Le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione (Sent. 36692/07) hanno stabilito che non commette reato chi rifiuta di eseguire i provvedimenti del Giudice civile relativi all'affidamento dei minori, degli incapaci o che fissano misure cautelari a tutela della proprietà, del possesso o del credito.
La Corte ha però precisato che tale regola non trova applicazione nel caso in cui la natura personale della prestazione imposta o la natura interdittiva del provvedimento del Giudice, non esigano il contributo dell'obbligato per l'esecuzione.
Con questa decisione la Corte ha deciso il contrasto giurisprudenziale nato attorno a quanto disposto dall'art. 388 comma 2 c.p.
Tale contrasto era nato perché per parte della giurisprudenza, l'elusione prevista dalla norma andava intesa in senso ampio giungendo ad includere qualsiasi comportamento (positivo e/o negativo) dell'obbligato che portava al non rispetto del provvedimento del Giudice civile. Altra parte della Corte, invece riteneva che per integrare la fattispecie di reato, non era sufficiente il semplice non agire ma era necessario un comportamento tale da rendere difficile l'esecuzione del provvedimento. Un'ultima parte della giurisprudenza invece, distingueva circa la sussistenza o meno del reato, a seconda della natura dell'obbligo imposto.
Le Sezioni Unite, prendendo in considerazione quest'ultimo orientamento, hanno precisato che per la sussistenza del reato di cui all'art. 338 c.p., occorre tenere conto della natura degli obblighi che derivano dal provvedimento del Giudice civile. Se questo non prevede l'intervento dell'obbligato, il suo comportamento non collaborativo non potrà considerarsi reato e ciò in quanto la norma in questione non tende a tutelare l'autorità della statuizione del Giudice bensì la possibilità in concreto di eseguirla.
Pertanto, conclude la Corte, l'obbligato commette reato solo se con il suo comportamento ostacola l'attività esecutiva del provvedimento, affidata a terzi e che l'obbligato commette sempre reato, se non esegue un obbligo di fare o se non adempie a una prestazione di fare e/o di agevolare un'azione imposta dal Giudice civile.
La Corte ha però precisato che tale regola non trova applicazione nel caso in cui la natura personale della prestazione imposta o la natura interdittiva del provvedimento del Giudice, non esigano il contributo dell'obbligato per l'esecuzione.
Con questa decisione la Corte ha deciso il contrasto giurisprudenziale nato attorno a quanto disposto dall'art. 388 comma 2 c.p.
Tale contrasto era nato perché per parte della giurisprudenza, l'elusione prevista dalla norma andava intesa in senso ampio giungendo ad includere qualsiasi comportamento (positivo e/o negativo) dell'obbligato che portava al non rispetto del provvedimento del Giudice civile. Altra parte della Corte, invece riteneva che per integrare la fattispecie di reato, non era sufficiente il semplice non agire ma era necessario un comportamento tale da rendere difficile l'esecuzione del provvedimento. Un'ultima parte della giurisprudenza invece, distingueva circa la sussistenza o meno del reato, a seconda della natura dell'obbligo imposto.
Le Sezioni Unite, prendendo in considerazione quest'ultimo orientamento, hanno precisato che per la sussistenza del reato di cui all'art. 338 c.p., occorre tenere conto della natura degli obblighi che derivano dal provvedimento del Giudice civile. Se questo non prevede l'intervento dell'obbligato, il suo comportamento non collaborativo non potrà considerarsi reato e ciò in quanto la norma in questione non tende a tutelare l'autorità della statuizione del Giudice bensì la possibilità in concreto di eseguirla.
Pertanto, conclude la Corte, l'obbligato commette reato solo se con il suo comportamento ostacola l'attività esecutiva del provvedimento, affidata a terzi e che l'obbligato commette sempre reato, se non esegue un obbligo di fare o se non adempie a una prestazione di fare e/o di agevolare un'azione imposta dal Giudice civile.
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