La Cassazione si esprime in materia di reato di spaccio di sostanze stupefacenti applicando le disposizioni del Dl Caivano


La sentenza della terza sezione penale della Corte di Cassazione n. 5842/2025 (sotto allegata) segna un importante precedente interpretativo in materia di reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti, applicando le disposizioni del Dl Caivano. Secondo la Corte, la recidiva nel reato di spaccio fa scattare automaticamente l'aggravante della "non occasionalità", con significative ripercussioni sul piano sanzionatorio.

Il contesto normativo: il Dl Caivano

Il Decreto-legge Caivano ha introdotto misure più severe per i reati legati al traffico di stupefacenti, enfatizzando il contrasto alla reiterazione dei reati.

In particolare, per effetto delle modifiche apportate dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, di conversione dell'art. 4, comma 3, d.l. 15 settembre 2023, n. 123 (cd. "decreto Caivano"), al comma 5 è stato aggiunto un secondo periodo, a tenore del quale "chiunque commette uno dei fatti previsti dal primo periodo è punito con la pena della reclusione da diciotto mesi a cinque anni e della multa da euro 2.500 a euro 10.329, quando la condotta assume caratteri di non occasionalità".

Il principio stabilito dalla Cassazione

Si tratta, ha affermato la S.C., "di una peculiare ipotesi circostanziale della fattispecie base prevista dal primo periodo del comma 5 dell'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, come si desume non solo dalla collocazione della previsione in esame all'interno del medesimo comma, ma anche dal rinvio, quanto alla descrizione della condotta punita, alla fattispecie prevista dal primo periodo del medesimo comma 5, differenziandosi, rispetto ad essa, per l'elemento specializzante della 'non occasionalità' della condotta; sul terreno sanzionatorio, l'effetto della circostanza non è l'aumento di pena relativamente al massimo edittale - che coincide con quello comminato dall'ipotesi base -, ma l'innalzamento del minimo, con riferimento sia alla pena detentiva, sia alla pena pecuniaria.

Quanto, poi, all'elemento specializzante - ossia al fatto che la condotta non deve essere occasionale - deve ritenersi che esso sia integrato allorquando l'agente, al momento del fatto, abbia già riportato almeno un precedente specifico. Si tratta di una conclusione che si desume, in primo luogo, dal significato letterale della locuzione di "non occasionalità": se è occasionale la condotta che si è verificata una sola volta, per converso non occasionale è la condotta che si è realizzata più di una volta, e, quindi, almeno due.

Tale interpretazione, concludono gli Ermellini, "trova conforto dal raffronto con la condotta di abitualità, utilizzata dal legislatore in altri contesti; si tratta, in tal caso, di locazione più pregnante della mera non occasionalità, per integrare la quale, come affermato dalle Sezioni Unite con riferimento al riconoscimento del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen., è necessario che l'agente abbia già commesso, in precedenza, almeno due illeciti, oltre quello preso ni esame (cfr. Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591-01).

Nel caso di specie, deve ritenersi che, in fatto, sia stata contestata la non occasionalità della condotta, agevolmente desumibile dalla espressa contestazione della recidiva specifica infraquinquennale: il che sta evidentemente a significare che l'agente aveva già riportato una condanna definitiva per la medesima violazione e, che, quindi, il fatto, oggetto di contestazione, non è "occasionale".

Il ricorso è quindi rigettato.

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