La Corte di Cassazione (Sentenza n. 17255/2008) ha stabilito che non è ostativa all'adozione del provvedimento di espulsione dello straniero (disposta dal magistrato di sorveglianza ai sensi del art. 16 D.lgs. 286/1998, comma quinto), la pregressa concessione della liberazione anticipata e ciò in quanto tale misura incide soltanto sulla durata complessiva della pena da espiare e non comporta, di per sé, la fuoriuscita del detenuto dal circuito penitenziario.
Nell'impianto motivazionale della decisione, gli Ermellini hanno evidenziato che "la figura speciale di espulsione dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena, riservata alla competenza del giudice di sorveglianza (art. 16, commi 5 e 6, d.lgs. n. 286 del 1998, sost. dall'art. 15 l. 30/7/2002 n. 189) e avente natura amministrativa (Corte Cost. ordinanza n. 226 del 2004) costituisce un'atipica misura alternativa alla detenzione, finalizzata ad evitare il sovraffollamento penitenziario. In presenza delle condizioni fissate dall'art. 16, comma quinto, d.lgs. n. 286 del 1998, così come modificato dalla legge n. 189 del 2002, la sua adozione è obbligatoria, secondo quanto si ricava dall'interpretazione letterale della norma, che introduce, quale clausola derogatoria, la condanna per uno o più dei delitti disciplinati dall'art. 407, comma secondo, lett. a), c.p.p. ovvero per i delitti previsti dal testo unico in materia di immigrazione. La giurisprudenza di legittimità, in una lettura costituzionalmente orientata dalla norma, ha argomentato che l'espulsione non può essere disposta neppure quando il soggetto già si trovi ad espiare la pena con altre misure alternative alla detenzione in carcere, espressione di un principio di progressività trattamentale, essendo, in questo caso, prevalente, rispetto all'esigenza di deflazione carceraria, la finalità rieducativa e di reinserimento sociale".
Nell'impianto motivazionale della decisione, gli Ermellini hanno evidenziato che "la figura speciale di espulsione dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena, riservata alla competenza del giudice di sorveglianza (art. 16, commi 5 e 6, d.lgs. n. 286 del 1998, sost. dall'art. 15 l. 30/7/2002 n. 189) e avente natura amministrativa (Corte Cost. ordinanza n. 226 del 2004) costituisce un'atipica misura alternativa alla detenzione, finalizzata ad evitare il sovraffollamento penitenziario. In presenza delle condizioni fissate dall'art. 16, comma quinto, d.lgs. n. 286 del 1998, così come modificato dalla legge n. 189 del 2002, la sua adozione è obbligatoria, secondo quanto si ricava dall'interpretazione letterale della norma, che introduce, quale clausola derogatoria, la condanna per uno o più dei delitti disciplinati dall'art. 407, comma secondo, lett. a), c.p.p. ovvero per i delitti previsti dal testo unico in materia di immigrazione. La giurisprudenza di legittimità, in una lettura costituzionalmente orientata dalla norma, ha argomentato che l'espulsione non può essere disposta neppure quando il soggetto già si trovi ad espiare la pena con altre misure alternative alla detenzione in carcere, espressione di un principio di progressività trattamentale, essendo, in questo caso, prevalente, rispetto all'esigenza di deflazione carceraria, la finalità rieducativa e di reinserimento sociale".
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