La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. n. 14/08) ha stabilito che per il risarcimento relativo alla lentezza dei processi, si deve tenere conto solo del danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole del processo (fissato in 3 anni per il primo grado e in 2 anni per l'appello).
In particolare, gli Ermellini hanno precisato che "ai fini dell'indennizzo del danno non deve aversi riguardo, […], ad ogni anno di durata del processo presupposto, ma soltanto il periodo eccedente il termine ragionevole di durata […] essendo il giudice nazionale tenuto, nella ipotesi in esame, ad applicare la legge dello Stato, e, quindi, il disposto dell'art. 2, comma 3, lett. a) della legge n. 89/01, non potendo darsi alla giurisprudenza della CEDU, in questione, diretta applicazione nell'ordinamento giuridico italiano con il disapplicare la norma nazionale su indicata (come invece sarebbe possibile per la normativa comunitaria), avendo la Corte Costituzionale chiarito […], che la Convenzione EDU non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti".
Prosegue poi la Corte precisando che essa "è configurabile come un trattato internazionale multilaterale, da cui derivano 'obblighi' per gli Stati contraenti (e quindi anche quello dei giudici nazionali di uniformarsi ai parametri CEDU, esclusi i casi, come quello di specie, in cui siano tenuti a rispettare una norma nazionale, della cui legittimità costituzionale non si possa dubitare), ma non l'incorporazione dell'ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omesso medio, per tutte le autorità interne degli Stati membri".
In particolare, gli Ermellini hanno precisato che "ai fini dell'indennizzo del danno non deve aversi riguardo, […], ad ogni anno di durata del processo presupposto, ma soltanto il periodo eccedente il termine ragionevole di durata […] essendo il giudice nazionale tenuto, nella ipotesi in esame, ad applicare la legge dello Stato, e, quindi, il disposto dell'art. 2, comma 3, lett. a) della legge n. 89/01, non potendo darsi alla giurisprudenza della CEDU, in questione, diretta applicazione nell'ordinamento giuridico italiano con il disapplicare la norma nazionale su indicata (come invece sarebbe possibile per la normativa comunitaria), avendo la Corte Costituzionale chiarito […], che la Convenzione EDU non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti".
Prosegue poi la Corte precisando che essa "è configurabile come un trattato internazionale multilaterale, da cui derivano 'obblighi' per gli Stati contraenti (e quindi anche quello dei giudici nazionali di uniformarsi ai parametri CEDU, esclusi i casi, come quello di specie, in cui siano tenuti a rispettare una norma nazionale, della cui legittimità costituzionale non si possa dubitare), ma non l'incorporazione dell'ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omesso medio, per tutte le autorità interne degli Stati membri".
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