Il Consiglio di Stato affronta una questione oggetto di un vivace dibattito giurisprudenziale e dottrinale sul tema


Con la sentenza n. 460/2025 (sotto allegata), il Consiglio di Stato affronta una questione di non facile soluzione, alla luce del vivace dibattito giurisprudenziale e dottrinale che si sviluppa sul tema dell'usucapione a favore della pubblica amministrazione. Tuttavia, prima di approfondire gli aspetti specifici della sentenza in oggetto, appare opportuno delineare il contesto fattuale in cui essa si inserisce.

I fatti

Per quanto rileva ai fini della presente analisi il Comune di Roma Capitale, con verbale redatto in data 12.02.1966, occupava bonariamente l'area di proprietà della Società S. A. Mds, necessaria per l'esecuzione di lavori di pubblica utilità, approvati con decreto del Ministero dei LL. PP. n. 12.806 del 27.09.1965, finalizzati alla realizzazione di un tratto stradale. Nel 1985 l'Amministrazione provvedeva al collaudo dei lavori di cui all'oggetto, i quali vennero approvati con Deliberazione della Giunta Municipale n. 2648 del 12.5.1972; da quel momento ne deriva l'irreversibile trasformazione dell'area.

Solamente nel 2024, la società S. A. Mds ha diffidato l'Amministrazione a procedere alla restituzione delle aree illegittimamente occupate e a risarcire il danno. Successivamente, la società S. A. Mds adiva il T.A.R Lazio per l'accertamento del silenzio inadempimento posto in essere da Roma Capitale rispetto alla predetta diffida. Nel pronunciarsi sul giudizio così instaurato, il T.A.R. Lazio dichiarava l'illegittimità del silenzio serbato dall'Amministrazione sull'istanza di parte ricorrente di avvio del procedimento, ai sensi dell'articolo 42 bis del D.p.r. 8 giugno 2001, n. 327, sull'utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico, e ordinava a Roma Capitale di procedere alla conclusione del procedimento con provvedimento espresso da adottarsi nel termine di 45 giorni dalla comunicazione in via amministrativa, nonché condannava quest'ultima al risarcimento del danno. Roma Capitale proponeva, quindi, appello avverso la sentenza del T.A.R. del Lazio, sostenendo in via principale l'ammissibilità dell'usucapione da parte della Pubblica Amministrazione in materia di espropriazione per pubblica utilità.

La decisione

Il Consiglio di Stato con sentenza n. 460 del 22 gennaio 2025 si è pronunciato sulla questione, confermando la sentenza di primo grado, ma con una diversa motivazione. Differentemente a quanto affermato dal T.A.R Lazio, il Consiglio di Stato ha riconosciuto l'usucapione dei beni illegittimamente occupati dalla Pubblica Amministrazione come una modalità di acquisto a titolo originario della proprietà. Il T.A.R. Lazio escludeva che la pubblica amministrazione, responsabile di un'occupazione sine titulo, potesse acquistare il diritto di proprietà sul fondo occupato per mezzo di usucapione.

La compatibilità dell'usucapione, intesa come modalità di acquisto a titolo originario, idonea a sanare retroattivamente l'abuso commesso dalla Pubblica Amministrazione, con l'ipotesi di occupazione illegittima di un fondo, è stata oggetto di un acceso e articolato dibattito. (In senso difforme: Cons. Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 329, Cons. Stato, Sez. IV, 1° agosto 2017, n. 3838; in senso conforme: Cons. Stato, Sez. IV, 6 novembre 2020, n. 6833, Cons. Stato, Sez. IV, 9 maggio 2024, n. 4188). Orbene, la decisione del T.A.R. Lazio, ancorché conforme a un indirizzo seguito da parte della giurisprudenza amministrativa, si pone tuttavia in contrasto con l'orientamento prevalente che propende per l'applicabilità dell'usucapione da parte della PA, e che trova fondamento nel combinato disposto dagli artt. 1158 e 922 c.c., conformemente a quanto prescritto dall'articolo 1 del protocollo addizionale n. 1 CEDU (1).


Sul punto, rileva l'Ad. Plen. 9 febbraio 2016, n. 2, la quale sostiene l'applicabilità dell'usucapione in favore della P.A. nell'ambito delle procedure espropriative. Il CdS individua in modo analitico limiti e presupposti necessari affinché la condotta illecita dell'amministrazione, incidente sul diritto di proprietà (che costituisce anche illecito permanente ex art. 2043 c.c.), possa configurare l'ipotesi di compiuta usucapione. Le condizioni puntualmente individuate dalla sentenza sono tre. La prima è la configurabilità del carattere non violento della condotta posta in essere; la seconda è l'individuazione del momento esatto della interversio possessionis e, terzo, che il termine ventennale, ai sensi dell'art. 2935 c.c., inizi a decorrere dal momento in cui il diritto può essere esercitato, momento identificabile con il 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del Testo Unico sugli Espropri, il quale, attraverso l'art. 43, ha sancito la cessazione dell'istituto dell'occupazione acquisitiva.

Nella pronuncia in commento, il Consiglio di Stato si è in particolar modo soffermato sulla seconda condizione, l'intervensio possessionis. Il Consiglio di Stato afferma che per l'individuazione del momento esatto del mutamento della detenzione in possesso è necessario che il detentore dimostri l'esercizio di un atto esteriore che manifesti la sua volontà di possedere la cosa occupata in nome e per conto proprio, uti dominus.

Nei casi in cui l'occupazione iniziale del bene da parte della Pubblica Amministrazione avvenga in regime di detenzione, ossia in presenza di validi provvedimenti amministrativi che ne legittimano l'iniziale disponibilità (dichiarazione di pubblica utilità, decreto di occupazione d'urgenza), grava sulla stessa Amministrazione l'onere di allegare e dimostrare l'eventuale trasformazione della detenzione in possesso utile ai fini dell'usucapione, ai sensi dell'art. 1141, comma 2, c.c.


A tal fine, è necessario che l'Amministrazione compia specifiche attività materiali di opposizione nei confronti del proprietario-possessore, atte a manifestare in modo inequivoco la volontà di esercitare il possesso in termini di esclusività. Non è invece sufficiente il mero protrarsi della detenzione né il compimento di atti corrispondenti all'esercizio del possesso, in quanto tali circostanze denotano unicamente un abuso della situazione di vantaggio derivante dalla materiale disponibilità del bene, senza che ciò implichi un effettivo mutamento del titolo del rapporto giuridico (2).


Dunque, esclusivamente in presenza dei presupposti, perspicuamente individuati dal Consiglio di Stato, e ribaditi dalla giurisprudenza amministrativa successiva (3), è consentita l'acquisizione del bene mediante usucapione, al fine di evitare la reintroduzione di una forma surrettizia di espropriazione indiretta. Di qui la conseguente soluzione positiva in ordine all'ammissibilità dell'usucapione a favore della PA. Questo orientamento positivo è stato, inoltre, confermato dalla sentenza in commento, la quale afferma che sulla base delle coordinate ermeneutiche sopra richiamate, la qualificazione dell'occupazione illegittima come illecito permanete, è, di per sé insufficiente a escludere l'acquisto per usucapione dei beni occupati dalla Pubblica Amministrazione.

Al contrario, tale istituto può costituire un valido titolo di acquisto della proprietà, purché ricorrano le condizioni individuate dall'Adunanza Plenaria (4).

Una tale interpretazione conferma l'orientamento secondo cui il trascorrere del tempo, unitamente a comportamenti inequivocabili, può determinare effetti giuridici consolidati, anche in presenza di una situazione originariamente illecita. Pertanto, il prolungato esercizio del possesso su un bene, anche se originariamente acquisito in modo illecito, determina, ai sensi dell'art. 1158 c.c., l'acquisto della proprietà o di altro diritto reale a titolo originario da parte della PA, qualora ricorrano tutte le condizioni e i presupposti richiesti dalla normativa. In tali circostanze, l'inerzia del proprietario consente alla PA, alla pari di qualsivoglia soggetto privato, di acquistare il relativo diritto. L'usucapione, quale acquisto a titolo originario, determina, quindi, il sostanziale venir meno della rilevanza della illegittimità e illiceità dell'occupazione da parte della PA, con la conseguente estinzione sia delle tutele reali, spettanti al proprietario del fondo, sia di quelle obbligatorie, tese al risarcimento dei danni subiti.


Nella pronuncia il T.A.R appare discostarsi da questa ricostruzione, la quale dovrebbe, invece, essere pianamente condivisa, trovando ampio consenso nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione. La Cass. Civ. 28 luglio 2023 n. 18445, stabilisce che, in linea con quanto già affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 21575/2011, in caso di occupazione usurpativa da parte della P.A., il diritto di agire in via recuperatoria o risarcitoria, in capo al proprietario del bene illegittimamente occupato, viene meno, qualora non venga esercitato tempestivamente, consentendo così il maturarsi del termine ultraventennale di possesso da parte della P.A.. L'usucapione, pertanto, preclude al privato l'esercizio di un'azione di rivendicazione e di risarcimento del danno, poiché si estingue non solo ogni forma di tutela reale, ma anche le pretese risarcitorie di natura obbligatoria connesse ai danni subiti. Questo effetto si fonda sul principio di retroattività, secondo cui l'acquisto per usucapione risale al momento in cui è iniziata la relazione di fatto con il bene altrui. Di conseguenza, viene meno l'illiceità della condotta della P.A., che, pur avendo inizialmente occupato il bene senza titolo, è successivamente legittimata dall'acquisto retroattivo del diritto di proprietà. La sentenza, dunque, chiarisce che l'acquisto del bene per usucapione incide sul carattere illecito della condotta della P.A. In particolare, la declaratoria di usucapione elimina l'illiceità non solo per il periodo successivo al decorso del termine prescrizionale, ma anche per quello precedente, in virtù della retroattività degli effetti dell'acquisto.

Tale retroattività garantisce che, al termine del periodo di possesso necessario, vi sia un completo adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto, in modo da soddisfare l'interesse pubblico sotteso alla conservazione dell'opera di pubblica utilità. Questa ricostruzione giuridica mira a bilanciare i diritti del proprietario con la necessità di preservare l'utilizzo del bene per fini pubblici, nel rispetto dei principi fondamentali di legalità e proporzionalità.

La sentenza in commento, dunque, si pone in netta antitesi rispetto alla decisione del T.A.R., sconfessandone integralmente le conclusioni. Mentre il giudice di primo grado ha negato la possibilità per la Pubblica Amministrazione di acquisire la proprietà di un bene illegittimamente occupato tramite usucapione, il Consiglio di Stato ha affermato, con una motivazione più aderente all'orientamento prevalente e alla recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, che tale istituto rappresenta un valido titolo di acquisto a titolo originario.

La decisione si inserisce, dunque, in un quadro giurisprudenziale che valorizza la funzione sanante dell'usucapione, garantendo al contempo il rispetto dell'interesse pubblico e la stabilità giuridica delle situazioni di fatto consolidate nel tempo.


Dott.ssa Beatrice Mattoscio

praticante legale


(1) CASS. CIV., SEZ. I, 7 GIUGNO 2022 N. 18361

(2) CASS. CIV., SEZ. I, 27 APRILE 2018 N. 10289; CASS. CIV., 4 LUGLIO 2011, N. 14593

(3) CONS. STATO, SEZ IV, 22 GIUGNO 2021 N. 4790

(4) AD. PLEN. 9 FEBBRAIO 2016, N. 2

Scarica pdf Cds n. 460/2025
Scarica pdf Tar Lazio n. 17503/2024

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