Il caso
La società presentava impugnazione con atto di reclamo per vedersi riconosciuta dal Collegio la tutela del proprio marchio registrato, caratterizzato dalla realizzazione grafica di una bocca e due occhi che corrispondono al disegno stilizzato di un carrello della spesa capovolto, nonché del relativo dominio del sito web e di essere autore di una serie di vignette che rappresentano in chiave satirica vari noti prodotti commerciali, contro una serie di soggetti che avevano utilizzato dette vignette senza alcuna autorizzazione e per aver venduto una serie di t-shirt raffiguranti tali immagini.
Avendo ottenuto il sequestro di tutte le magliette, e altri provvedimenti a tutela del marchio - fra cui il divieto di pubblicizzare, produrre, distribuire e commercializzare prodotti recanti l'immagine delle proprie opere - contestava il mancato riconoscimento delle domande nei confronti di tutti gli altri dettaglianti e di coloro che hanno commercializzato i predetti beni contraffatti.
L'uso di Chat GPT per la citazione di sentenze inesistenti
Costituitasi in giudizio una delle Controparti, veniva evidenziata dalla reclamante l'indicazione di sentenze inesistenti, ovvero il cui contenuto reale non corrisponde a quello riportato e ne chiedeva perciò la condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 c.p.c.
La questione riporta alla mente la nota vicenda di uno studio legale americano condannato dalla Corte distrettuale di New York alla multa di 5.000 dollari per aver citato in un caso di lesioni personali contro una compagnia aerea colombiana una serie di sentenze inesistenti, perchè i legali "hanno continuato a sostenere le false opinioni" dopo che il tribunale e la compagnia aerea avevano messo in dubbio la loro esistenza e compiuto "atti di consapevole elusione e dichiarazioni false e fuorvianti alla corte".
Il Tribunale autorizzava delle brevi memorie "sulla sola questione inerente i precedenti giurisprudenziali oggi contestati", e il difensore dichiarava che i riferimenti giurisprudenziali citati erano frutto della ricerca effettuata da una collaboratrice di studio mediante lo strumento dell'intelligenza artificiale "ChatGPT", e del cui utilizzo il patrocinatore in mandato non era a conoscenza. Una giustificazione che però non elimina una propria responsabilità per gli atti dei propri sottoposti o collaboratori ai sensi dell'art. 1218 e 2049 c.c. e per i comportamenti di terzi su cui sussiste l'obbligo di vigilanza.
Secondo l'ordinanza in commento, l'IA avrebbe dunque generato risultati errati che possono essere qualificati con il fenomeno delle cc.dd. allucinazioni di intelligenza artificiale, che si verifica allorché l'IA inventi risultati inesistenti ma che, anche a seguito di una seconda interrogazione, vengono confermati come veritieri. In questo caso, lo strumento di intelligenza artificiale avrebbe inventato dei numeri asseritamente riferibili a sentenze della Corte di Cassazione inerenti all'aspetto soggettivo dell'acquisto di merce contraffatta il cui contenuto, invece, non ha nulla a che vedere con tale argomento. La reclamata, pur riconoscendo l'omesso controllo sui dati così ottenuti, ha chiesto lo stralcio di tali riferimenti, ritenendo già sufficientemente fondata la propria linea difensiva.
La responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.
L'articolo 96 c.p.c. prevede la responsabilità aggravata per la parte che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, con possibilità, su istanza dell'altra parte, di comminare una condanna al risarcimento dei danni (primo comma); o, su istanza della parte danneggiata, la condanna al risarcimento dei danni per l'attore o il creditore procedente che abbia agito senza la normale prudenza (secondo comma).
Sulla scorta di tali presupposti, la reclamante ha chiesto la condanna di controparte ex art. 96 c.p.c. per l'abusivo utilizzo dello strumento processuale, e per aver in questo modo influenzato la decisione del collegio.
La sentenza, ha invece spiegato che il comma 1 "richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell'an e sia del quantum debeatur, o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa" (cfr. Cass., sez. L, sentenza n. 9080 del 15 aprile 2013) e, "pur recando in sé una necessaria indeterminatezza quanto agli effetti lesivi immediatamente discendenti dall'improvvida iniziativa giudiziale, impone, comunque, una, sia pur generica, allegazione della direzione dei supposti danni" (cfr. Cass., sez. II, sentenza n. 7620 del 26 marzo 2013). In applicazione di tali principi, la domanda non può essere accolta, in quanto la Parte non ha spiegato alcuna allegazione, neppur generica, dei danni subìti a causa dell'attività difensiva espletata della controparte.
Parimenti dicasi in relazione al comma 3 dell'art. 96 c.p.c., "la cui ratio deve individuarsi nel disincentivare l'abuso del processo o comportamenti strumentali alla funzionalità del servizio giustizia ed in genere al rispetto della legalità sostanziale; tale fattispecie deve inoltre intendersi come species dei primi due commi, per cui non si può prescindere dalla condotta posta in essere con mala fede o colpa grave né dall'abusività della condotta processuale."
Conclusioni e riflessioni
Nel caso di specie, "fermo restando il disvalore relativo all'omessa verifica dell'effettiva esistenza delle sentenze risultanti dall'interrogazione dell'IA", la reclamata sin dal primo grado ha fondato la propria strategia difensiva sull'assenza di malafede; conseguentemente, l'indicazione di estremi di legittimità nel giudizio di reclamo ad ulteriore conferma della linea già esposta si può quindi considerare diretta a rafforzare un apparato difensivo già noto e non invece finalizzata a resistere in giudizio in malafede.
Ne discende pertanto, la non applicabilità delle disposizioni di cui all'art. 96 c.p.c..
L'uso dell'intelligenza artificiale è senz'altro utile allo svolgimento di qualsiasi professione, e, al pari di ogni strumento tecnologico, è un valido alleato per potenziare e velocizzare la redazione di atti o ricerche, ma che, tuttavia, vista la costante fallacità delle risposte, richiede non solo una precedente conoscenza della problematica e una spiccata capacità di generare il prompt corretto, ma usare un costante controllo e una incessante verifica di ogni informazione rilasciata.
Tuttavia, a fronte del crescente aumento di normative che impongono il ricorso a schemi, moduli o "parole chiavi" negli atti difensivi per agevolare il compito del lettore e interprete, sorge spontanea la domanda di quali strumenti possa avvalersi il soggetto privato nel caso di parti invertite, e se quindi residua una forma di tutela per la parte che si vede negare un diritto sulla scorta di decisioni che richiamano a proprio fondamento delle sentenze o dei principi travisati dall'Ai.
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