La vicenda dell'omicidio di Giulia Cecchettin è ritornato alla ribalta delle cronache nazionali dopo il deposito delle motivazioni della sentenza della Corte d'assise di Venezia, la quale, pur condannando all'ergastolo Filippo Turetta, ha ritenuto di escludere l'aggravante della crudeltà, prevista dall'art. 61 n. 4 c.p. e richiamata dall'art. 577 n. 4) c.p. in relazione proprio al delitto di omicidio.
In particolare, sarebbe stato sommariamente riportato da plurime testate giornalistiche che la motivazione della Corte risiederebbe nell'inesperienza dell'imputato nell'esecuzione della condotta. Notizia che ha destato un certo scalpore nell'opinione pubblica, visto che il Turetta ha inferto alla povera Giulia non meno di 75 coltellate, a prima vista sussumibili in un atteggiamento oltremodo perverso.
L'esegesi dell'aggravante comune della "crudeltà" (art. 61 n. 4, 577 n. 4 c.p.)
L'art. 61 c.p. disciplina le circostanze aggravanti comuni, vale a dire quelle che comportano un aumento di pena non superiore ad un terzo. In relazione al delitto di omicidio, l'aggravante in parola diventa ad effetto speciale ai sensi dell'art.577 n.4 c.p, in quanto la pena prevista è quella dell'ergastolo.
Come per la stragrande maggioranza dei termini usati dal legislatore, anche quello della "crudeltà" assume una connotazione che oseremmo definire "tecnica", che meglio si adegua agli istituti giuridici normati nel codice. Nell'utilizzo comune, la voce crudeltà potrebbe essere definita come "spietata insensibilità; atteggiamento inadeguato nei confronti degli esseri viventi; insensibilità verso il dolore altrui". Una definizione del genere, però, a ben pensare, è insita già nella natura stessa di moltissimi reati, in particolare in quelli commessi con violenza alle persone. La giurisprudenza, dunque, ha chiarito che ai fini della sussistenza dell'aggravante sia necessario qualcosa in più rispetto ad una condotta spietata o inadeguata o insensibile: "la circostanza aggravante dell'aver agito con crudeltà è di natura soggettiva ed è caratterizzata da una condotta eccedente rispetto alla normalità causale, che determina sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore socialmente riprovevole, il quale deve essere oggetto di accertamento alla stregua delle modalità della condotta e di tutte le circostanze del caso concreto, comprese quelle afferenti alle note impulsive del dolo" (Cass. SS. UU. n.40516/2016); "l'aggravante ricorre quando vengono inflitte alla vittima sofferenze che esulano dal normale processo di causazione dell'evento, con patimenti gratuiti che rendono particolarmente riprovevole la condotta dell'agente" (Cass. pen., n.14998/2015); "per l'applicazione dell'aggravante non occorre avere riguardo alla percezione da parte della vittima, ma alla azione cosciente e volontaria dell'agente quando usa violenza non necessaria per vincere la resistenza della vittima, né per perseguire la morte, ma per dare soddisfazione ai propri istinti crudeli" (Cass. pen., n.27235/2015); "La mera reiterazione dei colpi, pur consistente, non può essere ritenuta fonte di aggravamento se non costituisce espressione della volontà di infliggere alla vittima sofferenze gratuite che esulano dal normale processo di causazione dell'evento" (Cass. pen., n.1832/2014).
Trattandosi di una circostanza soggettiva, attinente all'elemento psicologico dell'agente, il compito di provarne la sussistenza non è affatto semplice. Aggiungasi che, in caso di omicidio cagionato da coltellate, la giurisprudenza ha chiosato che il numero di colpi non è sufficiente a dimostrare la circostanza, poiché non v'è diretta correlazione tra il numero di colpi inferti e l'intento crudele. Ed è proprio la questione che la Corte d'assise di Venezia ha dovuto affrontare.
La sentenza della Corte d'assise di Venezia
La sentenza veneta è corposa; ha dedicato ampio spazio a tutte le questioni giuridiche poste, comprese quelle inerenti alle aggravanti (tutte da ergastolo): premeditazione; crudeltà; essere il delitto commesso dall'autore del reato previsto dall'art.612 bis c.p. Il Collegio ha ritenuto sussistente la sola aggravante della premeditazione, sufficiente, però, ad infliggere all'imputato la pena perpetua prevista dal nostro ordinamento.
Per quel che riguarda il tema in oggetto, sono state riportate dapprima una serie di massime di Cassazione, tra cui le SS. UU. del 2016 di cui al punto precedente. Chiarisce, dunque, la necessità di rinvenire nelle prove assunte la certezza dell'intento di Turetta di recare sofferenze del tutto gratuite alla povera Giulia, tenendo a mente l'impossibilità di presumere l'elemento volitivo dal mero numero di coltellate inferte.
Ecco il passaggio nevralgico: "l'aver inferto settantacinque coltellate non si ritiene sia stato, per Turetta, un modo per crudelmente infierire o per fare scempio della vittima: come si vede anche nella videoregistrazione dell'ultima fase dell'azione omicidiaria, l'imputato ha aggredito Giulia Cecchettin attingendola con una serie di colpi ravvicinati, portati in rapida sequenza e con estrema rapidità, quasi alla cieca" [...] Non si ritiene che tale dinamica, come detto certamente efferata, sia stata dettata, in quelle particolari modalità, da una deliberata scelta dell'imputato ma essa sembra invece conseguenza della inesperienza e della inabilità dello stesso: Turetta non aveva la competenza e l'esperienza per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e "pulito", così ha continuato a colpire, con una furiosa e non mirata ripetizione dei colpi, fino a quando si è reso conto che Giulia "non c'era più".
L'utilizzo del termine "inesperienza", apparso di primo acchito del tutto fuori luogo rispetto alla vicenda, assume tutt'altro tenore se letto all'interno della completa disamina della Corte. A prescindere dalla condivisibilità del ragionamento offerto, il Collegio, a fronte delle prove assunte, in particolare delle immagini video dell'aggressione a Giulia, manifesta i suoi dubbi circa la volontà di Turetta di non limitarsi ad uccidere e di voler infliggere alla ragazza sofferenze gratuite prima del decesso. Che egli fosse inesperto nella condotta omicidiaria suona quasi lapalissiano, differentemente staremmo parlando di un serial killer e non di un giovane studente incensurato. Probabilmente, la Corte intendeva chiarire che il numero di colpi, per la modalità e la dinamica dell'azione, e in assenza di altri elementi chiarificatori, sono compatibili tanto con un'azione crudele, quanto con quella di una serie confusionaria, interrotta solo al momento in cui si ha avuto contezza del decesso della vittima. Atteggiamento, quest'ultimo, sicuramente connotato di estrema violenza, ma non necessariamente della crudeltà, così come disciplinata dal codice.
Tra l'altro, durante il suo esame in aula, lo stesso Turetta ha ammesso di aver iniziato a colpire la ragazza in preda ad una rabbia incontrollata, di aver colpito un po' ovunque, pur mirando al collo, perché la ragazza cercava di proteggersi (la maggior parte delle ferite sono state inferte agli arti superiori e inferiori), ed è dirimente il passaggio finale, che svela molto dell'elemento psicologico quando ricorda: "Non ho guardato neanche più dove stavo colpendo, poi mi ricordo sicuramente ... sicuramente l'ultima ... l'ultima coltellata che le ho dato era ... vicino all'occhio ...e poi ho visto che l'avevo colpita ... colpita lì, ho smesso subito, non avrei voluto colpirla, ecco, in certi punti..." (pag. 103 della sentenza). Da queste parole, emerge sì la volontà di uccidere, ma rapidamente e possibilmente evitando certi punti; una precisazione che può chiarire circa la volontà di recare quelle sofferenze gratuite, esorbitanti dal processo causale dell'evento, così come intese dal legislatore.
All'esito delle risultanze probatorie, evidentemente il Collegio non era certo di escludere che l'imputato, laddove ne avesse avuto la lucidità e le capacità, avrebbe agito diversamente, ossia infliggendo i soli e precisi colpi idonei all'immediata causazione della morte. Ricordiamoci del sacro principio della prova ogni ragionevole dubbio.
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