La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Sent. 19367/2008) ha stabilito che non si applica ai giudizi in materia tributaria, la disciplina dell'equa riparazione 'per mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 6 p. 1 della CEDU', quale introdotta dagli artt. 2 e ss. della L. 89/01. Ha infatti osservato la Corte che "la Corte dei Diritti dell'Uomo, dopo aver premesso che la nozione di controversia in materia civile e di controversia in materia penale (in relazione e nei limiti delle quali è tutelato dall'art. 6 p. 1 CEDU il diritto alla ragionevole durata del processo) va determinata 'in modo autonomo' da essa Corte, poiché qualsiasi altra soluzione rischierebbe di portare a risultati incompatibili con l'oggetto e la portata della Convenzione […], ha già avuto a tal fine occasione di escludere che rientrino nella sfera di applicazione della Convenzione le controversie relative ad obbligazioni - pur di natura patrimoniale - che 'risultino da una legislazione fiscale' ed attengano, invece che a diritti di natura civile, a doveri civici imposti in una società democratica […]".
Conseguentemente, ha precisato la Corte che "l'equa riparazione prevista dalla legge nazionale per le violazioni dell'art. 6 p. 1 CEDU non è riferibile alla eventuale eccessiva protrazione della durata delle controversie, involgenti la potestà positiva dello Stato, che dal quadro di tutela della norma comunitaria restano […] escluse".
La Corte, sul punto, ha infine osservato che "non è sostenibile […] che siffatta conclusione sia contraddetta della previsione dell'art. 3 della legge 89/01, che include, tra i soggetti legittimati passivi rispetto all'azione di riparazione, anche il Ministero delle Finanze quando si tratti di procedimenti tributari. Detta ultima disposizione - che per la sua natura di norma processuale attinente alle forme di esercizio del diritto non potrebbe immutare ed ampliare i contenuti della tutela, quale definita e circoscritta dalla normativa di portata sostanziale di cui al precedente art. 2 della stessa legge - va infatti letta in modo assolutamente coerente con il complessivo impianto sistematico della legge nazionale e della sua riferibilità a quelle (e soltanto a quelle) controversie di competenza del giudice tributario, che siano riferibili: A) alla materia civile, in quanto riguardanti pretese del contribuente che non investano la determinazione del tributo ma solo aspetti a questa consequenziali, come, esemplificando, nel caso del giudizio di ottemperanza ad un giudicato del giudice tributario ex art. 70 D.Leg. 546/92 od in quello […] del giudizio vertente sull'individuazione del soggetto di un credito di imposta non contestato nella sua esistenza; B) alla materia penale, intesa quest'ultima - secondo la 'nozione autonoma' elaborata anche per tal profilo dalla giurisprudenza della CEDU, di cui il giudice nazionale deve tenere conto - come comprensiva anche delle controversie relative alla applicazione di sanzioni tributarie, ove queste siano commutabili in misure detentive ovvero siano, per la loro 'gravità', assimilabili sul piano della afflittività ad una sanzione penale".
Conseguentemente, ha precisato la Corte che "l'equa riparazione prevista dalla legge nazionale per le violazioni dell'art. 6 p. 1 CEDU non è riferibile alla eventuale eccessiva protrazione della durata delle controversie, involgenti la potestà positiva dello Stato, che dal quadro di tutela della norma comunitaria restano […] escluse".
La Corte, sul punto, ha infine osservato che "non è sostenibile […] che siffatta conclusione sia contraddetta della previsione dell'art. 3 della legge 89/01, che include, tra i soggetti legittimati passivi rispetto all'azione di riparazione, anche il Ministero delle Finanze quando si tratti di procedimenti tributari. Detta ultima disposizione - che per la sua natura di norma processuale attinente alle forme di esercizio del diritto non potrebbe immutare ed ampliare i contenuti della tutela, quale definita e circoscritta dalla normativa di portata sostanziale di cui al precedente art. 2 della stessa legge - va infatti letta in modo assolutamente coerente con il complessivo impianto sistematico della legge nazionale e della sua riferibilità a quelle (e soltanto a quelle) controversie di competenza del giudice tributario, che siano riferibili: A) alla materia civile, in quanto riguardanti pretese del contribuente che non investano la determinazione del tributo ma solo aspetti a questa consequenziali, come, esemplificando, nel caso del giudizio di ottemperanza ad un giudicato del giudice tributario ex art. 70 D.Leg. 546/92 od in quello […] del giudizio vertente sull'individuazione del soggetto di un credito di imposta non contestato nella sua esistenza; B) alla materia penale, intesa quest'ultima - secondo la 'nozione autonoma' elaborata anche per tal profilo dalla giurisprudenza della CEDU, di cui il giudice nazionale deve tenere conto - come comprensiva anche delle controversie relative alla applicazione di sanzioni tributarie, ove queste siano commutabili in misure detentive ovvero siano, per la loro 'gravità', assimilabili sul piano della afflittività ad una sanzione penale".
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