La Cassazione Civile sezione 2 con ordinanza numero 1254 del 18 gennaio 2025 ha stabilito che: " .. quanto alla contestazione del messaggio whatsapp prodotto, si rileva che i messaggi "whatsapp" e gli "sms" conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una "chat" di whatsapp" mediante copia dei relativi "screenshot", tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi (Cass. Sez. U, Sentenza n. 11197 del 27/04/2023).
Il valore dei messaggi WhatsApp
Essi ai sensi degli articoli 234 c.p.p. e seguenti, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all'acquisizione di corrispondenza di cui all'art. 254 c.p.p.
Il messaggio di posta elettronica (c.d. e-mail) - e cosi i messaggi whatsapp - costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19622 del 16/07/2024; Sez. 2, Sentenza n. 11584 del 30/04/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 30186 del 27/10/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 11606 del 14/05/2018).
L'articolo 2712 del codice civile in materia di riproduzioni meccaniche e informatiche (tipologia alla quale il documento in questione può essere ricondotto), ha rilevato che ai sensi di detta norma tali riproduzioni formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, "se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosca la conformità ai fatti e alle cose medesime". Tuttavia nel caso di specie, come il tribunale ha altresì considerato, il disconoscimento del tutto generico compiuto dalla parte 'destinataria' della produzione avrebbe dovuto investire la "non rispondenza alla realtà riprodotta nei messaggi rispetto a quella fattuale"; tale non rispondenza avrebbe inoltre dovuto essere dimostrata tramite l'indicazione di "circostanze idonee", che invece è stata integralmente omessa.
In proposito, il tribunale ha richiamato il consolidato orientamento della Suprema Corte (di recente confermato da Cass. Civ. n. 12794/2021 del 13 maggio 2021 e, in precedenza, da Cass. Civ. n. 19155/2019 specificamente in materia di messaggi SMS) secondo cui, onde privare una riproduzione informatica del valore di piena prova e degradarla a una presunzione semplice, occorre disconoscerla in modo "chiaro, circostanziato ed esplicito" nonché supportato dalla allegazione di "elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta".In generale, il disconoscimento ex art. 2712 c.c. non può effettuarsi sic et simpliciter con una mera dichiarazione di disconoscimento contenuta nell'atto difensivo; ma dovrà essere chiaro, circostanziato ed esplicito, con una specifica allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e documento prodotto: la giurisprudenza è chiara nel non consentire mere formule di stile o clausole generiche.
La differenza sostanziale si riscontra, però, nei termini: mentre il disconoscimento operato ai sensi dell'art. 215 c.p.c. deve effettuarsi nel primo atto difensivo successivo, il disconoscimento ex art. 2712 c.c. segue le scadenze temporali delle preclusioni istruttorie dettate dall'art. 183, comma 6, c.p.c.. Il tutto, tenendo sempre bene a mente l'art. 115 c.p.c., ai sensi del quale il Giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita.
L'articolo 2712 c.c. prevede che le riproduzioni meccaniche, fotografiche, informatiche (CAD) o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.
L'art. 2719 c.c. dispone inoltre che le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l'originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta.
Proprio partendo da tali disposizioni, la Cassazione aveva già riconosciuto pieno valore probatorio per gli SMS e per le immagini contenute negli MMS, ritenute "elementi di prova" integrabili con altri elementi anche in caso di contestazione (Cass. Civ. 11/5/05 n. 9884), chiarendo peraltro che in caso di disconoscimento della "fedeltà" del documento all'originale, rientrerebbe nei poteri del Giudice accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. 26/01/2000 n. 866, ex multis).
Allo stesso modo, tali disposizioni normative sono state invocate con riguardo ai messaggi WhatsApp ai quali peraltro, costituendo documenti informatici (ormai equiparati ai documenti tradizionali ai sensi della L. 40/08) a tutti gli effetti, si applicano tutte le norme in materia presenti nel nostro ordinamento.
In primo luogo, si rileva che la trascrizione dei messaggi WhatsApp è inutilizzabile e non può essere considerata congrua prova senza la produzione dei supporti informatici contenenti le conversazioni.
In caso di contestazione specifica e disconoscimento formale di tali messaggi, per valutare la veridicità di quanto asserito e verificare la corrispondenza della documentazione prodotta ai messaggi effettivamente inviati e contenuti nell'app in questione, il Giudice può infatti disporre un'apposita consulenza tecnica d'ufficio.
Ma in assenza dei supporti informatici (ad es. gli smartphone o il pc, in caso di WhatsApp Web) nei quali sono contenute le conversazioni in chat, non è possibile conferire ad esse valore probatorio, neppure attraverso un ordine di produzione che, in considerazione delle preclusioni processuali, avrebbe natura esplorativa e surrogatoria di oneri processuali di parte non assolti.
Come acquisire le prove su WhatsApp
Da un punto di vista tecnico, è pacifico che Whatsapp utilizzi comunicazioni end-to-end, e non utilizzi server per la memorizzazione delle stesse (come, invece, fa Messenger); ciò significa che le conversazioni risiedono solo sui dispositivi degli utenti, e che l'unico modo per acquisire i dati è la copia forense del dispositivo o l'estrazione dei dati da backup locali o cloud (senza voler contare l'acquisizione forense tramite Whatsapp Web, ad esempio utilizzando un software come FAW). Tra l'altro, anche i backup sono cifrati con una chiave unica per ogni account.
Il modo più sicuro per depositare in giudizio una chat Whatsapp è depositare anche il dispositivo che contiene la chat in questione, in modo tale da consentire la verifica di autenticità da parte di un eventuale CTU in caso di (presumibile) contestazione; il tutto, entro il secondo termine dell'art. 183, comma 6, c.p.c..
Assieme al dispositivo, occorre però depositare anche la chat preventivamente estratta da uno specialista (leggi perito forense) secondo le best practices di cui alla legge n. 48/2008 (e dunque le varie ISO/IEC 27035; 27037; 27067/12, RFC 2350, 3227, e le Linee Guida dell'AgID). È consigliabile, poi, inserire il testo della conversazione anche in uno degli atti di parte, al fine di costringere controparte alla contestazione ex art. 115 c.p.c..
A questo punto occorre chiedersi cosa succeda in caso di deposito degli screenshots della conversazione; la risposta è: dipende. Lo screenshot di una chat Whatsapp, depositato come riproduzione informatica, ha l'efficacia probatoria dettata dall'art. 2712 c.c. e dunque fa piena prova se non disconosciuto; lo screenshot depositato con un'autentica notarile, risulta conforme all'originale ai sensi dell'art. 2719 c.c. (e, dunque, può sempre essere disconosciuto).
Per far sì che un messaggio WhatsApp faccia il proprio ingresso all'interno di un processo come prova occorre essere in possesso di uno o più screenshot provenienti dal display del cellulare. Una volta ottenuto lo screenshot, il file contenente la conversazione può essere stampato, o, in alternativa, allegato mediante l'utilizzo di una penna usb da aggiungere al fascicolo.
In alternativa, il contenuto dei messaggi può essere fatto leggere a un soggetto terzo, che poi in un secondo momento sia disposto a testimoniare davanti al giudice. Mediante questo altro metodo, il messaggio può essere inserito all'interno del processo, mediante prova testimoniale. Si ricorda che la testimonianza per essere ammessa deve provenire da un testimone diretto (che ha letto il contenuto dei messaggi in prima persona). Non sono ammesse testimonianze indirette apprese da altri soggetti.
Per concludere, ai fini difensivi è sempre preferibile chiedere di ammettere dei testi sui fatti rappresentati nella chat.
Acquisire la prova di una conversazione via WhatsApp senza violare la legge non è cosa semplice. Bisognerebbe agire senza artifici o atti violenti. E difatti, secondo la Cassazione:
inserire un software spia nel cellulare altrui che riveli le conversazioni integra il reato di accesso abusivo a sistema informatico;
strappare lo smartphone di mano al proprio partner, farlo cioè con violenza, integra il reato di rapina;
accedere all'altrui email, anche se si dispone dei relativi codici di accesso (ottenuti in precedenza, ma per altre ragioni) integra anch'essa una condotta contraria alla privacy (si parla, pure in questo caso, del reato di accesso abusivo a sistema informatico.
Quindi per acquisire la prova di una chat su WhatsApp e fare uno screenshot bisognerebbe sperare nella distrazione del titolare che lasci il proprio smartphone incustodito, ad esempio sul tavolo della cucina o sul divano. In quel caso è possibile fare una fotografia del displayda cui risulti il contenuto che si intende utilizzare come prova.
C'è anche un'altra soluzione che è quella della prova testimoniale. Ad esempio, l'eventuale conversazione hot di una donna, scoperta dal figlio, può entrare in tribunale attraverso le dichiarazioni di quest'ultimo.
È ovvio che chi intende contestare il deposito di una chat Whatsapp come screenshot o come semplice file di testo avrà gioco facile; d'altronde la stessa giurisprudenza ha via via chiarito che la trascrizione dei messaggi WhatsApp è inutilizzabile e non può essere considerata congrua prova senza la produzione dei supporti informatici contenenti le conversazioni; e che la mera copia degli screenshots o fotocopie che riproducono i messaggi controversi, non assurgono alla dignità di prova spendibile, essendo necessario che tali riproduzioni siano validate nelle forme di legge (Trib. Milano Sez. lavoro, sentenza del 24.10.2017).
Il Giudice può disporre CTU
In caso di contestazione specifica e disconoscimento formale di tali messaggi, per valutare la veridicità di quanto asserito e verificare la corrispondenza della documentazione prodotta ai messaggi effettivamente inviati e contenuti su Whatsapp, il Giudice potrebbe disporre un'apposita consulenza tecnica d'ufficio.
Ciò presuppone il deposito, entro le debite scadenze processuali, del dispositivo nel quale è contenuta la conversazione in oggetto; al contrario, non potrebbe essere possibile conferire ad essa valore probatorio, neppure attraverso un ordine di produzione che, tenuto conto delle preclusioni processuali, sarebbe puramente esplorativo. In tal senso, nel rispetto dell'obbligo di deposito telematico, è opportuno fare istanza per il deposito "analogico" del dispositivo, a seguito della quale il Giudice potrà autorizzare il deposito del dispositivo ai sensi dell'art. 16 bis, comma 9, d.l. 179/2012.