In una recente pronuncia (Sent. n. 10575/2008) la Corte di Cassazione ha chiarito i criteri per la ripartizione del trattamento di reversibilità in caso di coesistenza di un coniuge divorziato e di uno superstite, stabilendo che nel caso in cui entrambi abbiano i requisiti per usufruire della pensione, la ripartizione debba essere effettuata, "oltre che sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di reversibilità, da individuare facendo riferimento all'entità dell'assegno di divorzio riconosciuto all'ex coniuge ed alle condizioni economiche dei due, nonché alla durata delle rispettive convivenze prematrimoniali; gli ulteriori elementi - da utilizzare eventualmente quali correttivi del criterio temporale e da individuare nell'ambito dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970 - sono funzionali allo scopo di evitare che il primo coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per il mantenimento del tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l'assegno di divorzio ed il secondo sia privato di quanto necessario per la conservazione del tenore di vita che il gli aveva assicurato in vita (…); non tutti i suddetti ulteriori elementi devono necessariamente concorrere né essere valutati in eguale misura, rientrando nell'ambito del prudente apprezzamento del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto". Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte la ricorrente, coniuge superstite, lamentava che, in seguito al decesso del marito, al coniuge divorziato era stata riconosciuta una quota della pensione di reversibilità senza tener conto che quest'ultima aveva convissuto per tutta la durata della separazione con un altro uomo. I Giudici, nel respingere il ricorso, hanno precisato che la locuzione "durata del rapporto" alla quale fa riferimento l'art. 9 comma 3° della legge n. 898/1970 quale criterio per la ripartizione della pensione tra coniuge divorziato e coniuge superstite "va riferita alla durata dei rispettivi matrimoni, coincidente con la durata legale dei medesimi, vale a dire, quanto al coniuge divorziato, fino alla sentenza di divorzio. Il criterio temporale previsto dall'art. 9, comma 3, della legge n. 898 del 1970 prescinde quindi dalla reale durata del rapporto affettivo".
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