T.U. 1124/1965. Esonero da responsabilità in materia del danno biologico del datore di lavoro
L'azione di regresso dell'INAIL
L'INAIL, ai sensi degli articoli 10 e 11 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ha il diritto di esercitare l'azione di regresso nei confronti del datore di lavoro per le somme pagate al lavoratore infortunato, quando l'infortunio sia avvenuto per violazione delle norme di sicurezza sul lavoro e il fatto costituisca reato perseguibile d'ufficio.Il termine prescrizionale per l'azione di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro decorre dalla liquidazione dell'indennizzo effettuata dall'Istituto al lavoratore infortunato. Come precisato dalla Sezione Unica nella Sentenza n. 5160 del 16 marzo 2015 (Rv. 634460 - 01), in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'azione di regresso può essere esercitata entro il termine triennale previsto dall'art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124. Poiché tale norma ha natura di prescrizione e si applica con il principio di stretta interpretazione delle disposizioni in materia di decadenza, il termine decorre dal momento in cui l'indennizzo è liquidato al danneggiato, o, in caso di rendita, dalla data di costituzione della stessa.
Questo momento rappresenta il fatto certo che dà origine al diritto derivante dal rapporto assicurativo. L'azione di regresso dell'INAIL, che mira a recuperare quanto corrisposto al danneggiato, è considerata assimilabile all'azione di risarcimento danni promossa dal lavoratore, in quanto funzionale a sanzionare il datore di lavoro e a garantire il risarcimento nei limiti del danno civilistico complessivo. Una posizione conforme è stata espressa anche dalla Sezione L nella Sentenza n. 20611 del 7 agosto 2018 (Rv. 649931 - 01).
Violazione delle norme di sicurezza e responsabilità del datore di lavoro
Il datore di lavoro deve aver violato le norme di sicurezza previste per la tutela dei lavoratori. L'art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.In tema di risarcimento del danno biologico differenziale, il datore di lavoro è tenuto a risarcire il danno subito dal lavoratore per lesioni dell'integrità psico-fisica non coperte dall'indennizzo INAIL, in quanto l'indennizzo stesso presenta caratteristiche ontologicamente diverse dal risarcimento del danno civile. La responsabilità civile del datore di lavoro permane anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 13 del D.Lgs. n. 38/2000, che estende la copertura assicurativa al danno biologico, e il lavoratore ha diritto a un risarcimento integrale per la parte di danno non indennizzata. Inoltre, la domanda di risarcimento per danno differenziale è inammissibile se già oggetto di un precedente giudizio concluso con sentenza passata in giudicato, in virtù del principio del "ne bis in idem".
Sistema sanzionatorio e assicurazione obbligatoria INAIL
Il sistema sanzionatorio per violazioni degli obblighi di sicurezza sul lavoro è intrinsecamente legato al sistema di assicurazione obbligatoria INAIL.Questo sistema, consolidato nel nostro ordinamento giuridico, grazie alla sua automaticità, tutela i lavoratori vittime di infortuni o malattie professionali, semplificando il risarcimento e superando problematiche come l'insolvibilità del datore di lavoro o la dimostrazione della sua colpa.
In questo contesto, l'esonero dalla responsabilità civile del datore di lavoro comporta per il lavoratore l'accettazione dell'indennizzo INAIL, anche se inferiore al danno effettivamente subito.
Prestazioni INAIL e azione di regresso
L'INAIL, ai sensi dell'art. 66 del T.U. 1124/1965, eroga prestazioni ai lavoratori danneggiati. Le indennità (art. 74 T.U.), commisurate alla menomazione lavorativa, temporanea o permanente, sono calcolate secondo parametri predefiniti. Successivamente al pagamento, l'INAIL, in base all'art. 1916 c.c. (applicabile anche alle assicurazioni contro infortuni), si surroga nei diritti del lavoratore nei confronti di terzi responsabili, fino a concorrenza dell'indennizzo erogato. In alternativa (artt. 10 e 11 T.U.), può agire in regresso contro i responsabili civilmente obbligati.Dopo aver corrisposto la somma in favore del lavoratore, l'INAIL è di diritto surrogato nei diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili (ed estranei al rapporto assicurativo), fino alla concorrenza dell'ammontare di essa, ai sensi dell'art. 1916 c.c., che per espressa disposizione si applica anche alle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e contro le disgrazie accidentali. Oppure, ai sensi degli artt. 10 ed 11 del citato T.U., può far valere l'azione di regresso contro i soggetti civilmente responsabili.
Ai fini della decisione, è importante richiamare il testo dell'art. 10 del citato Testo Unico, che recita:
«1. L'assicurazione a norma del presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro.
2. Nonostante l'assicurazione predetta permane la responsabilita' civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio è derivato.
3. Permane, altresi', la responsabilita' civile del datore di lavoro quando la sentenza penale stabilisca che l'infortunio sia avvenuto per fatto imputabile a coloro che egli ha incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro, se del fatto di essi debba rispondere secondo il Codice civile.
4. Le disposizioni dei due commi precedenti non si applicano quando per la punibilita' del fatto dal quale l'infortunio e' derivato sia necessaria la querela della persona offesa.
5. Qualora sia pronunciata sentenza di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia, il giudice civile, in seguito a domanda degli interessati, proposta entro tre anni dalla sentenza, decide se, per il fatto che avrebbe costituito reato, sussista la responsabilita' civile a norma dei commi secondo, terzo e quarto del presente articolo.
6. Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell'indennita' che, per effetto del presente decreto, e' liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto.
7. Quando si faccia luogo a risarcimento, questo e' dovuto solo per la parte che eccede le indennita' liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti.
8. Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennita' d'infortunio e' rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39».
La legge stabilisce inequivocabilmente l'esonero della responsabilità civile del datore di lavoro per infortuni e malattie professionali (cfr. art. 131 e Cass. Sez. L, Sent. n. 9166/10.04.2017). In sostanza, il legislatore, pur obbligando i datori di lavoro al pagamento dei contributi assicurativi INAIL, controbilancia tale onere garantendo l'esonero di responsabilità, naturalmente limitatamente alla copertura assicurativa.
In proposito, la Corte Costituzionale ha avuto modo di chiarire che l'istituto dell'esonero «è strettamente inserito nel vigente sistema previdenziale - assicurativo, come uno degli aspetti del complesso rapporto tra oggetto dell'assicurazione, erogazione dei contributi, prestazioni assicurative. Esso costituisce una garanzia per la quale - nell'ambito dei rischi coperti da assicurazione, ed in relazione ai quali il datore di lavoro eroga contributi - egli non è tenuto al risarcimento del danno».
Ovviamente , l'esonero opera « all'interno e nell'ambito dell'oggetto dell'assicurazione, così come delimitata dai suoi presupposti soggettivi ed oggettivi. Laddove la copertura assicurativa non interviene per mancanza di quei presupposti, non opera l'esonero: e pur trovando il danno origine dalla prestazione di lavoro, la responsabilità è disciplinata dal codice civile, senza i limiti posti dall'art. 10 del T.U. del 1965» (Corte Cost. n. 356 del 1991).
Va chiarito che nel regime previgente, il sistema di assicurazione per infortuni e malattie professionali copriva esclusivamente la perdita della capacità lavorativa. Sicché in quel sistema, si affermò il principio secondo cui il danno biologico era integralmente escluso dalla garanzia dell'esonero del datore di lavoro, tenuto pertanto a risarcire integralmente il danneggiato per il danno biologico subito a causa dell'infortunio o della malattia professionale.
Per contro, a partire dall'entrata in vigore dell'art. 13 del d.lgs. 28/02/2000, n. 38, ciò che il sistema assicurativo obbligatorio gestito dall'INAIL copre non è più la perdita della capacità lavorativa, ma direttamente il danno biologico derivante dall'infortunio o dalla malattia professionale. In sintesi, secondo la nuova disciplina, le menomazioni permanenti comprese tra il 6% e il 15% danno diritto a un indennizzo in capitale, proporzionato al grado della menomazione; le menomazioni pari o superiori al 16% danno diritto a una rendita suddivisa in due quote: la prima è determinata in base al grado della menomazione, ossia al danno biologico subito dall'infortunato, la seconda tiene conto delle conseguenze patrimoniali della lesione. Per i danni di natura biologica inferiori al 6% o temporanei non è prevista copertura assicurativa. L'INAIL è esclusivamente debitore per quanto riguarda le prestazioni indennitarie predeterminate dalla legge. Qualunque cosa che non rientri nelle menomazioni che, per natura o grado, non costituiscano un danno biologico - come definito dal d.lgs. n. 38/2000 - superiore al 6% o un danno patrimoniale pari o superiore al 16%, non è coperto dall'assicurazione obbligatoria e, di conseguenza, è escluso dalla disciplina dell'esonero.
Pertanto, oggi si può affermare che il meccanismo dell'esonero incide certamente sulla possibilità per il danneggiato di richiedere al datore di lavoro quanto previsto dalla legge, direttamente all'INAIL. Tuttavia, anche nel caso di responsabilità penale del datore di lavoro, «non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a una somma maggiore dell'indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto» (comma 6); ma, «per la parte che eccede le indennità liquidate», il risarcimento «è dovuto dal datore di lavoro» (comma 7). Da qui la nozione di "danno differenziale", inteso correttamente come quella parte di risarcimento che eccede l'importo dell'indennizzo dovuto dall'assicurazione obbligatoria e che resta a carico del datore di lavoro, qualora il fatto costituisca un reato perseguibile d'ufficio. Esso corrisponde a ciò che è già considerato dall'assicurazione obbligatoria, ma che, a causa della sua natura indennitaria, può presentare differenze di valore monetario rispetto al danno civilistico, principalmente per la diversa valutazione del grado di inabilità tra l'INAIL e il diritto civile (dove il grado di invalidità permanente viene determinato con criteri non imposti dalla legge ma sviluppati dalla scienza medico-legale), e per il diverso valore del punto di inabilità. Come è evidente, i commi successivi dell'art. 10, inclusi i commi 6 e 7 (che permettono al lavoratore di richiedere al datore di lavoro la differenza tra il risarcimento dovuto dalla responsabilità civile e l'indennità liquidata dall'INAIL), si applicano solo quando l'esonero non è operante, ossia quando si riscontri una condotta penalmente rilevante del datore di lavoro.
Ragioni di ordine letterale e sistematico militano in tal senso. La norma fa infatti riferimento espressamente al «risarcimento del danno», che (diversamente da espressioni quali "indennizzo", "indennità" e simili) si collega direttamente al concetto di responsabilità civile. Quella responsabilità, cioè, che è esclusiva per il datore di lavoro (ovviamente, come si è detto, limitatamente a ciò che copre l'assicurazione), in base al primo comma, ma che solo in caso di fatto-reato (a partire dal secondo comma), torna a prendere vita.
Inoltre, come si è visto, la norma colloca le disposizioni a ridosso dell'eccezione alla regola di cui primo comma, eccezione posta a partire dal secondo comma. È solo limitatamente all'eccezione alla regola dell'esonero, e dunque solo laddove la responsabilità civile del datore di lavoro sia configurabile per la sussistenza di un fatto-reato, il legislatore si pone il problema di conservare al datore di lavoro un esonero parziale quanto meno limitatamente alle somme corrisposte dall'INAIL al medesimo titolo della responsabilità civile per cui si agisce (id est il danno biologico).
Esonero di responsabilità del datore di lavoro
Per quanto concerne l'ambito di inapplicabilità della regola dell'esonero, il secondo comma dell'art. 10 stabilisce, in particolare, che l'esonero viene meno «a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio è derivato». In seguito a plurimi interventi della Corte costituzionale, stante l'autonomia del giudizio civile rispetto a quello penale, non è più necessaria una condanna penale perché operi il meccanismo per il quale viene meno la salvaguardia dell'esonero; è sufficiente che in sede civile venga accertato «che i fatti da cui deriva l'infortunio costituiscano reato sotto il profilo dell'elemento soggettivo ed oggettivo» (Corte cost. n. 102 del 1981).Tali conclusioni sono state espressamente avallate dalla Corte di cassazione (Cass. Sez. L Sentenza n. 9166 del 10/04/2017), la quale, sulla base dei suoi espliciti principi, così conclude: «In definitiva, a fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore il risarcimento dei danni connessi all'espletamento dell'attività lavorativa, il giudice adito, una volta accertato l'inadempimento, innanzitutto dovrà verificare se, in relazione all'evento lesivo, ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite dal D.P.R. n. 1124 del 1965 (sul punto v., da ultimo, Cass. n. 23146 del 2016; per l'assunto secondo cui per le malattie non tabellate i fattori di rischio comprendono anche quelle situazioni di dannosità che, seppur ricorrenti anche per attività non lavorative, costituiscono un rischio specifico c.d. improprio v. Cass. n. 3227 del 2011 entrambe in motivazione). In tal caso potrà procedere alla verifica di applicabilità della regola del Decreto citato nell'intero del suo articolato meccanismo, anche ex officio ed indipendentemente da una richiesta di parte in quanto si tratta della applicazione di norme di legge al cui rispetto il giudice è tenuto (in tal senso, circa i criteri di liquidazione del danno differenziale, v. Cass. n. 20807/2016 cit.). Prima individuando i danni richiesti dal lavoratore che non siano riconducibili alla copertura assicurativa e che abbiamo definito, per comodità di sintesi, complementari; per essi non opera l'esonero del datore di lavoro di cui al primo comma dell'art. 10 D.P.R. n. 1124 del 1965 e quindi gli stessi andranno risarciti secondo le comuni regole della responsabilità civile, anche in punto di presunzione di colpa.
Indi, ove siano dedotte in fatto dal lavoratore circostanze che possano integrare gli estremi di un reato perseguibile d'ufficio, attuato il giudizio di sospensione e di qualificazione giuridica che compete al giudice, questi potrà accertare in via incidentale autonomia la sussistenza dell'illecito penale e, in caso di esito positivo circa tale accertamento, procedere alla determinazione dell'eventuale danno differenziale, secondo le regole dettate dai successivi commi dell'art. 10 più volte citato.
Valuterà, cioè, il complessivo valore monetario del danno civilistico secondo i criteri comuni, con le indispensabili personalizzazioni, e da esso detrarrà quanto indennizzabile dall'INAIL, in base ai parametri legali, in relazione alle medesime componenti del danno, distinguendo, altresì, tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale (come già sancito da Cass. n. 20807/2016 cit.). Reputa il Collegio che anche tale operazione di scomputo vada effettuata ex officio ed anche se l'INAIL non abbia in concreto provveduto all'indennizzo, come accaduto nella fattispecie che ci occupa. Depone per tale soluzione il tenore letterale dell'art. 10 D.P.R. 1124/65 cit. compatibile anche col caso del difetto di un già intervenuto indennizzo. Infatti, i commi 6, 7 ed 8 della disposizione parlano di indennità o rendita "liquidata a norma" del decreto. Dunque non dicono "che è stata liquidata", né "pagata", ma parlano di mera "liquidazione", che è operazione contabile astratta che qualsiasi interprete può eseguire ai fini del calcolo del differenziale. Di contro l'art. 11 dello stesso decreto n. 1124/65, in materia di regresso, usa la ben diversa espressione di "somme pagate", certamente presupponendo il reale ed effettivo pagamento degli importi. Quindi, l'indennizzo può essere anche un termine di raffronto solo virtuale, cioè astrattamente liquidabile secondo un puro criterio tabellare. Altrimenti ragionando, il lavoratore locupleterebbe somme che il datore di lavoro comunque non sarebbe tenuto a pagare né al dipendente (perché il risarcimento al lavoratore, anche in casi di responsabilità penale, è dovuto solo per l'eccedenza), né all'INAIL (che può agire in regresso solo per le somme versate e, quindi, senza indennizzo non vi sarebbe regresso)».
Va aggiunto che, anche a seguito dei numerosi interventi della Corte Costituzionale, l'estensione della facoltà per il giudice civile di accertare l'esistenza di un'ipotesi di reato rimane tuttora limitata ai casi in cui sia stato avviato un procedimento penale, ma si sia concluso (per morte dell'imputato, amnistia, prescrizione, archiviazione, proscioglimento in sede istruttoria). In ogni caso, per l'accertamento del fatto-reato in sede civile, devono essere esclusi i criteri presuntivi e automatici previsti dall'art. 2087 c.c. La regola ivi stabilita, secondo cui l'onere della prova circa l'insussistenza delle condizioni fattuali per l'accertamento della responsabilità civile è a carico del datore di lavoro, salvo che venga introdotto un meccanismo presuntivo per l'accertamento della responsabilità civile dell'imprenditore, non può essere automaticamente trasferita al ben diverso ambito della responsabilità penale. Allo stesso modo, la confessione del presunto autore, diversamente da quanto avviene in sede civile, non fa piena prova della responsabilità penale del confidente, poiché i principi stabiliti dagli artt. 2730 ss c.c. non operano per l'accertamento del reato, nemmeno in sede civile. Inoltre, la commissione del reato, secondo il giudice adito, non può essere presumibile fino a prova contraria ai sensi dell'art. 2087 c.c. Non è cioè l'imprenditore a dover provare di non aver commesso un reato, ma spetta alla parte che afferma l'esistenza della condotta illecita (quale fatto costitutivo del diritto al risarcimento del danno biologico differenziale nei confronti del datore di lavoro) provare l'esistenza della stessa. A tal proposito, la Cassazione, correggendo sul punto le conclusioni della Corte territoriale (che aveva ritenuto che la responsabilità del datore di lavoro discendesse direttamente dall'art. 2087 c.c.), ha chiarito che, in tema di risarcimento dei danni da infortuni sul lavoro e malattie professionali, l'accertamento di un danno all'integrità fisica del lavoratore costituisce una valutazione implicita dei presupposti astrattamente contemplati per la fattispecie penale del reato di lesioni, almeno colpose, purché sia addebitabile all'insufficiente predisposizione di strumenti di sicurezza in violazione di un obbligo legale. Quindi, l'attribuibilità al datore di lavoro di tale condotta omissiva è corretta (Cass. Sez. L., Sentenza n. 20620 del 22/11/2012). In tema di infortuni sul lavoro, infatti, la libertà di cui il giudice civile dispone nell'indagine sulla sussistenza o meno di una responsabilità penale del datore di lavoro (o di una persona del cui operato egli debba rispondere secondo il codice civile), il cui positivo accertamento costituisce una lesione del danno che eccede le prestazioni previdenziali (art. 10 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, come "costituzionalizzato" dalle sentenze nn. 22/67, 102/81 e 118/86 della Corte costituzionale), non esclude che tale indagine, pur svolta in sede civile, debba rispettare il rigore dell'accertamento penale per quanto riguarda la prova positiva, sia sulle modalità dei fatti che sulla sussistenza della colpa, la quale non può essere desunta da presunzioni legali o di fatto (Cass. Sez. L., Sentenza n. 817 del 06/02/1990).
Risarcimento del danno morale
Il risarcimento del danno morale a favore del soggetto danneggiato per lesioni del valore della persona umana prescinde dall'accertamento di un reato in suo danno, sicché, in base a tale lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., il risarcimento del danno morale subito a seguito della lesione del bene salute tutelato dall'art. 32 Cost. non è limitato ai soli casi in cui sussista un'ipotesi di reato (Cass. n. 17144 del 27/07/2006; Cass., 20/10/2005, n. 20323; Cass., 31/05/2003, n. 8827; Cass., 31/05/2003, n. 8828).Al riguardo, con una serie di oramai ben note pronunce, la Cassazione ha opportunamente chiarito il rapporto sussistente tra il danno biologico, definitivamente acquisito al novero dei danni non patrimoniali di cui all'art. 2059 c.c., ed altre tipologie di danno non patrimoniale, come quello morale in senso stretto o quello esistenziale. Affermando al riguardo la S.C. che il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, con la conseguenza che è inammissibile la congiunta attribuzione al danneggiato del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, intenso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessaria mente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale. Pertanto, è inammissibile nel nostro ordinamento l'autonoma categoria di "danno esistenziale", inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona, atteso che, ove in essa si riconosca un riflesso di tale lesione sull'interesse della persona di rango costituzionale, ovvero derivi da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell'art. 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione, con la conseguenza che la liquidazione di un ulteriore posteriore danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria. Ove, come nel caso si sia concretamente individuabile, anche a mezzo di presunzioni, un semplice distinto profilo (basti pensare alla comprensibile preoccupazione derivante dalla consapevolezza di avere contratto una patologia di inalienazione di fibre di amianto, stante l'associazione che nella letteratura viene fatta tra amianto e patologie ad esso infuse), non si vede come tale profilo non possa trovare ristoro nell'ambito del "sistema aperto" della responsabilità civile. Va altresì osservato che, secondo un consolidato orientamento della Corte Suprema, la liquidazione del danno morale, pur rimessa alla valutazione equitativa del giudice, deve compiersi rispettando l'esigenza di una razionale correlazione tra l'entità oggettiva del danno e l'equivalente pecuniario, nella effettiva considerazione del danno concreto e a di fuori di ogni automatismo (per tutte Cass. 19 gennaio 1999, n. 475).
Anche per giungere alla quantificazione del danno morale è necessario pertanto determinare il c.d. punto di invalidità e procedere alla liquidazione del danno biologico ai soli fini parametrici.
Avv. Maurizio Auteri
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