La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. 25104/08) ha stabilito che è reato usare negli studi professionali programmi software pirata e che, della violazione, ne risponde personalmente il titolare dell'attività. In particolare la Corte ha evidenziato che "per la configurabilità del reato di cui all'art. 171 bis non è richiesto […], che la riproduzione dei software sia finalizzata al commercio, essendo sufficiente il fine di profitto, come contestato, né il dolo specifico del fine di lucro".
Nell'impianto motivazionale della Sentenza si legge che la Corte ha più volte affermato che "a seguito della modifica del primo comma dell'art. 171 bis L. 27 aprile 1941 n. 633 (apportata dall'art. 13 L. 18 agosto 2000 n. 248), non è più previsto il dolo specifico del 'fine di lucro' ma quello del 'fine di trarne profitto'; si è, quindi, determinata un'accezione più vasta che non richiede necessariamente una finalità direttamente patrimoniale ed amplia quindi i confini della responsabilità dell'autore" e che "la detenzione e l'utilizzo di numerosi programmi software, illecitamente riprodotti, nello studio professionale rende manifesta la sussistenza del reato contestato, sotto il profilo oggettivo e soggettivo".
Nell'impianto motivazionale della Sentenza si legge che la Corte ha più volte affermato che "a seguito della modifica del primo comma dell'art. 171 bis L. 27 aprile 1941 n. 633 (apportata dall'art. 13 L. 18 agosto 2000 n. 248), non è più previsto il dolo specifico del 'fine di lucro' ma quello del 'fine di trarne profitto'; si è, quindi, determinata un'accezione più vasta che non richiede necessariamente una finalità direttamente patrimoniale ed amplia quindi i confini della responsabilità dell'autore" e che "la detenzione e l'utilizzo di numerosi programmi software, illecitamente riprodotti, nello studio professionale rende manifesta la sussistenza del reato contestato, sotto il profilo oggettivo e soggettivo".
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