La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. 14/2008) ha stabilito che ha diritto all'indennizzo la persona che è stata coinvolta in un processo eccessivamente lungo e che la misura di tale indennizzo non deve tener conto di tutti gli anni della durata del processo ma solo di quelli che superano il quinto.
Osservano i Giudici di Piazza Cavour che il periodo da prendersi in considerazione, al fine della determinazione dell'indennizzo per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, è l'intero periodo di durata del processo presupposto e che i termini di durata del processo (superati i quali si verifica la violazione del termine ragionevole di durata dello stesso), possono essere indicati in cinque anni di cui tre anni per la durata del giudizio di primo grado e due anni per la durata del giudizio di secondo grado.
Precisa infatti la Corte che "che ai fini dell'indennizzo del danno non deve aversi riguardo, come pretende il ricorrente, ad ogni anno di durata del processo presupposto, ma soltanto al periodo eccedente il termine ragionevole di durata (cfr. per tutte cass. n. 21597 del 2005), essendo il giudice nazionale tenuto, nella ipotesi in esame, ad applicare la legge dello Stato, e, quindi, il disposto dell'art. 2, comma 3, lett. a) della legge n. 89/01, non potendo darsi alla giurisprudenza della CEDU, in questione, diretta applicazione nell'ordinamento giuridico italiano con il disapplicare la norma nazionale su indicata (come invece sarebbe possibile per la normativa comunitaria), avendo la Corte Costituzionale chiarito, con le citate sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, che la Convenzione EDU non era un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti".
La Corte, nel caso di specie, in accoglimento del ricorso presentato da un signore il cui processo era durato 10 anni, ha osservato che sono stati violati "i parametri indicati dalla CEDU per l'accertamento del periodo di ragionevole durata del processo presupposto (la CEDU ha indicato in tre anni per il primo grado ed in due anni per il secondo grado il termine di durata da ritenersi ragionevole), statuendo che, dei dieci anni di durata, il periodo da considerarsi indennizzabile, perché eccedente la ragionevole durata del processo presupposto, è di anni quattro, dovendosi ritenere ragionevoli il termine di anni tre, per la durata del giudizio di primo grado, e di anni tre, per la durata del giudizio di secondo grado" e che "il giudice a quo, avendo liquidato per ogni anno il ritardo soltanto euro 200,00, ha inoltre, violato i parametri CEDU da utilizzarsi per la valutazione del danno morale, avendo la Corte indicato, quale base di calcolo, una somma variabile tra i 1.000,00 ed i 1.500,00 euro annui".
La Corte, quindi, nel caso di specie, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento della somma di euro 5 mila (1.000 euro moltiplicati per 5 anni), con gli interessi come per legge dalla domanda all'effettivo soddisfo.
Leggi la motivazione della sentenza
Osservano i Giudici di Piazza Cavour che il periodo da prendersi in considerazione, al fine della determinazione dell'indennizzo per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, è l'intero periodo di durata del processo presupposto e che i termini di durata del processo (superati i quali si verifica la violazione del termine ragionevole di durata dello stesso), possono essere indicati in cinque anni di cui tre anni per la durata del giudizio di primo grado e due anni per la durata del giudizio di secondo grado.
Precisa infatti la Corte che "che ai fini dell'indennizzo del danno non deve aversi riguardo, come pretende il ricorrente, ad ogni anno di durata del processo presupposto, ma soltanto al periodo eccedente il termine ragionevole di durata (cfr. per tutte cass. n. 21597 del 2005), essendo il giudice nazionale tenuto, nella ipotesi in esame, ad applicare la legge dello Stato, e, quindi, il disposto dell'art. 2, comma 3, lett. a) della legge n. 89/01, non potendo darsi alla giurisprudenza della CEDU, in questione, diretta applicazione nell'ordinamento giuridico italiano con il disapplicare la norma nazionale su indicata (come invece sarebbe possibile per la normativa comunitaria), avendo la Corte Costituzionale chiarito, con le citate sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, che la Convenzione EDU non era un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti".
La Corte, nel caso di specie, in accoglimento del ricorso presentato da un signore il cui processo era durato 10 anni, ha osservato che sono stati violati "i parametri indicati dalla CEDU per l'accertamento del periodo di ragionevole durata del processo presupposto (la CEDU ha indicato in tre anni per il primo grado ed in due anni per il secondo grado il termine di durata da ritenersi ragionevole), statuendo che, dei dieci anni di durata, il periodo da considerarsi indennizzabile, perché eccedente la ragionevole durata del processo presupposto, è di anni quattro, dovendosi ritenere ragionevoli il termine di anni tre, per la durata del giudizio di primo grado, e di anni tre, per la durata del giudizio di secondo grado" e che "il giudice a quo, avendo liquidato per ogni anno il ritardo soltanto euro 200,00, ha inoltre, violato i parametri CEDU da utilizzarsi per la valutazione del danno morale, avendo la Corte indicato, quale base di calcolo, una somma variabile tra i 1.000,00 ed i 1.500,00 euro annui".
La Corte, quindi, nel caso di specie, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento della somma di euro 5 mila (1.000 euro moltiplicati per 5 anni), con gli interessi come per legge dalla domanda all'effettivo soddisfo.
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