Per il tribunale di Lecce, nel giudizio controffattuale, bisogna tener conto non solo di affidabili informazioni scientifiche, ma anche delle contingenze del caso concreto

La vicenda processuale

Avanti al Tribunale di Lecce, sezione I penale, cinque medici venivano rinviati a giudizio per omicidio colposo perché in cooperazione colposa tra loro e/o con condotte colpose indipendenti, nella veste di medici specialisti in ginecologia, per colpa consistita in imperizia, imprudenza negligenza, inosservanza delle buone pratiche clinico-assistenziali adeguate alla specificità del caso concreto, cagionavano un parto prematuro di una donna che partoriva precipitosamente, priva di assistenza medica, presso la propria abitazione, un feto di sesso femminile nato morto, in particolare, pur essendo stati informati dalla paziente, alle date dell'8 e 10 febbraio 2017, della presenza di perdite ematiche genitali alla 38 settimana (non annotate nella cartella clinica):
1. non eseguivano un'ecografia già alle date dell'8 febbraio e 10 febbraio 2017;
2. non monitoravano adeguatamente gli ultimi giorni della gravidanza allo scopo di programmare il parto, anche eseguendo un tempestivo ricovero ospedaliero, attività queste che, qualora eseguite, avrebbero consentito la nascita di un feto vivo, nel mentre si verificò una morte uterina per infiammazione degli annessi fetali (corionatnniosite) a seguito di infezione da streptococco.

Nello specifico, la persona offesa ha dichiarato che, il giorno 8 febbraio 2017, aveva riscontrato delle perdite ematiche senza sintomatologia dolorosa; che si era recata presso il nosocomio di riferimento e che i medici, dopo una serie di accertamenti, l'avevano rassicurata che nulla di anomalo era stato riscontrato e che ci voleva ancora tempo per il parto. Il giorno 10 febbraio 2017, la donna effettuava un altro tracciato cardiotocografico; nell'occasione, i sanitari non avevano riscontrato movimenti del feto e le avevano consigliato di mangiare cibi dolci per poi ripetere il tracciato, comunque tranquillizzandola sul benessere del bambino. La persona offesa precisa che, nonostante avesse riferito di altre perdite ematiche, ancorché in misura inferiore alle precedenti, il personale medico non aveva ritenuto di procedere con ecografia, invitandola a tornare tre giorni dopo per nuovi controlli.

La notte del 12 febbraio 2017, la donna veniva colta da forti dolori addominali, cui seguiva espulsione del feto. Veniva allertato il 118, che trasportava in ospedale con codice rosso donna e bambina, che già non respirava all'arrivo dei soccorsi.

Periti nominati dal PM e Tribunale condividevano medesima tesi sulle cause del decesso del feto. Dagli esami istologici era emersa "la sussistenza di un quadro corion-amniosite; una grave sofferenza polmonare con mancala parziale espansione alveolare è una ipoplasia distale dei villi placentari, conseguenza di una malperfusione materna precoce", e che "in termini patogenetici, che è biologicamente probabile che la corionamniosite sia stata conseguenza diretta dell' infezione da streptococco". Invero, già qualche settimana prima del parto, alla paziente era stata diagnostica infezione da streptococco agalacliae, un batterio molto comune. E' noto nella scienza medica che il patogeno in questione possa risalire dalla vagina per via retrograda sino a colonizzare il liquido amniotico, sia quando le membrane sono ancora integre, sia dopo l' inizio del travaglio o dopo la rottura delle membrane.

Inoltre, i periti avevano evidenziato che la rottura delle membrane amniocoriali rientra nel novero delle complicanze di una corioamniosite da streptococco e, poiché all'epoca dei fatti la paziente si trovava alla trentottesima settimana di gestazione, ciò aveva determinato un travaglio ed un parto definiti dai medici del P.S. "precipitosi", aumentando notevolmente i rischi di morte per il feto. Infatti, il parto precipitoso comporta l'aumento dell'attività contrattile uterina e, di conseguenza, mancando un adeguato tempo di rilassamento tra una contrazione e l'altra, viene compromessa l'ossigenazione fetale. Infine, contrariamente a quanto sostenuto dai consulenti di parte civile, era da escludere che il decesso della bambina fosse da ricondurre ad un distacco della placenta, non essendosi evidenziata la presenza di ematomi riconducibili ad un pregresso distacco placentare.

I consulenti delle parti civili proponevano l'asserzione per cui le copiose perdite di sangue, riferite dalla paziente, avrebbero dovuto indurre i sanitari ad un controllo più stretto della paziente e alla conduzione di un esame ecografico. Tali accertamenti avrebbero riscontrato il distacco placentare e mettere i medici nell condizioni di salvare la vita del feto. Tuttavia, proprio sulla perdite ematiche, nulla si rinviene nelle cartelle cliniche, pervenendo tale dato solo dalle dichiarazioni della persona offesa; inoltre, si sarebbe dovuto avere un riscontro in tal senso dagli esami delle urine effettuate l'8 febbraio 2017, ma nulla è stato rinvenuto.

Il nesso di causa e il noto principio della sentenza Franzese

Ricostruita la vicenda, il Tribunale si è speso nella ricostruzione del principio del nesso di causa nel sistema penale, partendo dalla celebre sentenza delle SS.UU. n.30328/2002 (c.d. sentenza Franzese): nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l' interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Il giudizio di probabilità logica si fonda sull'applicazione di leggi di copertura di carattere universale o di leggi semplicemente statistiche (ma anche su massime di esperienza comunemente condivise), purché si tenga conto che le stesse leggi ritenute di carattere universale presuppongono l'esistenza di determinate condizioni, in mancanza delle quali le regole da esse previste non valgono più. Il nesso causale, quindi, può ritenersi sussistente quando, considerate tutte le circostanze del caso concreto, possano escludersi processi causali alternativi e si possa affermare in termini di "certezza processuale", ossia di alta credibilità razionale o probabilità logica, che sia stata proprio quella condotta omissiva a determinare l'evento lesivo.

Scendendo più propriamente nel campo medico, nella ricostruzione del nesso eziologico tra la condotta omissiva del sanitario e l'evento lesivo non si può prescindere dall' individuazione di tutti gli elementi concernenti la "causa" dell'evento (morte o lesioni del paziente), giacché solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia è poi possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio contro fattuale e verificare, avvalendosi delle leggi statistiche o scientifiche e delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto, se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta (ma omessa), l'evento lesivo "al di là di ogni ragionevole dubbio" sarebbe stato evitato o si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

Ed ancora, in tema di responsabilità medica per omissione, l'accertamento del nesso causale, ed in particolare il giudizio controfattuale necessario per stabilire l'effetto salvifico delle cure omesse, deve essere effettuato secondo un giudizio di alta probabilità logica, tenendo conto non solo di affidabili informazioni scientifiche, ma anche delle contingenze significative del caso concreto, ed in particolare, della condizione specifica del paziente (v. Cass. pen., Sez. IV, sent. 10175/2020).

La decisione del Tribunale

Esaurito l'esame dei principi di diritto afferenti al caso di specie, il Giudice (sentenza n. 42/2025) ha concluso per l'assoluzione degli imputati, non ritenendo provato oltre ogni ragionevole dubbio il nesso di causa tra la condotta omissiva a loro censurata e il decesso del feto.

Le consulenze dei periti della Procura e del Tribunale convergevano sull'individuazione della causa del parto precipitoso nell'infezione da streptococco. Non vi era alcuna prova delle perdite ematiche (se non nelle sole dichiarazioni della persona offesa), né la paziente aveva manifestato alcuno dei sintomi tipici di una coricarmniosite. In questo senso, volendo sposare la tesi dei periti di parte civile, i medici avrebbero dovuto ricercare i segni di una entità patologica non sospettabile. Se dunque il decesso del feto è da attribuire all'infezione intraamniotica del feto, non prevedibile dai ginecologi se non nel momento in cui aveva causato ipossia con conseguente tracciato patologico, nessun addebito in termini di colpa può essere rivolto con sufficiente grado di certezza alla condotta degli imputati.


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