità del fatto, al grado della colpa, all'eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento dell'incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, soggettive e oggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione" e che si debba comunque tenere conto «del pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, della compromissione dell'immagine della professione forense, della vita professionale, dei precedenti disciplinari»" il Consiglio, ritiene di dover accogliere parzialmente la doglianza della ricorrente.

In particolare, rammenta ancora il CNF, "la determinazione della sanzione disciplinare non è frutto di un mero calcolo matematico, ma è conseguenza della complessiva valutazione dei fatti (art. 21 cdf), avuto riguardo alla gravità dei comportamenti contestati, al grado della colpa o all'eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento dell'incolpata, alle circostanze -soggettive e oggettive - nel cui contesto è avvenuta la violazione, ai precedenti disciplinare". Per cui, nel caso di specie, "valutando complessivamente i fatti ed il comportamento della ricorrente, e, in particolare, il comportamento di leale collaborazione con il cliente, la scarsa possibilità di esito positivo dell'impugnazione e, infine, la mancanza di precedenti", il Collegio ritiene "possa essere applicata la più lieve sanzione dell'avvertimento".


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