"Non vi è alcun dubbio che il fornire ad un cliente una pietanza che contiene al suo interno un oggetto quale quello descritto costituisce il reato contestato: è infatti evidente che l'alimento fornito (…) era insudiciato e nocivo, contenendo un corpo estraneo, non commestibile, che ne alterava la igienicità ed era addirittura idoneo, per la sua durezza, a cagionare un danno al consumatore, potendo rompere un dente se masticato o creare difficoltà digestive se ingerito".
Alla luce di tale principio, contenuto in una recente pronuncia della Corte di Cassazione penale (Sent. n. 43840/2007), gli ermellini hanno individuato nella condotta di una ristoratrice l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 5 lett. d) L. 283/62 (divieto di impiego, vendita, detenzione o distribuzione nella preparazione di alimenti o bevande di sostanze alimentari insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione) confermando la pena pecuniaria al pagamento della quale la donna era stata condannata nei precedenti gradi di giudizio.
Alla luce di tale principio, contenuto in una recente pronuncia della Corte di Cassazione penale (Sent. n. 43840/2007), gli ermellini hanno individuato nella condotta di una ristoratrice l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 5 lett. d) L. 283/62 (divieto di impiego, vendita, detenzione o distribuzione nella preparazione di alimenti o bevande di sostanze alimentari insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione) confermando la pena pecuniaria al pagamento della quale la donna era stata condannata nei precedenti gradi di giudizio.
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