Inadempimento al mandato: l'omessa partecipazione all'udienza rappresenta un comportamento deontologicamente rilevante


"In difetto di un legittimo impedimento, ovvero di una comprovata strategia difensiva concordata con il cliente (con relativo onere probatorio a carico di chi intenda addurla), pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante il difensore che, per 'non scusabile e rilevante trascuratezza' (art. 26 cdf), non partecipi all'udienza né nomini un proprio sostituto processuale o di udienza, a nulla rilevando, peraltro, l'eventuale assenza di concrete conseguenze negative o addirittura la presenza di vantaggi per il proprio assistito giacché ciò non varrebbe a privare di disvalore il comportamento negligente del professionista. Inoltre, con particolar riferimento alla prescrizione dell'azione disciplinare, l'illecito deontologico in parola ha natura istantanea e non permanente". Così il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 346/2024 pubblicata il 6 marzo 2025 sul sito del Codice deontologico, decidendo il ricorso di un avvocato avverso la decisione del CDD di Milano che gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della censura.

Per il CNF, il ricorso è infondato e non merita accoglimento. Nel merito della vicenda, le condotte scrutinate a livello disciplinare attengono al mancato espletamento, da parte del ricorrente, degli incarichi di difensore d'ufficio e di difensore fiducia degli imputati nell'ambito di vari procedimenti penali. Richiamando pertanto i propri arresti precedenti, il Consiglio conferma la correttezza della decisione del CDD. Anche sotto il profilo soggettivo e con riferimento alla rilevanza delle circostanze addotte dal ricorrente a giustificazione degli illeciti deontologici commessi, "bastino a rigettarle gli arresti giurisprudenziali in tema di sufficienza della c.d. suitas della condotta ai fini dell'addebito disciplinare". Infatti, relativamente all'eccepita assenza di dolo o negligenza, in occasione della mancata partecipazione alle udienze, aggiunge il CNF, "si rammenta che l'uniforme giurisprudenza di legittimità e di questo Consiglio è costante nell'affermare che, per integrare un illecito disciplinare sotto il profilo soggettivo, è sufficiente la cd. suitas ovvero la volontà consapevole dell'atto che si compie, non risultando necessaria, ai fini dell'imputabilità dell'infrazione disciplinare, la consapevolezza dell'illegittimità della condotta (dolo o colpa) ed essendo sufficiente la volontarietà dell'azione che ha dato luogo al compimento di un atto deontologicamente scorretto (cfr. sentenza n. 30868 del 29 novembre 2018 della Corte di Cassazione, Sezioni Unite; in conformità, fra le tante, sentenze del Consiglio Nazionale Forense n. 174 del 17 ottobre 2022, n. 30 del 22 marzo 2022)".

Da qui il rigetto del ricorso.


Foto: 123rf.com
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: