La Cassazione si pronuncia sulla "violenza economica", richiama la Convenzione di Istanbul e la Direttiva UE 2012/29 a tutela dell'"indipendenza economica" all'interno del nucleo familiare

Il fatto

Il caso in esame riguarda il delitto di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., con l'aggravante speciale prevista al secondo comma dell'articolo in disamina, in quanto tali episodi, protrattisi per quasi vent'anni, erano avvenuti in presenza di minori, figli della coppia in oggetto.

Il ricorrente, marito della parte lesa, respinge le accuse, impugnando la sentenza della Corte Territoriale (coerente con la sentenza di I grado), articolando le doglianze del ricorso in più punti, imponendo così agli Ermellini di ripetersi, e quindi di richiamare la già affermata giurisprudenza di legittimità, che sui temi sollevati dal ricorrente era intervenuta abbondantemente tracciando la linea interpretativa della ratio della norma di riferimento: l'art. 572 c.p. 'Maltrattamenti contro familiari e conviventi'.

I punti del ricorso sviluppati dal reo, trattavano infatti argomenti già acclarati dai Capitolini, al punto che con la sentenza in oggetto la S.C. rielabora la consistente giurisprudenza pioniera dell'interpretazione della norma, e la richiama evidenziando l'approssimazione degli argomenti esposti dal ricorrente, in quanto non aderenti alla realtà giuridica ormai stabile in merito all'interpretazione del reato de quo.

Il concetto di violenza

La VI sez. penale della Corte di Cassazione con la sentenza 1268/2025 si sofferma però sul 'concetto di violenza', offrendo un'ampia panoramica in merito al significato da attribuire alla nozione, tenendo conto di 'tutti gli ambiti personali', di tutti gli aspetti su cui può incidere la stessa.

Se da un lato la S.C. dissipa e frena senza troppi giri di parole i tentativi del ricorrente di occultare la realtà dei fatti; dall'altro sente la necessità di approfondire l'argomento relativo all'"aspetto economico", all'autonomia economica all'interno della cornice familiare.

Su questo punto infatti la S.C. si sofferma volutamente - dilungando e trascinando anche 'oltre i confini geografici' - le argomentazioni esplicative a sostegno del rigetto della posizione del ricorrente inerente al punto del ricorso con cui quest'ultimo deduceva vizio di motivazione, e nello specifico in riferimento alle dichiarazioni della vittima che, sempre secondo la linea difensiva, sarebbero entrate in contraddizione con quelle dell'accusato.

Linea difensiva che tentava infatti di porre in contraddizione le dichiarazioni accusatrici della persona offesa, attraverso la goffa giustificazione della spontanea rinuncia di quest'ultima ad un'indipendenza economica al fine di occuparsi esclusivamente dell'accudimento dei figli. Una linea, peraltro, definita "superficiale" dalla S.C., che in modo grossolano voleva dimostrare l'"assenza di volontà vessatoria del marito e di assoggettamento della moglie in quanto costei era libera nella gestione finanziaria ed economica, propria e dei figli, essendo emersi solo dei litigi familiari".

Il ricorrente in realtà - attraverso le argomentazioni a sua discolpa - spostava l' "asse d'imputazione", mimetizzando, dissimulando e minimizzando il proprio comportamento abituale (protrattosi, come anticipato, per un arco temporale di quasi vent'anni), ribaltando l'intero contesto vessatorio, sostenendo che le "condotte controllanti" a lui attribuite, erano il prodotto, dei sospetti che la moglie avesse un'altra relazione, e pertanto da giustificare.

Dall'esame del quadro probatorio emergeva invece tutt'altro scenario: dalla ricostruzione dei fatti acclarati dal tribunale, e poi confermati anche dalla Corte d'Appello risultava infatti in modo chiaro ed inequivocabile che il marito era contrario al desiderio della moglie di avere un lavoro che le permettesse un'autonomia economica, per non dipendere dal marito.

Venivano quindi comprovate le "condotte violente, sessualmente umilianti, minatorie, controllanti e denigratorie agli occhi dei figli": episodi aggressivi, violenti, vessatori che la moglie aveva ripetutamente subito (anche dopo la separazione). Ed inoltre veniva acclarato l'ostruzionismo messo in campo dal reo in occasione di un'occupazione lavorativa che la moglie stessa aveva ottenuto. Occupazione che però aveva dovuto lasciare in seguito ai comportamenti violenti (telefonate, minacce, pedinamenti) del marito anche durante l'orario di lavoro.

Condotte violente, intimidatorie che assoggettavano la volontà della vittima al volere del marito.

Sempre nelle "sedi di merito" emergeva che la parte lesa era stata impiegata invece - a tempo pieno - nell'attività del marito senza aver avuto né retribuzione economica né contributiva.

In relazione alle ripetute condotte basate anche sul "ricatto economico" quale punto di forza di controllo dell'imputato nei confronti della moglie, la S.C con la sentenza de qua, così si esprime: "ostacolava l'emancipazione economica della moglie, negandole di intraprendere percorsi formativi e di trovare un'occupazione lavorativa, dietro l'argomento che fosse meglio che ella rimanesse in casa con i figli, salvo utilizzarla a pieno regime come contabile della sua azienda per un lungo periodo di tempo, senza versarle lo stipendio, né corrisponderle utili".

La linea della Cassazione nella materia in oggetto è ferma ed omogenea nell'interpretare la norma in disamina, anche di quei casi che l'aspetto empirico non rivela subito, ma solo in seguito ad una lettura più approfondita, considerando appunto le varie 'gradazioni empiriche' che si possono prospettare nel vissuto dei fatti, e maggiormente in quelli ripetuti nel tempo.

Gli Ermellini ricordano che le condotte lesive integranti i maltrattamenti vanno considerate alla stregua di una prospettiva globale e non parziale, prospettiva quindi che riguarda e che incide - ledendo - la sfera soggettiva, intesa come integrità psico-fisica della vittima, quale soggetto abusato.

La violenza non va intesa soltanto come esternalizzazione, materializzazione della forza fisica, ma nel 'concetto di violenza' va ricompreso anche l'aspetto psicologico ed economico.

La S.C. ribadisce che "impedire alla persona offesa di essere economicamente indipendente costituisce una circostanza tale da integrare una forma di 'violenza economica' riconducibile alla fattispecie incriminatrice in esame, quando i correlati comportamenti vessatori siano suscettibili di provocarne un vero e proprio stato di prostrazione psico-fisica e le scelte economiche ed organizzative assunte in seno alla famiglia, in quanto non pienamente condivise da entrambi i coniugi, ma unilateralmente imposte, costituiscono il risultato di comprovati atti di violenza o di prevaricazione psicologica" (cfr. sez. 6, n.43960 del 29/09/2015, non mass.).

La Convenzione di Istanbul e la direttiva UE 2012/29

La S.C a supporto di quanto esposto nel rigettare il ricorso, per maggiore zelo richiama e si appella anche alla Convenzione di Istanbul e alla direttiva UE 2012/29, al fine di esplicare ulteriormente il concetto di "violenza economica".

La Cassazione si affida infatti all'art. 3, lett. a) della Convenzione di Istanbul, per definire il concetto di violenza di genere, che stabilisce che "con l'espressione 'violenza nei confronti delle donne' si intende disegnare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata".

Inoltre, per neutralizzare totalmente le argomentazioni del ricorrente, la Corte non perde l'occasione per ricordare anche la Direttiva 2012/29/UE che chiarisce i concetti di "violenza di genere" e di violenza nelle "relazioni strette", "ciascuna delle quali possono provocare danni di natura economica alla vittima".

"Per violenza di genere s'intende la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità o della sua espressione di genere che o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere. Può provocare un danno fisico, sessuale, emotivo o psicologico, o una perdita economica alla vittima. La violenza di genere è considerata una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vita […]".

Nelle 'relazioni strette" invece la violenza "è quella commessa da una persona che è l'attuale o l'ex coniuge o partner della vittima ovvero da un altro membro della sua famiglia, a prescindere dal fatto che l'autore del reato conviva o abbia convissuto con la vittima. Questo tipo di violenza potrebbe includere la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica e provocare un danno fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche […]".

La S.C. si dilunga in merito e prosegue avvertendo la necessità di avvalorare quanto già esposto sottolineando che nella recente direttiva UE 2024/1385 del 14 maggio 2024, "sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica" - " che dovrà essere attuata entro il 14 giugno 2027 - il legislatore europeo ha fatto espressamente riferimento alla possibile rilevanza di forme di controllo economico, nel più ampio quadro delle condotte di violenza domestica".

I Capitolini dopo la 'parentesi extra territoriale', ricordano anche la 'rotta della giurisprudenza di bandiera' elencando alcune tra le tante decisioni in linea anche con i concetti richiamati e affermano che il disvalore delle condotte dell'imputato 'focalizzate oggettivamente' dal materiale probatorio fornito in giudizio, rendono visibile senza dubbio alcuno che la struttura all'interno del nucleo familiare in cui l'imputato si imponeva, limitava l'autonomia della moglie, attraverso "forme manipolatorie e pressioni psicologiche sulla persona offesa, tali da incidere sulla sua autonomia, sulla sua dignità umana e sulla sua integrità fisica e morale, quali beni giuridici tutelati dall'art. 572 c.p. (tra le tante Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023; Sez.6, n. 9187 del 15/09/2022, non mass.; Sez. 6, n. 30340 del 08/07/2022, non mass.; Sez. 6, n. 29542 del 18/09/2020; Sez. 6, n. 2625 del 12/01/2016).

L'importanza dell'emancipazione economica

Con la sentenza in commento la giurisprudenza non arretra, resta salda nell'evidenziare l'importanza dell'emancipazione economica all'interno e per l'equilibrio del nucleo familiare.

L'aspetto economico non può essere disancorato dal concetto di libertà e dignità personale, essendo parte integrante dell'integrità psico-fisica di ogni individuo.

Il soggetto passivo nel delitto ex art. 572 c.p. può essere leso nella propria integrità psico-fisica anche attraverso l'"esca economica", che ha la capacità di rendere la vittima ricattabile, dipendente e sottomessa, come specifica la S.C., al "potere asimmetrico": un potere basato su uno squilibrio dei ruoli, in cui il soggetto attivo si serve anche e soprattutto della debolezza economica della vittima per farla soccombere e assoggettarla al proprio controllo.


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