La Corte d'appello di Lecce affronta il tema dei maltrattamenti in famiglia emersi durante una separazione coniugale conformandosi all'orientamento della giurisprudenza della Cassazione

La Corte d'Appello di Lecce, con la sentenza n. 405/2024 (sotto allegata), ha affrontato un caso di maltrattamenti in famiglia emersi durante una separazione coniugale.

Il contesto della vicenda

Nel corso del procedimento di separazione, sono emerse accuse di maltrattamenti da parte del marito nei confronti della moglie. La questione centrale riguardava l'incidenza di tali comportamenti sulla determinazione dell'addebito della separazione e sulle eventuali conseguenze penali.

Il Tribunale aveva precedentemente riconosciuto l'addebito della separazione al marito, ritenendo comprovati i comportamenti lesivi della dignità e dell'integrità fisica e morale della moglie. Inoltre, erano stati avviati procedimenti penali per i reati di maltrattamenti in famiglia (e altri reati).

L'appello

Il marito ha impugnato la decisione, contestando sia l'addebito della separazione sia le accuse di maltrattamenti.

In particolare, l'uomo lamentava illegittimità della riqualificazione del delitto in quello più grave ex art. 572 c.p. A dire della difesa, infatti, ai fini dell'integrazione del reato di maltrattamenti in famiglia è necessaria "l'attualità di una relazione familiare intesa come vincolo affettivo e produttivo di doveri di solidarietà e assistenza" e che, sul piano soggettivo, l'agente deve volere la produzione del regime di vita segnato dalla vessazione nella sua specifica qualità di patologica relazione familiare. Nella specie, la convivenza familiare risultava cessata da anni rispetto alla data del fatto reato essendo intervenuta la separazione tra i due coniugi.

La decisione

La Corte d'Appello ha esaminato le prove testimoniali e documentali, valutando la gravità e la reiterazione dei comportamenti denunciati, e confermando la riqualificazione del delitto ex art. 572 c.p.

Il GUP, afferma la Corte d'appello, "si è conformato all'orientamento della Suprema Corte, condiviso da questo Collegio e ormai prevalente, secondo cui integrano il reato di maltrattamenti in famiglia, e non quello di atti persecutori, le condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano, come nella specie, dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta 'persona della famiglia' fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 45400 del 30/09/2022). Infatti, la separazione è condizione che non elide lo 'status' acquisito con il matrimonio, dispensando dagli obblighi di convivenza e fedeltà, ma lasciando integri quelli di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale, e collaborazione, che discendono dall'art. 143, comma 2, c.c., cosicché il coniuge separato resta 'persona della famiglia', come peraltro si evince anche dalla lettura dell'art. 570 c.p.".

L'interpretazione secondo cui le condotte violente, psicologiche e fisiche, consumatesi in fase di separazione dei coniugi sono inquadrabili nel reato di cui all'art. 572 c.p. è in linea, del resto, conclude il giudicante "con l'altro pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità, pure applicabile nel caso di specie, secondo cui è configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l'agente nel caso in cui quest'ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dalla filiazione (cfr. Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 43846 del 29/09/2023)".

Scarica pdf App. Lecce n. 405/2024

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