L'amministratore di società che dichiara di non percepire compenso per l'attività svolta, va incontro ad accertamenti e deve comunque pagare le tasse.
Lo ha stabilito la Quinta Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. 1915/2008) che ha precisato che la responsabilità e la delicatezza di tale incarico, nel silenzio, sul punto, dello Statuto della Società (che ben potrebbe stabilire una clausola derogatoria), fanno presumere che questo sia sempre retribuito. In particolare la Corte ha rilevato che "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell'economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l'accertamento del reddito ai sensi dell'art. 39, primo comma lett. d) del dpr 29 settembre 1973 n. 600, il quale consente di desumere l'esistenza di ricavi non dichiarati anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordandi".
I Giudici hanno poi precisato che "ai fini della prova per presunzioni semplici non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, in quanto è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità".br> Nel caso di specie, gli Ermellini, hanno precisato che "posto, in vero, il fatto noto e pacifico dell'espletamento delle citate attività, appare assolutamente ragionevole presumere che la stessa sia stata retribuita nei termini di cui all'accertamento, avuto riguardo, peraltro, al fatto che il contribuente non ha offerto prova della gratuità dei mandati, né di altri elementi idonei ad escludere la realizzazione, dall'attività svolta, di reddito fiscalmente rilevante. Né può sostenersi l'inidoneità di siffatta prova, essendo stato affermato, sia che 'la prova per presunzioni costituisce prova completa alla quale il giudice di merito può legittimamente ricorrere, anche in via esclusiva nell'esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, di controllarne l'attendibilità, di scegliere, tra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione', […]".
Lo ha stabilito la Quinta Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. 1915/2008) che ha precisato che la responsabilità e la delicatezza di tale incarico, nel silenzio, sul punto, dello Statuto della Società (che ben potrebbe stabilire una clausola derogatoria), fanno presumere che questo sia sempre retribuito. In particolare la Corte ha rilevato che "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell'economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l'accertamento del reddito ai sensi dell'art. 39, primo comma lett. d) del dpr 29 settembre 1973 n. 600, il quale consente di desumere l'esistenza di ricavi non dichiarati anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordandi".
I Giudici hanno poi precisato che "ai fini della prova per presunzioni semplici non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, in quanto è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità".br> Nel caso di specie, gli Ermellini, hanno precisato che "posto, in vero, il fatto noto e pacifico dell'espletamento delle citate attività, appare assolutamente ragionevole presumere che la stessa sia stata retribuita nei termini di cui all'accertamento, avuto riguardo, peraltro, al fatto che il contribuente non ha offerto prova della gratuità dei mandati, né di altri elementi idonei ad escludere la realizzazione, dall'attività svolta, di reddito fiscalmente rilevante. Né può sostenersi l'inidoneità di siffatta prova, essendo stato affermato, sia che 'la prova per presunzioni costituisce prova completa alla quale il giudice di merito può legittimamente ricorrere, anche in via esclusiva nell'esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, di controllarne l'attendibilità, di scegliere, tra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione', […]".
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