Con la sentenza n. 9216 del 2025 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal Governo contro una sentenza della Corte d'appello di Roma

Il caso

La vicenda giudiziaria ha inizio nel 2023 quando una coppia di genitori dello stesso sesso che aveva fatto ricorso all'adozione del figlio del partner, ha chiesto, prima al Tar del Lazio e poi al Tribunale di Roma, l'emissione di un documento d'identità per il figlio minore, utile per l'espatrio, che rispecchiasse la reale composizione della loro famiglia.

Occorre ricordare che per effetto di un Decreto Ministeriale del 31 gennaio 2019 è stato stabilito che nei documenti di identità dovessero comparire i dati di "madre" e "padre" e non più del "genitore", come, invece, prevedeva il Decreto sull'emissione della carta di identità elettronica del 23 dicembre 2015.

Nel caso sottoposto ai Giudici è stata evidenziata un'illogica e discriminatoria discrasia tra le risultanze dei registri dello stato civile dove il minore aveva due genitori dello stesso sesso che avevano regolarmente effettuato un'adozione in casi particolari, e quelle del documento di identità dove, essendo stato imposto l'inserimento dei dati di "madre" e "padre", mancavano le indicazioni relative al padre. Ciò ha danneggiato il minore, al quale è stata negata la possibilità di ottenere una Carta di identità valida per l'espatrio, proprio a causa delle informazioni deficitarie.

Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 7535/2023, ha accolto il ricorso proposto dai genitori e ha ordinato la disapplicazione del DM del 2019. La sentenza è stata impugnata dal Ministero dell'Interno ed è stata successivamente confermata anche dalla Corte d'Appello di Roma. Malgrado la questione in punto di diritto fosse chiara e lineare, il Ministero dell'Interno ha proposto ugualmente ricorso in Cassazione.

La pronuncia

La Corte di cassazione con la sentenza in commento ha confermato quanto già statuito dai giudici di primo e secondo grado e ha rilevato che è del tutto illogico, irragionevole e discriminatorio imporre l'indicazione dei dati di "madre" e "padre" anziché di "genitori" nella carta di identità di un minore.

Infatti, occorre rilevare che la legge n.184 del 1983 prevede e disciplina l'adozione in casi particolari per tutelare il diritto del minore alla famiglia, laddove non sia possibile ricorrere all'adozione piena. Si tratta di un istituto giuridico che mette in primo piano l'interesse del minore ad avere una famiglia che ne garantisca una crescita equilibrata.

Per intenderci l'istituto in esame si configura in caso di adozione dell'orfano da parte dei parenti o da parte di chi avesse già con lui un rapporto stabile e duraturo, maturato anche nel corso di un affidamento familiare, l'adozione del figlio del coniuge, l'adozione del minore per il quale risulta la "constata impossibilità di affidamento preadottivo" e l'adozione del minore affetto da handicap che sia orfano di padre e di madre.

L'ordinamento, dunque, prevede casi particolari in cui un minore adottato può avere anche genitori dello stesso sesso in virtù di una sentenza di adozione in casi particolari, passata in giudicato e trascritta negli atti dello stato civile.

In considerazione di tale quadro normativo, quindi, è evidentemente illegittimo e irragionevole imporre che la carta di identità indichi i dati di "madre" e "padre". Tali dati, infatti, risulteranno inevitabilmente difformi rispetto alle risultanze dello stato civile e alla reale composizione della famiglia, creando discriminazioni sia per il minore, che per i genitori.

Del resto, il Garante per la privacy, nel parere sul DM del 2019 aveva rilevato che sostituire il termine "genitori" con "padre e madre" produce effetti discriminatori su quei minori che non hanno una figura paterna o materna, e crea dei problemi nella raccolta dei dati e nel rispetto delle normative europee.


Dott.ssa Alfonsina Biscardi

Consulente per le attività degli studi legali

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Scarica pdf Cass. n. 9216/2025

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