La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. 1814/2008) ha stabilito che ai fini della integrazione del reato previsto e punito dall'art. 600 ter c.p., si deve escludere la necessità "sia della sussistenza di un fine lucrativo in capo allo sfruttatore del minore sia di una organizzazione di tipo imprenditoriale".
La Corte, che, in materia, aderisce al principio enunciato dalle Sezioni Unite, ha evidenziato che con tali esclusioni, il Legislatore ha voluto "reprimere, predisponendo una tutela anticipata e complementare a quella della libertà sessuale, condotte prodromiche che mettono a repentaglio lo sviluppo del minore, mercificando il suo corpo ed immettendolo nel circuito della pedofilia".
Sulla scorta di tali premesse, gli Ermellini hanno precisato che "per il perfezionamento della fattispecie, necessita che la condotta dello agente abbia una consistenza tale da implicare in concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto" e che, tale condotta può essere provata anche con indici rivelatori come, nel caso in esame, "l'utilizzo contemporaneo di molte minori per la produzione delle foto pornografiche".
Infine la Corte ha aggiunto che per quanto concerne il reato previsto dall'art. 600 quater c.p. "il Legislatore abbia inteso punire la detenzione del materiale pornografico che costituisce l'ultimo anello di una catena di variegate condotte antigiuridiche, di lesività decrescente, iniziate con la produzione dello stesso e proseguita con la sua commercializzazione, cessione, diffusione ecc.".
"In tale contesto - prosegue la Corte - deve escludersi dal novero dei soggetti attivi coloro che hanno prodotto il materiale ed in relazione ai quali la detenzione costituisce un post factum non punibile. Il rapporto tra le due norme è risolto della clausola di riserva espressa inserito nello art. 600 quater c.1. c.p. la quale impedisce che il soggetto, che ha realizzato alcune delle condotte previste dall'art. 600 ter c.p. possa essere chiamato a rispondere anche della fattispecie di detenzione di materiale pornografico; il conflitto apparente di norme è superato in favore della applicazione della più grave (art. 600 ter c.p.)".
La Corte, che, in materia, aderisce al principio enunciato dalle Sezioni Unite, ha evidenziato che con tali esclusioni, il Legislatore ha voluto "reprimere, predisponendo una tutela anticipata e complementare a quella della libertà sessuale, condotte prodromiche che mettono a repentaglio lo sviluppo del minore, mercificando il suo corpo ed immettendolo nel circuito della pedofilia".
Sulla scorta di tali premesse, gli Ermellini hanno precisato che "per il perfezionamento della fattispecie, necessita che la condotta dello agente abbia una consistenza tale da implicare in concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto" e che, tale condotta può essere provata anche con indici rivelatori come, nel caso in esame, "l'utilizzo contemporaneo di molte minori per la produzione delle foto pornografiche".
Infine la Corte ha aggiunto che per quanto concerne il reato previsto dall'art. 600 quater c.p. "il Legislatore abbia inteso punire la detenzione del materiale pornografico che costituisce l'ultimo anello di una catena di variegate condotte antigiuridiche, di lesività decrescente, iniziate con la produzione dello stesso e proseguita con la sua commercializzazione, cessione, diffusione ecc.".
"In tale contesto - prosegue la Corte - deve escludersi dal novero dei soggetti attivi coloro che hanno prodotto il materiale ed in relazione ai quali la detenzione costituisce un post factum non punibile. Il rapporto tra le due norme è risolto della clausola di riserva espressa inserito nello art. 600 quater c.1. c.p. la quale impedisce che il soggetto, che ha realizzato alcune delle condotte previste dall'art. 600 ter c.p. possa essere chiamato a rispondere anche della fattispecie di detenzione di materiale pornografico; il conflitto apparente di norme è superato in favore della applicazione della più grave (art. 600 ter c.p.)".
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