La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1269 del 2025 (sotto allegata), ha stabilito che la polizia giudiziaria non può accedere ai messaggi presenti su un telefono cellulare senza un provvedimento di sequestro emesso dall'autorità giudiziaria.
Il caso in esame
Durante un controllo, le forze dell'ordine hanno ottenuto il consenso dell'indagato per accedere al suo smartphone. Tuttavia, la Suprema Corte ha chiarito che tale consenso non è sufficiente per esaminare la messaggistica privata; è necessario un decreto dell'autorità giudiziaria.
La normativa di riferimento
L'articolo 254 del codice di procedura penale disciplina il sequestro della corrispondenza, prevedendo che solo l'autorità giudiziaria possa disporre l'apertura e l'esame del contenuto dei messaggi. La polizia giudiziaria, pertanto, deve limitarsi a sequestrare il dispositivo senza accedere autonomamente ai dati in esso contenuti.
Precedenti e implicazioni pratiche
La Cassazione aveva già affrontato temi analoghi, ribadendo che i messaggi conservati nella memoria di un dispositivo elettronico mantengono la natura di corrispondenza anche dopo la loro ricezione.
Pertanto, la loro acquisizione deve avvenire secondo le procedure previste per il sequestro della corrispondenza.
La pronuncia sottolinea l'importanza di rispettare le garanzie costituzionali in materia di segretezza della corrispondenza e di libertà personale. Le forze dell'ordine devono attenersi scrupolosamente alle procedure legali per l'acquisizione di messaggi privati, evitando iniziative autonome che potrebbero compromettere la validità delle prove raccolte.
Scarica pdf Cass. n. 1269/2025• Foto: 123rf.com